È una manovra che manca di visione sulla situazione reale del Paese e di attenzione agli strumenti per la crescita, sacrificati a scapito di interventi politici di breve respiro: è questa la critica che il presidente di Confindustria, Carlo Bonomi, muove verso il disegno di legge di bilancio 2023 presentato dal Governo Meloni al Parlamento.
Nel corso dell’audizione alla Camera sul DDL di Bilancio, il presidente Bonomi ha plaudito la continuità della manovra proposta con il precendente esecutivo in materia di riduzione del debito pubblico e riconosciuto l’attenzione che si è data verso il tema energetico e l’impatto del caro-prezzi su imprese e famiglie.
“Quello che manca però è la visione su quanto sta succedendo. Siamo tutti convinti che l’anno prossimo ci sarà un rallentamento, non potrà stimare di quanto perché ci sono tante variabili. E allora dovremmo fare degli interventi anticiclici, quindi interventi volti alla crescita, sostenere i redditi bassi, la domanda interna e i consumi”, commenta.
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Nuova Sabatini, Formazione 4.0 e decontribuzione al Sud: la delusione di Confindustria sull’assenza di misure rivolte alle imprese
Esprime il suo disappunto Bonomi per il mancato rinnovo delle misure a sostegno degli investimenti delle imprese e in particolare sul mancato rinnovo della Nuova Sabatini – la misura che aveva l’obiettivo di sostenere gli investimenti produttivi delle piccole e medie imprese per l’acquisto di beni strumentali – e sul mancato rinnovo del credito d’imposta per la formazione 4.0 su cui, dopo la decisione del precedente esecutivo di non rinnovarlo, si attendeva un’inversione di rotta visto che i dati relativi all’utilizzo dei vari strumenti del Piano Transizione 4.0 avevano mostrato invece che lo strumento aveva finalmente iniziato a essere apprezzato dalle aziende.
E ancora, nessuna modifica del dimezzamento nel 2023 del credito d’imposta sugli investimenti in beni strumentali 4.0 – con le aliquote che quindi saranno più che dimezzate a partire dal prossimo anno –, nessun fondo per il Made in Italy, nessun rafforzamento per gli IPCEI, i grandi progetti di ricerca europei per l’autonomia tecnologica di grandi filiere industriali.
Grande sorpresa e delusione viene espressa anche per l’assenza di strumenti a incentivazione degli investimenti al Sud, come il credito d’imposta dedicato proprio a sostenere le imprese del Mezzogiorno e il credito di imposta ZES, misura introdotta dalla legge di stabilità del 2016 a sostegno e delle imprese che acquistano beni strumentali nuovi destinati a strutture produttive ubicate nelle regioni Campania, Puglia, Basilicata, Calabria, Sicilia, Molise, Sardegna e Abruzzo.
“Viene mantenuta la decontribuzione al Sud solo perché c’è il framework sugli aiuti di stato e quindi siamo nella condizione che dobbiamo sperare che la guerra in Ucraina continui per avere la decontribuzione al Sud”, commenta Bonomi.
Cuneo fiscale, delusione per un intervento “risibile”
Grande delusione anche per l’intervento sul cuneo fiscale, troppo marginale rispetto alle dichiarazioni fatte dai partiti prima della presentazione del testo e, soprattutto, non sufficiente rispetto alle esigenze del Paese.
Un Paese dove, ricorda Bonomi, con un cuneo contributivo fiscale del 46,5% (rispetto a una media Ocse del 34,6%) si pagano più tasse sul lavoro che non sulle rendite finanziarie.
“Il solo mantenimento dell’intervento del Governo Draghi e un risibile intervento solo su redditi al di sotto di 20.000 euro per noi non va nella giusta direzione”, aggiunge.
Confindustria, invece, auspicava un intervento “molto più coraggioso e forte”, quindi con un taglio del cuneo fiscale di 16 miliardi, concentrato sui redditi al di sotto dei 35.000 euro, che avrebbe consentito di portare il taglio cuneo contributivo fiscale sotto la media europea, quindi al 40,8% e soprattutto avrebbe voluto dire mettere in tasca degli italiani 1.223 euro.
Un intervento che invece è stato sacrificato a favore di scelte politiche che, se pure in mantenimento di quanto promesso nella campagna elettorale, non erano in questo quadro economico difficile prioritarie, come l’intervento sulla cosiddetta “flat tax” e sulle pensioni.
Le prime misure, sottolinea Bonomi, “costituiscono in realtà un’estensione di regimi forfetari esistenti, che minano il principio di progressività delle imposte e, soprattutto, creano sperequazioni tra lavoro autonomo e subordinato“.
Il rischio, più che concreto dalle osservazioni di Confindustria, è che lavoratori dipendenti chiedano di essere passati al regime della Partita Iva perché più conveniente in materia fiscale, con inevitabili effetti sulla sostenibilità del sistema previdenziale.
Analoghi rilievi sul carattere disorganico delle misure previste nel Ddl riguardano l’esperimento di una flat tax incrementale per i soggetti che non rientrano nel regime forfettario.
“Complessivamente, le due flat tax (quella che estende il regime forfetario fino a 85.000 euro e quella incrementale) drenano risorse pubbliche per poco meno di 1,2 miliardi nel 2024”, aggiunge.
Pensioni, interventi che non arrecheranno alcun beneficio
Giudizio simile sulla linea seguita dal Governo Meloni in materia di pensioni, con la proposta della “Quota 103” che non solo non si basa su alcuna connessione con le attività lavorativa svolta – la misura prevede la possibilità di andare in pensione con 41 anni di contribuzione e 62 di età –, ma che “allontana di nuovo dall’obiettivo di mettere in sicurezza la spesa previdenziale italiana, senza arrecare alcuna utilità in termini di ricambio generazionale e accesso dei giovani al mercato del lavoro”.
Lo si è visto già con Quota 100, sottolinea il presidente di Confindustria, per cui il tasso di sostituzione tra ingressi e uscite è stato stimato attorno a 0,4. Un intervento quindi che peserà sulle casse dello Stato per 570 milioni nel 2023 e 1,2 miliardi nel 2024, con il serio rischio di non dare alcun contributo all’obiettivo di allargare la base occupazionale e favorire l’inserimento dei giovani nel mercato del lavoro.
Misure a favore dell’occupazione giovanile e femminile, i benefici rischiano di rimanere sulla carta
Troppo timidi anche gli interventi volti a incentivare l’occupazione di giovani e donne che, ricordiamo, si sono limitati a riconfermare l’esonero per un periodo massimo di 12 mesi dal versamento dei contributi previdenziali a carico dei datori di lavoro, con esclusione dei premi e contributi dovuti all’Inail nel limite massimo di importo pari a 6.000 euro su base annua, per quei datori di lavoro privati che, a decorrere dal 1º gennaio 2023 al 31 dicembre 2023, assumono lavoratori con contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato o che, nello stesso periodo di riferimento, trasformano contratti a tempo determinato in contratti a tempo indeterminato.
“L’attenzione alla crescita dell’occupazione giovanile e femminile si risolve con l’ennesimo ricorso a un vecchio strumento che sarà operativo solo dopo l’autorizzazione della Commissione UE. E, poiché si è ancora in attesa di quella relativa all’esonero per le assunzioni effettuate nel periodo luglio-dicembre 2022, vi è il più che fondato rischio che anche il nuovo sgravio resti sulla carta“.
PNRR, occorre procedere con una rigorosa attuazione
In tema di PNRR, Bonomi lancia un appello al Governo sulla necessità di procedere con una rigorosa attuazione del Piano, sia per avere la credibilità necessaria in Europa, sia a ottenere le indispensabili rimodulazioni del Piano imposte dall’emergenza bellica, sia a “giocare” in modo efficace la partita cruciale della riforma della governance economica europea.
“I tempi sono stretti per raggiungere gli obiettivi di fine anno”, ricorda il presidente di Confindustria, in particolare per quanto riguarda l’attuazione della legge sulla concorrenza e la prosecuzione dell’azione di semplificazione di norme e procedimenti amministrativi necessaria per velocizzare gli investimenti.
Critiche anche per il dietrofront sui pagamenti elettronici – con la proposta di consentire ai commercianti di rifiutare i pagamenti elettronici al di sotto dei 60 euro – in netta contraddizuione con gli impegni presi con la Commissione europea e funzionale alla seconda rata dei finanziamenti del Piano.
“Confidiamo, dunque, che si tratti di una mera svista, che, di fatto, rischia di rallentare il processo di digitalizzazione del Paese e ostacolare la lotta all’evasione”, conclude.