L’intelligenza artificiale vale in Italia 300 milioni di euro, ma alle aziende conviene comprarla o svilupparla in proprio?

I dati dell’Osservatorio Artificial Intelligence della School of Management del Politecnico di Milano: l’Intelligenza Artificiale segna una crescita del 15% rispetto al 2019, raggiungendo un valore di 300 milioni di euro, di cui il 77% commissionato da imprese italiane (230 milioni) e il 23% come export di progetti (70 milioni). Per le imprese che vogliono sfruttarne le potenzialità è meglio un approccio ‘Make’, cioè farla e svilupparla per conto proprio, o ‘Buy’, comprandola all’esterno?

Pubblicato il 18 Feb 2021

intelligenza-artificiale


Il mercato italiano dell’intelligenza artificiale (IA) è ancora ristretto in valori assoluti, ma è dinamico e resiliente: nel 2020, in uno scenario sconvolto dal Coronavirus, segna una crescita del 15% rispetto al 2019, raggiungendo un valore di 300 milioni di euro, di cui il 77% commissionato da imprese italiane (230 milioni) e il 23% come export di progetti (70 milioni).

Il settore più attivo come investimenti in soluzioni di artificial intelligence (AI) è la finanza (23% del totale), seguita da energia e utility (14%), manifattura (13%), telco e media (12%) e assicurazioni (11%).

Si aprono tanti filoni di sviluppo diversi e particolari, anche per trovare soluzioni nuove a questioni impreviste e non abituali. Oggi risultano diffuse innanzitutto molte applicazioni di virtual assistant e chatbot, che sono spesso le prime applicazioni di ingresso all’AI da parte delle imprese, per offrire assistenza continua, sia all’interno dell’azienda, sia all’esterno, con clienti, mercato, fornitori.

Occorre fare passi concreti, pianificando un percorso. L’AI fa nascere anche nuovi modelli di business, mentre si sviluppa anche il Data Science as a Service (DsaaS). Ma bisogna tradurre meglio l’eccellenza della ricerca in applicazioni concrete, all’interno di progetti e aziende specifici. È essenziale una relazione sempre più stretta tra Ricerca e Industria, e occorre attuare il trasferimento tecnologico dai laboratori alle imprese e alla manifattura, in modo sempre più efficace, veloce e concreto.

Per cominciare, nelle aziende, servono tanti dati su cui lavorare, e da cui estrarre conoscenza e valore, tanti dati ma di qualità, non conta certo solo la quantità. Ma serve anche visione di business e capacità di innovazione.

Alcuni imprenditori e manager sono poi finanche troppo entusiasti nei confronti del mondo dell’intelligenza artificiale, altri invece sono troppo diffidenti: occorre creare un’adeguata cultura dell’innovazione, e anche de-mistificare lo scenario e le prospettive. Magari senza arrivare agli estremi di Pablo Picasso, che diceva “il computer è inutile, sa dare solo risposte”, per sottolineare che è un perfetto esecutore senza senso critico, senza immaginazione e intuito: e in effetti, a distanza di molti decenni da quella frase di Picasso, il mondo dell’intelligenza artificiale e delle tecnologie deve ancora mettere insieme razionalità e intuizione. Occorre poi fare evolvere tante idee, più idee e progetti possibili, perché l’innovazione si fa anche e soprattutto attraverso la contaminazione e il contributo di cervelli umani, non solo digitali, diversi e in grado di portare novità diverse.

Sono tutti elementi e spunti di approfondimento sul mondo e lo stato attuale dell’intelligenza artificiale scaturiti dal convegno in diretta streaming online dell’Osservatorio Artificial Intelligence della School of Management del Politecnico di Milano, che ha presentato il suo nuovo report, dal titolo ‘L’evoluzione del mercato italiano: imprese e consumatori alla prova del Covid’. Una presentazione arricchita ulteriormente da diverse tavole rotonde, sempre ovviamente virtuali e a distanza, tra esperti e specialisti del settore.

Innovazione: servono idee e strumenti per realizzarle

“L’AI svolgerà un ruolo fondamentale nell’aiutare i manager a orientare e gestire l’azienda del futuro”, rimarca Alessandro Azzaroni, Head of strategic innovation di Injenia, mentre Giuseppe Magurno, Head of AI technology solutions di Eni, rileva “la vera innovazione si fa con le idee: immaginare qualcosa che non vedi, pensare qualcosa che non c’è”.

Fonte: Osservatorio Artificial Intelligence del Politecnico di Milano

Per molte aziende, innanzitutto Pmi, “resta spesso la difficoltà nel calcolare il ritorno degli investimenti”, fa notare Giovanni Miragliotta, direttore dell’Osservatorio Artificial Intelligence, e spesso la ancora scarsa conoscenza del settore, e delle sue opportunità, porta a un atteggiamento di molta, troppa cautela, la paura di sbagliare porta a stare fermi e non fare nulla, “mentre invece è fondamentale la capacità di innovazione di un’azienda”.

Gli ostacoli da superare (innanzitutto nelle Pmi)

Sempre restando innanzitutto in ambito piccole e medie imprese, “la prima obiezione che viene fatta all’adozione di sistemi di artificial intelligence riguarda i costi elevati e i tempi lunghi di implementazione”, sottolinea Luca Camporese, managing partner di Var Group: “il secondo ostacolo riguarda molto spesso la figura del Data scientist: le convinzioni più diffuse tra gli imprenditori delle Pmi sono che i Data scientist o non si trovano, o costano troppo, o in concreto non vengono impiegati per funzioni evolute, e così preferiscono poi spostarsi altrove, per cui a volte non è semplice trattenerli in una Pmi per un tempo più lungo”.

Il 2020 è stato un anno di pandemia globale e di forti discontinuità, per cui “la situazione ha portato a un rallentamento delle applicazioni più abituali di intelligenza artificiale ed elaborazione dati, ma al tempo stesso ha anche rappresentato l’opportunità di analizzare nuovi scenari e trovare, per necessità, nuove soluzioni”, osserva Antonella Crea, manager in Data Reply, che sottolinea anche “l’obsolescenza del patrimonio formativo all’interno delle aziende, un punto critico e cruciale a cui va posto un adeguato rimedio”.

Una domanda che molti imprenditori e manager si fanno è: verso l’intelligenza artificiale è meglio un approccio ‘Make’, cioè farla e svilupparla per conto proprio, o ‘Buy’, comprandola all’esterno? Secondo Alberto Messina, coordinatore dell’Area di ricerca sull’AI della Rai, né una cosa né l’altra, nel senso che contengono entrambe vantaggi ma anche ostacoli e aspetti negativi: “spesso è velleitario pensare di poter fare tutto da soli, la ricerca e sviluppo è fondamentale per realizzare nuove e buone soluzioni di AI, solo poche e grandissime aziende tecnologiche possono pensare di essere autonome e autosufficienti, e anche loro in realtà si coalizzano in alleanze e partnership”, sottolinea Messina.

Make or buy? Un po’ l’una e l’altra soluzione

Al tempo stesso, “anche comprare soluzioni di AI dall’esterno presenta delle criticità: ad esempio, i grandi player del settore tendono spesso quasi a forzare e imporre la propria strada e le proprie soluzioni, che sono più o meno globali e generalizzate e non personalizzate, e passano così in secondo piano le reali caratteristiche e necessità del singolo cliente. Quindi, make or buy? La giusta soluzione può essere una via intermedia, costruendo adeguate competenze tecniche interne, in grado così di interagire al meglio con gli operatori e vendor esterni”.

Fonte: Osservatorio Artificial Intelligence

Il mercato dell’Artificial intelligence è spinto soprattutto dai software, su cui si concentra il 62% della spesa, guidata dalla vendita di licenze di software commerciali e dallo sviluppo di software o algoritmi personalizzati. I servizi coprono il restante 38% del mercato e sono rappresentati principalmente da system integration e consulenza, mentre gli investimenti in hardware sono ancora marginali.

I progetti di AI che attirano più investimenti

I progetti di AI che attirano più investimenti sono gli algoritmi per analizzare ed estrarre informazioni dai dati (Intelligent data processing), che coprono il 33% della spesa (+15%). Seguono le soluzioni per l’interpretazione del linguaggio naturale (Natural language processing) con il 18% del mercato (+9%), gli algoritmi per suggerire ai clienti contenuti in linea con le singole preferenze (Recommendation system) con un’incidenza del 18% (+15%) e le soluzioni con cui l’AI automatizza alcune attività di un progetto e ne governa le varie fasi (Intelligent robotic process automation), che valgono l’11% della spesa (+15%). Il restante 20% del mercato è suddiviso equamente fra chatbot e virtual assistant (10%), che sono i progetti con la crescita più significativa (+28%), e le iniziative di Computer vision (10%, +15%), che analizzano il contenuto di un’immagine in contesti come la sorveglianza in luoghi pubblici o il monitoraggio di una linea di produzione.

Più di metà delle 235 imprese medio-grandi italiane analizzate dall’Osservatorio ha attivato almeno un progetto di AI nel corso del 2020. Ma emergono differenze notevoli fra le grandi imprese, dove queste iniziative sono presenti nel 61% dei casi e si concentrano sulla crescita organizzativa e culturale oltreché sulla valorizzazione dei dati e lo sviluppo di algoritmi, e le medie aziende, che appaiono ancora poco mature e hanno progetti attivi solo nel 21% dei casi. Il 91% del campione ha un giudizio positivo sulle iniziative di AI, con risultati sopra (45%) o in linea (46%) con le aspettative, solo il 9% sperava in risultati migliori.

L’intelligenza artificiale e il mercato dei consumatori

L’intelligenza artificiale è ormai nota a quasi tutti i consumatori italiani, il 94% ne ha sentito parlare almeno una volta, e la maggioranza ne ha una concezione corretta, legata all’automazione di specifici compiti (65%), alla guida di veicoli senza l’intervento umano (60%), all’interazione fra uomo e macchina (58%) e al ragionamento logico (40%). Oltre metà degli utenti (il 51%) ha già utilizzato prodotti e servizi che includono funzionalità di intelligenza artificiale, principalmente assistenti vocali del telefono (65%), altoparlanti intelligenti come gli smart home speaker (62%) e sistemi che forniscono suggerimenti sui siti di eCommerce (58%). Il giudizio complessivo sull’AI è positivo per l’83% degli utenti intervistati, percentuale che sale al 91% se si considerano gli utilizzatori di prodotti e servizi con funzionalità AI.

Nella Pubblica amministrazione “l’intelligenza artificiale è ancora agli albori, ma cresce la consapevolezza che è lo strumento giusto e necessario per modernizzare anche la PA”, osserva Massimo Craglia, Senior expert dell’AI Watch, centro di ricerca della Commissione Europea.

Che sottolinea: “a livello europeo, lavoriamo all’interno dell’AI Watch, l’osservatorio dell’Unione Europea sull’artificial intelligence, e un’area di grande sviluppo può e deve essere proprio quella di lavorare su progetti europei basati su dati e risorse europee: lavorare in una dimensione continentale è il modo giusto per fare crescere l’Europa, e l’Italia, in un contesto mondiale dove operano altri colossi come America e Cina, e altri ancora”.

Valuta la qualità di questo articolo

C
Stefano Casini

Giornalista specializzato nei settori dell'Economia, delle imprese, delle tecnologie e dell'innovazione. Dopo il master all'IFG, l'Istituto per la Formazione al Giornalismo di Milano, in oltre 20 anni di attività, nell'ambito del giornalismo e della Comunicazione, ha lavorato per Panorama Economy, Il Mondo, Italia Oggi, TgCom24, Gruppo Mediolanum, Università Iulm. Attualmente collabora con Innovation Post, Corriere Innovazione, Libero, Giornale di Brescia, La Provincia di Como, casa editrice Tecniche Nuove. Contatti: stefano.stefanocasini@gmail.com

email Seguimi su

Articoli correlati

Articolo 1 di 4