Una gestazione lunghissima e una notevole complessità concettuale, tecnica e procedurale: sono alcuni dei principali fattori che hanno decretato l’iniziale insuccesso del piano Transizione 5.0, su cui pure molti avevano (forse ingiustificatamente) fondato le aspettative di recupero degli investimenti.
E partiamo proprio da quest’ultimo punto. La crisi degli ordinativi di beni strumentali ha radici complesse, che partono dal boom post-pandemico e approdano alle difficoltà dell’economia tedesca, passando per le note dinamiche del settore automotive, la crisi sul fronte ucraino, le mai risolte frizioni con la Cina e il latente indebolimento della domanda proprio del gigante asiatico. In un contesto del genere averci messo del nostro con un piano di incentivi poco attraente sicuramente non ha giovato alle dinamiche degli investimenti, ma di qui a considerarlo la causa ce ne passa.
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Un piano finora poco attrattivo
Veniamo dunque alla scarsa attrattività del piano. Le cause sono diverse, ma volendo semplificare possiamo individuarne alcune principali.
La prima è che la misura è complessa da spiegare, da capire e da mettere a terra. Non ci sono “success story” che tengano, perché ogni azienda e ogni investimento fanno storia a sé. In questo contesto le difficoltà maggiori stanno nel dimostrare come un bene strumentale 4.0 possa generare direttamente un risparmio di energia.
Una seconda causa è invece legata alla struttura delle aliquote. Per chi dovesse fermarsi alla prima fascia di “merito”, cioè raggiunga solo il risparmio minimo previsto, l’aliquota è del 35% per i primi 2,5 milioni e del 15% per la quota compresa tra 2,5 e 10 milioni. Il piano 4.0 offre invece, per le stesse fasce, il 20% e il 10% a fronte di vincoli e requisiti considerevolmente inferiori. Va da sé che per un investimento potenzialmente 5.0 – poniamo – di 5 milioni, fatti i primi 2,5 al 35% conviene portare i secondi 2,5 sul 4.0 prendendosi il 20% invece del 15% offerto per il secondo scaglione dal piano Transizione 5.0.
Un’ulteriore causa è invece la scarsa attrattività dell’incentivo sulle rinnovabili. Sappiamo che le maggiorazioni sono previste solo per i pannelli di tipo b) e c) che non sono al momento sul mercato. E l’incentivo senza maggiorazioni, quindi con aliquote del 35% o 45%, sui pannelli di tipo a) non è ancora tale da scoraggiare la più semplice scelta dei pannelli extraeuropei, disponibili a prezzi inferiori.
Ci sono poi i nodi relativi alla disciplina DNSH e alla cumulabilità solo con incentivi alimentati da provviste nazionali.
Le novità in arrivo
Su tutti questi punti (e non solo) sono in arrivo numerosi correttivi che il Governo sta cercando di apportare al piano. Non senza difficoltà, perché anche il Governo deve rapportarsi a sua volta una serie di vincoli – in primis quelli relativi al fatto che le risorse sono comunitarie e quindi ogni modifica sostanziale al piano va di fatto concordata con la Commissione.
Un primo set di novità è previsto dall’emendamento al Decreto Fiscale proposto dal senatore Matteo Gelmetti, di cui vi abbiamo dato conto dettagliatamente qui.
Questo emendamento (concordato con il Governo) prevede intanto l’accorpamento delle prime due fasce di investimento. Viene quindi rimosso il limite dei 2,5 milioni portando la prima soglia fino ai 10 milioni. Prevede poi un importante aumento delle aliquote, che passerebbero, per questa prima maxifascia di investimento, e considerando sempre l’efficientamento energetico minimo indispensabile, dagli attuali 35% (fino a 2,5 milioni) e 15% (da 2,5 a 10 milioni) a un sonoro 50% per l’intera fascia 0-10 milioni. E l’aliquota per i livelli di efficientamento più alti salirebbe addirittura al 60%.
L’emendamento Gelmetti prevede poi una maggiorazione del 30% anche per i pannelli di tipo a), per salire al 40% e al 50% per i pannelli di tipo b) e c).
Un’ulteriore modifica prevista da questo emendamento è poi la cumulabilità (attualmente esclusa) con l’incentivo per la ZES.
Se questo non bastasse, il Governo ha in mente ulteriori modifiche che dovrebbero essere oggetto di un secondo emendamento ancora non presentato (non è chiaro se sarà sempre nell’ambito della conversione del Decreto fiscale o al disegno di legge di bilancio). Queste ulteriori modifiche dovrebbero consentire un’estensione dei termini per l’ultimazione degli investimenti da dicembre 2025 ad aprile 2026; eliminare il divieto di cumulo con gli altri incentivi finanziati da risorse non nazionali; consentire di evitare il calcolo del risparmio energetico in caso di sostituzione di cespiti (beni materiali previsti dall’allegato A) il cui ammortamento è terminato da oltre 24 mesi. Considerando il periodo più frequente di 5 anni per l’ammortamento, in pratica la sostituzione di tutti i macchinari con oltre 7 anni rientrerebbe nel piano Transizione 5.0 senza complicazioni legate alla dimostrazione del minor consumo di energia.
Un ulteriore fronte su cui il Governo sta lavorando – ma qui l’esito non è scontato – è la possibilità di recuperare investimenti già avviati al piano Transizione 4.0 per portarli – se ne ricorrono i presupposti – nell’alveo del piano Transizione 5.0.
Un giudizio da rivalutare
Tutto questo si aggiunge alle importanti aperture interpretative contenute nelle FAQ datate 2 novembre, tra le quali segnaliamo soprattutto la semplificazione del calcolo della riduzione dei consumi energetici per le imprese che ampliano la produzione in strutture produttive diverse da quelle esistenti e della configurazione dello scenario controfattuale per i beni customizzati e complessi.
Va da sé che l’insieme di queste modifiche che stanno prendendo corpo e che verosimilmente si concretizzeranno a metà dicembre rivoluziona letteralmente la normativa che ci siamo abituati a “criticare” in questi mesi. La prudenza è d’obbligo, ma la determinazione del Governo sembra sincera, se non altro per ovviare all’eccessivo ricorso delle imprese agli incentivi previsti dal piano Transizione 4.0 finanziato interamente con risorse nazionali.
Alle aziende quindi suggeriamo di tornare a valutare senza pregiudizi questo incentivo, tenendo conto che tutte le modifiche in arrivo – comprese quelle sulle aliquote – saranno sicuramente estese anche ai progetti già avviati.