In molti, tra gli addetti ai lavori, ritenevano in questi anni che l’iperammortamento per l’Industria 4.0 sarebbe stato raccolto e sfruttato a man bassa soprattutto dalle grandi aziende. Più strutturate, in genere anche dal punto di vista finanziario e strategico, per cogliere al volo le opportunità di sviluppo che si presentano. E invece così non è.
Il nuovo rapporto 2019 realizzato dal Centro Studi di Confindustria, dal titolo che è un programma, ‘Dove va l’Industria italiana‘, certifica una grossa, e buona, sorpresa: sono le Pmi i maggiori protagonisti dell’iperammortamento per la Digital transformation.
Secondo le stime del Centro Studi Confindustria e del Dipartimento Finanze del Ministero delle Finanze l’ammontare degli investimenti agevolati dalla misura dimostra il suo successo, superando le aspettative.
Ma ecco i numeri: sono stati 10,01 i miliardi di euro investiti dalle aziende italiane per i macchinari e le attrezzature 4.0 nel solo 2017, il primo anno di attivazione dell’agevolazione fiscale, poi prorogata, con modifiche, nel 2018 e 2019. A questi vanno aggiunti oltre 3,3 miliardi di investimenti in beni immateriali: 13,32 miliardi in tutto, superiori ai 12 miliardi che il Governo aveva allora scritto nella relazione tecnica della legge di bilancio.
Indice degli argomenti
L’enigma dei beni immateriali
Sono all’incirca mille le imprese che hanno fruito contemporaneamente delle due forme di agevolazione (il 250 sui beni materiali e il 140% su quelli immateriali). Queste 1000 imprese corrispondono al 13% di quelle che hanno investito in beni strumentali materiali (e fin qui ci siamo) e solo al 6% di quelle che hanno invece investito in beni strumentali immateriali: questo 6% di imprese si è reso protagonista di investimenti in software per una cifra pari al 12% dell’ammontare complessivamente investito.
Dove sta il problema? Che si conferma un dato emerso già con le dichiarazioni dei redditi dell’anno precedente, perché per fruire dell’incentivo sul software la legge prevede la necessità di effettuarne almeno uno anche sull’hardware. In altre parole, quel dato del 6% che abbiamo visto prima dovrebbe essere pari al 100%.
PMI principali fruitori dell’iperammortamento
A utilizzare la misura di incentivo fiscale, il 96% dei beneficiari, a cui corrisponde il 66% degli investimenti totali incentivati, è composto da imprese con meno di 250 dipendenti, ossia piccole e medie imprese. Il 35% degli investimenti 4.0 è addirittura riferibile a imprese con meno di 50 addetti.
L’analisi di Confindustria su ‘Dove va l’Industria italiana’ mette in evidenza altre forti tendenze: innanzitutto, oltre l’80% delle imprese agevolate appartiene al settore manifatturiero. In testa, il comparto dei prodotti in metallo (26% degli investimenti totali in macchinari e attrezzature 4.0), davanti a meccanica strumentale e chimica (entrambe al 9%).
L’iperammortamento è stato utilizzato in netta prevalenza da imprese con sede nel Nord Italia (86% degli investimenti). In particolare, la Lombardia svetta (35%), davanti a Veneto (17%), e all’Emilia-Romagna (16%). Su livelli molto bassi d’investimento tutte le regioni meridionali, la Sicilia è l’unica parziale eccezione: con una quota di investimenti agevolati del 3% sul totale, si colloca, al pari del Friuli-Venezia Giulia, nella parte un po’ più alta della classifica.
“L’iperammortamento è stata senza dubbio la principale misura con cui il Governo italiano ha sostenuto gli investimenti in beni strumentali per la trasformazione digitale delle imprese. Una misura colta e utilizzata in prevalenza da imprese manifatturiere, soprattutto metalmeccaniche, di piccola e media dimensione, e localizzate nel Nord Italia”, rimarca Alessandro Spada, vicepresidente di Assolombarda, che nella sua sede milanese ha ospitato la presentazione del rapporto di Confindustria.