In quest’epoca di trasformazione 4.0 una sempre più ampia schiera di artigiani digitali sta cambiando l’economia e i modelli di business, senza clamore e dal basso. Nel rapporto tra artigianato e nuove tecnologie, il punto non è più se l’artigiano deve essere digitale, ma ‘come’, in che forma, con quali modalità.
Perché oggi qualsiasi impresa deve fare ricorso all’innovazione. Per ottimizzare i costi, raccontarsi e proporsi al meglio, raggiungere mercati e clienti impossibili da avvicinare fino a pochi anni fa. I nuovi Digital Maker sono appassionati di tecnologia, ingegneri, imprenditori, pensatori, inventori, anche autori, artisti, studenti, chef, artigiani 4.0, insomma tutti coloro che creano con la forza delle proprie idee, e realizzano con le potenzialità degli strumenti Hi-tech.
Sono persone che, con un approccio all’avanguardia, realizzano prodotti e progetti capaci di avvicinare la nostra società a un futuro più innovativo, semplice e funzionale. Il loro motto è non solo “fai da te”, ma soprattutto “facciamo insieme”. E lo spazio di sviluppo, in ambito aziendale, economico, sociale, che i Digital Maker potranno offrire e realizzare è enorme.
“L’artigiano italiano ha sempre fatto innovazione, per esempio realizzando da solo gli utensili e i macchinari, sperimentando nuove tecniche e nuovi materiali, ed è per questo che le nostre aziende offrono sul mercato prodotti straordinari, e l’Italia rimane un Paese fortissimo sul fronte della creatività. Ma il digitale dà una marcia in più all’economia italiana, a patto che le nostre piccole e medie imprese sappiano rinnovarsi, riorganizzare le risorse e, soprattutto, lavorare in Rete. Nel terzo millennio è questa la vera sfida dell’artigianato”, come rimarca Marco Bentivogli, segretario generale della Fim-Cisl, nel suo libro ‘Contrordine compagni‘, pubblicato da Rizzoli, con un sottotitolo molto esplicito: ‘Manuale di resistenza alla tecnofobia, per la riscossa del lavoro e dell’Italia’.
Il volume affronta e analizza ogni aspetto della Rivoluzione 4.0 in corso, dall’Intelligenza artificiale all’IoT, dal cambiamento nelle aziende al lavoro, con potenzialità e prospettive, tra cui quelle dei nuovi artigiani Hi-tech.
I Digital Maker lavorano nei Fab Lab e usano macchinari come frese o stampanti 3D, ma anche software Open source, aggiornamenti e applicazioni che si possono scaricare gratuitamente dal web. Il Digitale, del resto, favorisce condivisione di competenze e attrezzature, contribuisce a recuperare, in modo nuovo e con strumenti nuovi, quella manualità artigianale che ha reso grande il Made in Italy, e che genera innovazione, lavoro e sviluppo, con importanti ricadute sociali.
Si pensi, ad esempio, alle potenzialità delle infrastrutture di Blockchain, alla capacità di riconoscere valore a singoli segmenti della catena. Che può essere una catena di fornitura, per aziende e prodotti, di servizi, di lavoro artigianale, creativo e progettuale.
Indice degli argomenti
Il ‘Rinascimento’ dell’artigianato Hi-tech
I nuovi artigiani digitali fanno di tutto: dalle produzioni di tipo ingegneristico, come apparecchiature elettroniche, realizzazioni robotiche, dispositivi per la stampa 3D, macchinari a controllo numerico, a quelle più convenzionali, come la lavorazione dei metalli e del legno.
“Come accadde nel Rinascimento, quando artisti e artigiani poterono finalmente firmare le loro opere, i nuovi Digital Maker costituiscono un vero e proprio movimento culturale dalle enormi potenzialità sul piano dello sviluppo sociale ed economico, grazie alle loro capacità di esplorare nuove strade o semplicemente di percorrere in modo moderno quelle esistenti”, sottolinea nel libro Bentivogli.
Che osserva: “siamo di fronte a una ri-definizione e riorganizzazione del lavoro industriale, della produzione e dei servizi, che non devono essere vissute alla finestra. Tralasciando le sciagure profetizzate dai ‘declinisti’, la grande trasformazione è già in corso. Le nuove mappe della geografia del lavoro e delle produzioni sono anch’esse in via di rielaborazione”. Questi nuovi artigiani “sono i protagonisti di un ecosistema capace di creare valore e nuove forme di occupazione”, e “non è un caso che le Maker Faire in ogni città sono stracolme di visitatori”.
Artigiano tradizionale e nuovo Maker innovativo
Ma quali sono le differenze tra artigiano tradizionale e artigiano digitale? Il Digital maker è in sostanza un creativo e anche un programmatore informatico: sviluppa algoritmi, codici sorgente, software, App. “Eppure i concetti di ‘artigianato’ e di ‘digitale’ sono molto più vicini di quanto si pensi. Il metodo informatico non è affatto un processo industriale, dato che non può essere in alcun modo standardizzato né automatizzato e che richiede un’elevata opera di personalizzazione”, fa notare il leader sindacale divenuto paladino dell’evoluzione tecnologica nelle imprese, e nell’economia del Paese. E l’artigianalità “non si riduce certo a un sistema di servizi online da cui scaricare disegni da stampare in 3D”.
Le soluzioni create dai Maker non possono avere approcci e realizzazioni standard perché verrebbero meno originalità, diversità e competitività dell’impresa che le utilizza, e richiedono il continuo adattamento della ‘cassetta degli attrezzi informatici’ a contesti sempre nuovi, specifici e unici.
“L’esplosione delle tecnologie digitali, l’Open source, la standardizzazione delle interfacce, i Routine software riutilizzabili e i modelli 3D di oggetti stampabili consentono al Maker di avere tra le mani una formidabile ‘materia prima digitale’, riutilizzabile e adattabile, e di avere prestazioni elevate a costi contenuti”, rileva Bentivogli, è poi “ovviamente necessario che ogni artigiano selezioni e utilizzi solo le tecnologie digitali più adatte ai propri manufatti e al settore merceologico in cui opera”.
La convergenza tra artigiani e grande impresa 4.0
Il leader sindacale della Fim-Cisl, come suo stile, non si tira indietro nel fare considerazioni schiette: “come tutte le realtà che funzionano, in Italia quella dei Maker è trascurata dalla ricerca e dal mondo accademico, a eccezione del professor Stefano Micelli e pochi altri, mentre viene largamente studiata e monitorata con attenzione oltre confine”.
In questo scenario, è in atto “una convergenza davvero interessante tra nuovi artigiani e grande impresa. Un fenomeno che, lungi dal riesumare il disastroso ‘piccolo è bello’, degli anni in cui abbiamo rovinosamente elogiato il nanismo aziendale, riaccende la discussione sulla taglia dimensionale” delle aziende e dell’organizzazione del lavoro, sottolinea il leader sindacale.
Il Digitale consente di aprire la catena del valore industriale al mondo dei Maker grazie alla sempre maggiore ‘sartorialità’ delle produzioni. Allo stesso tempo, “stiamo andando incontro a un futuro in cui il lavoro sarà caratterizzato dalla scomparsa delle vecchie linee Fordiste, e poi Lean, in favore di una ‘artigianalizzazione’ più spinta dell’opera del lavoratore industriale. Questa partita, giocata dentro i nuovi ecosistemi intelligenti, consentirà di collegare la domanda di identità con la progettazione dell’innovazione. Ma occorre riconnettere il lavoro al consumo, alla sostenibilità, per battere la domanda standard, tipica dei consumi insostenibili”.
Anticipare i cambiamenti nel Paese della tecnofobia
Più in generale, uscendo dagli ambiti e dalle potenzialità dei Digital Maker, per considerare quelli dell’intera innovazione 4.0 in corso, “non sono state e non saranno le macchine ad abbattere l’occupazione, ma la mancanza di investimenti in tecnologie e formazione. Questo è un dato centrale”, sottolinea con decisione Bentivogli: “il processo di innovazione non avviene in modo neutrale, ma è orientato da coloro che anticipano il cambiamento: questi, grazie a una maggiore visione sul lungo periodo, sanno progettare cosa avverrà e renderlo quanto più simile a ciò che si desidera”. Per cui, “vincerà chi saprà disegnare nuove architetture industriali e sociali sostenibili, e progettarle ex novo a partire da un foglio bianco”.
La trasformazione digitale implica il cambiamento delle culture su cui le organizzazioni basano il proprio funzionamento. Non è facile, non è automatico, non si tratta semplicemente di imparare a utilizzare una nuova tecnologia, ma di costruire, con gli altri, nuove rappresentazioni del lavoro, dell’impresa, e non solo.
Immaginare il futuro con il ‘pensiero divergente’
“Pensare il futuro significa rischiare, battere territori sconosciuti, sfidare fobie e ansie, puntare sulle proprie carte con coraggio e intraprendenza. È la sola terapia per un Paese come il nostro, malato di paura e minacciato da visioni apocalittiche”, denuncia nel libro il segretario generale della Fim-Cisl.
Occorre mettere in campo tanti fattori insieme: visione, strategie, politica, investimenti, formazione. Occorre anche e innanzitutto il cosiddetto ‘pensiero divergente‘. Rimarca Bentivogli: “il pensiero divergente è l’unico non sostituibile dagli algoritmi di Intelligenza artificiale, l’unico capace di ridiscutere verità acquisite per innovare anche il sapere precostituito. Il pensiero divergente è quello che ha guidato Leonardo da Vinci, Steve Jobs, ma anche Gandhi. Innovatori che hanno trovato insoddisfacente l’orizzonte che il pensiero tradizionale della loro epoca considerava immutabile”.
E per concludere, o meglio, per cominciare, “dobbiamo guardare avanti, riaccendendo la radice etica di qualsiasi progetto umano. Non possiamo più aspettare quel pezzo di élite pigra, già accomodata, che procede così lentamente da farsi sorpassare dal passato”.