L’economista Korinek: “Prepariamoci alla fine del lavoro e del mercato”

Nel suo ultimo lavoro intitolato “Preparing for the (Non-Existent?) Future of Work” firmato insieme a Megan Juelfs, l’economista Anton Korinek esamina uno scenario futuribile nel quale, a causa della concorrenza delle macchine, i salari non saranno più sufficienti a coprire i fabbisogni primari dei lavoratori, sancendo così la fine dell’Età del Lavoro e, con essa, dell’economia di mercato. La soluzione migliore per tutti sarebbe l’introduzione di un reddito di base universale…

Pubblicato il 27 Giu 2022

relax

Il lavoro degli economisti può apparire strano agli occhi dei più, soprattutto quando si concentra su scenari basati su assunti fortemente teorici e su ipotesi che spesso sono chiaramente false, come ad esempio nel caso della teoria della concorrenza perfetta che è la base della microeconomia.

Vi starete chiedendo se possa considerarsi valida una conclusione che discenda da ipotesi false. E proprio questo è quello che rende interessante l’Economia. Che si basa su modelli e assunzioni spesso semplificati per ragionare su possibili scenari, ponendosi quindi come “scienza sociale” e non come “scienza esatta”.

Anton Korinek, classe 1978, è un economista austriaco che lavora all’Università della Virginia. Ha firmato numerosi lavori sull’impatto della tecnologia sull’occupazione, alcuni anche in collaborazione con il premio Nobel Joseph Stiglitz. Il suo ultimo paper, firmato con Megan Juelfs, si intitola “Preparing for the (Non-Existent?) Future of Work” e disegna uno scenario nel quale gli uomini non potranno (e non dovranno) più lavorare.

Il futuro senza lavoro

Lo studio prende in considerazione uno scenario nel quale il lavoro, a causa della “concorrenza” delle macchine, non esista più o non sia più conveniente. Più precisamente “uno scenario in cui macchine autonome sempre più intelligenti sostituiscono il lavoro umano e fanno scendere i salari” al di sotto del livello di sussistenza.

Gli autori si interrogano su come debba comportarsi un Governo che ragioni su base prettamente utilitaristica.

Il lavoro muove dalle tre principali ipotesi che potrebbero condurre a questo scenario, che sono le seguenti:

  1. Il progresso tecnologico può condurre a una graduale riduzione del lavoro e dei salari
  2. Le macchine potrebbero diventare sostituti perfetti del lavoro umano
  3. Il lavoro potrebbe diventare economicamente superfluo, cioè offrire un salario non sufficiente a coprire i fabbisogni del lavoratore.

Di ciascuno di questi tre punti vengono analizzate le dinamiche scatenanti, così come alcuni possibili freni. Per poi trarne le dovute conseguenze.

Gli ostacoli allo scenario

Korinek e Juelfs passano in rassegna, dicevamo, alcuni fattori di “conservazione”, che quindi operano in direzione contraria rispetto allo scenario della sparizione del lavoro.

Il primo è la superiorità umana e consiste nella convinzione che il lavoro umano non diventerà mai completamente superfluo, perché gli esseri umani sono innatamente superiori alle macchine in alcuni ambiti.

Gli autori però, pur riconoscendo che si tratti di una possibilità, osservano che “non esistono leggi fisiche o economiche che suggeriscano che l’intelligenza e la destrezza delle macchine non possano in linea di principio superare le loro controparti umane”.

E a chi suggerisce che le macchine non avranno mai una “coscienza” rispondono che esse “non devono possedere gli attributi metafisici che molti attribuiscono agli esseri umani, come l’anima. Devono solo essere in grado di svolgere tutti i compiti che hanno un valore economico in modo efficace, compresi quelli che coinvolgono l’intelligenza sociale ed emotiva”.

Secondo ostacolo allo scenario è la cosiddetta “lump of labour fallacy”, letteralmente fallacia della quantità fissa di lavoro: poiché non è vero che il lavoro è disponibile in una quantità fissa, in un’economia ben funzionante l’eccedenza di lavoro esercita una pressione al ribasso sui salari, rendendo più conveniente la creazione di nuovi posti di lavoro e di conseguenza una nuova domanda di lavori che riporta i salari in equilibrio. Allo stesso modo, l’innovazione finisce per creare nuova domanda di lavoratori esercitando una pressione al rialzo sui salari fino a quando il mercato non torna in equilibrio.

Sul punto, Korinek e Juelfs spiegano che “da un punto di vista macroeconomico, ciò che conta non è la creazione o la distruzione di specifici posti di lavoro (…) ma gli effetti della tecnologia sulla domanda complessiva di lavoro”. La terza preoccupazione non afferma che i posti di lavoro non esisterebbero o che non se ne potrebbero creare di nuovi, ma solo i salari non sarebbero sufficienti a garantire la sussistenza del lavoratore.

Terzo punto, l’estrapolazione storica. Il fattore su cui punta questa obiezione è l’esperienza storica successiva alla rivoluzione industriale. Durante il XIX e l’inizio del XX secolo, le macchine hanno sostituito il lavoro manuale e gli uomini si sono concentrati su compiti più cognitivi. Dall’inizio dell’era dei computer, le macchine hanno sostituito le attività strutturate di elaborazione delle informazioni, noiose e ripetitive, creando al contempo nuovi lavori per gli esseri umani che comportavano compiti cognitivi più diversificati e sfruttavano la natura poliedrica dell’intelligenza umana, rendendo possibile anche un aumento dei salari.

A questa obiezione gli autori replicano che “non ci sono leggi fisiche o economiche fondamentali che affermino che questi modelli continueranno a sussistere anche in futuro” e che si tratta di una convinzione che “si basa esclusivamente sull’estrapolazione dei 250 anni trascorsi dalla Rivoluzione industriale”: le tendenze del passato non continueranno necessariamente in futuro.

Quarta obiezione è la domanda umana. Un’economia non potrebbe funzionare senza la domanda dei consumatori e gli esseri umani hanno bisogno di guadagnare un salario per poter consumare beni e servizi e mantenere in vita l’economia.

Gli autori confutano questa obiezione spiegando che la domanda non deve necessariamente provenire dagli esseri umani e che comunque non deve necessariamente esser finanziata con il reddito da lavoro.

Quinta obiezione, i lavoro “nostalgico”: anche se il lavoro umano può essere perfettamente sostituito, gli esseri umani preferiranno sempre ottenere certi servizi da altri esseri umani piuttosto che dalle macchine, per ragioni che possiamo definire “nostalgiche”. Ad esempio, gli esseri umani potrebbero preferire non sostituire i servizi di sacerdoti, giudici o legislatori umani.

Gli autori accettano parzialmente questa obiezione, ma rilevano che se il numero di posti di lavoro “nostalgici” che sopravvivono è basso, la domanda complessiva di lavoro può comunque diminuire al punto da spingere i salari al di sotto dei livelli di sussistenza.

Ultima obiezione è la teoria del vantaggio comparativo, che nasce in ambito commerciale e sostiene che ciò che conta per uno scambio proficuo è il vantaggio comparativo, non il vantaggio assoluto.

“Nel nostro scenario – sottolineano gli autori – i fattori (compreso il lavoro) sono costosi da mantenere e i produttori possono scegliere quale tecnologia adottare: in condizioni di forte ridondanza economica, il lavoro è semplicemente una tecnologia dominata per la quale non vale la pena pagare da un punto di vista puramente economico”.

La scomparsa del mercato e il reddito di base universale

Siamo quindi in uno scenario in cui la manodopera diventa economicamente superflua e viene sostituita da macchine autonome il cui costo è inferiore a quello di un salario che consenta la sussistenza del lavoratore.

In una logica di mercato, i lavoratori, il cui sostentamento dipende dal reddito di lavoro (insufficiente) e dal patrimonio accumulato, finirebbero progressivamente per impoverirsi fino a morire di stenti.

A questo però ci sarebbe una soluzione: il drastico calo dei costi di produzione ottenuto affidandola completamente a macchine poso costose consentirebbe una produzione economica e una crescita enormemente superiore, mettendo lo Stato in condizione di distribuire parte del surplus generato dalle macchine autonome agli ex lavoratori per compensarli delle perdite subite.

La soluzione individuata dagli autori è un reddito di base universale, cioè da erogare a tutti e svincolato dalla prestazione lavorativa: un reddito che “non impone ai beneficiari di lavorare né li scoraggia attivamente dal farlo”.

Questo richiederebbe un progressivo spostamento della tassazione dai redditi da lavoro a quelli di natura diversa.

Secondo gli autori, se saremo in grado di prepararci a questo scenario mettendo in piedi le giuste istituzioni economiche per distribuire l’abbondante produzione, potremmo essere in grado di realizzare il sogno di Arthur C. Clarke secondo cui “l’obiettivo del futuro è la piena disoccupazione, così possiamo giocare”.

Il documento originale

Se volete approfondire la lettura del lavoro “Preparing for the (Non-Existent?) Future of Work” di Anton Korinek e Megan Juelfs, superando le necessarie semplificazioni di questo breve resoconto, vi consigliamo di leggere il documento integrale che trovate qui sotto.

NonexistentFuture

Valuta la qualità di questo articolo

Franco Canna
Franco Canna

Fondatore e direttore responsabile di Innovation Post. Grande appassionato di tecnologia, laureato in Economia, collabora dal 2001 con diverse testate B2B nel settore industriale scrivendo di automazione, elettronica, strumentazione, meccanica, ma anche economia e food & beverage, oltre che con organizzatori di eventi, fiere e aziende.

email Seguimi su

Articoli correlati

Articolo 1 di 4