La robotica cresce, nel nostro paese, e lo fa con numeri a doppia cifra che proiettano l’industria italiana tra quelle che hanno maggiori potenzialità di sviluppo. Secondo le stime dell’Ifr, infatti, in Italia nel 2018 sono stati venduti quasi 10 mila robot (9.837 unità), con una crescita del 27%, significativamente superiore alla media mondiale (+6%). Numeri che hanno permesso all’Italia di confermarsi secondo mercato in Europa, dopo la Germania, e di recuperare posizioni, sia nella classifica mondiale dei paesi che usano maggiormente la robotica (da ottavi a settimi) che in quella dei paesi a maggiore densità di robot adottati per ciascun lavoratore (da decimi a noni). Un risultato importante che segna un’inversione di tendenza: dieci anni fa l’Italia era quarto Paese al mondo per consumo di robot ed è poi scivolato in decima posizione.
Una robotica che cresce, quindi, e che stimola sempre di più l’attenzione delle imprese manifatturiere (e non solo), soprattutto per le sue componenti più avanzate. A questo tema Messe Frankfurt Italia, che aveva avviato un percorso già in occasione della nona edizione di SPS Italia includendo la robotica nel District 4.0, ha dedicato un momento di approfondimento con una tavola rotonda intitolata “Robot e Automazione: le sfide per l’integrazione”, che si è tenuta a Milano.
“I robot sono il ponte che incarna tutto quello che è il movimento dell’Industria 4.0 – spiegano gli organizzatori – e gli elementi che meglio rappresentano la trasformazione delle nostre aziende. Inoltre la robotica oggi è sempre più agile e, quindi, diventano interessanti anche industrie leggere come il packaging, il food e il beauty”.
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La ricerca: il 60% dei costruttori di macchine usa robot
La tavola rotonda è stata l’occasione per presentare i risultati dello studio “Mappatura sulle sfide e le potenzialità della robotica in ambito industriale: Focus Packaging”, che rientra tra le attività messe in atto da Messe Frankfurt Italia, con il Politecnico di Milano, per supportare l’innovazione e il processo di trasformazione in ambito manifatturiero.
“Abbiamo intervistato un gruppo nutrito di aziende – ha sottolineato Giambattista Gruosso, professore del Politecnico di Milano – leader nel mondo della costruzione di macchine in diversi settori. Quello che emerge è che c’è un interesse importante nell’uso della robotica: quasi il 60% delle aziende intervistate utilizza la robotica, in qualche modo, e un altro 30% la sperimenta in applicazioni, non critiche. Tutti, però, stanno guardando alla robotica tradizionale perché quel tipo di lavorazioni molto spesso non richiede la presenza umana, e questo rende le macchine veloci e capaci di produrre tanti pezzi al minuto. La robotica collaborativa, in compenso, non ha preso tantissimo campo rispetto a quella tradizionale”.
Tra temi più interessanti emersi dalla ricerca, quello legato all’integrazione tra robotica e automazione. “In questo caso più che la collaborazione uomo-macchina – prosegue – c’è quello della collaborazione macchina-macchina. La comunicazione, il linguaggio, le integrazioni devono essere fatte a un livello comune per fare in modo che l’entità robot parli con l’entità macchina. Uno dei trend che è emerso maggiormente è quello della robotica mobile: rendere le macchine, che per loro natura sono rigide, più flessibili perché possano andare a prendersi da soli dei pezzi ma anche fare auto manutenzione”.
Infine i temi legati all’intelligenza artificiale, che – sottolinea Gruosso – riguardano aspetti concreti, utilizzando soprattutto sistemi di visione, sopratutto per le operazioni non ripetitive. “La verniciatura del mondo automotive non richiede sempre un sistema di visione – sottolinea – perché il robot sa esattamente come è fatta la macchina, dov’è posizionata, e quindi può verniciare senza sapere cosa succede. Ma se devo gestire produzioni flessibili, dove il pezzo cambia da un ciclo a un altro, il robot deve riconoscere l’orientamento del pezzo e verificare altri parametri e, quindi, deve potere interagire con l’ambiente. Per questo i sistemi di visione, che già oggi per loro natura sono una piattaforma di intelligenza artificiale, diventano parte integrante, a tutti gli effetti, del sistema robotico”.
Dai soft robot al deep learning, l’esperienza del Politecnico di Milano
A dare un segnale di quello che è lo stato dell’arte in questo comparto Paolo Rocco, docente del Politecnico di Milano e Membro del Consiglio Direttivo I-RIM. “I temi emergenti sono la soft robotics, ovvero la realizzazione di robot con materiali innovativi per applicazioni oggi impensate – spiega – ma anche la robotica umanoide e le tecnologie di deep learning, e consentono di dare alle macchine capacità cognitive. Questo è un po’ anche ciò che stiamo facendo al Politecnico di Milano dove ci occupiamo molto di robotica collaborativa intelligente”. In pratica si tratta di far collaborare robot e uomo allo stesso processo produttivo grazie alla possibilità di dotare i robot di capacità cognitive.
“Tramite strumenti di visione macchina può vedere che cosa sta facendo l’uomo – prosegue Rocco – interpretarne le azioni e predire, in una certa misura il comportamento futuro. Il robot, quindi, è in grado di sintonizzarsi bene con l’uomo, a tutto vantaggio della fluidità dell’operazione collaborativa e, in ultima analisi, della produttività”.
Allo sforzo del mondo della ricerca, però, si deve aggiungere anche una maggiore consapevolezza, una svolta culturale sulla quale punta l’associazione I-RIM. “Questa nuova realtà che abbiamo fondato – spiega – vuole mettere insieme tutte le anime, sia dal punto di vista della ricerca che aziendali, che si occupano a vario titolo di robotica e macchine intelligenti. È una svolta culturale ma, a noi piacerebbe che I-RIM diventasse in qualche modo l’alfiere del concetto dell’intelligenza artificiale non fine a se stessa ma applicata alle macchine. Dobbiamo cercare di sfruttare il nostro punto di eccellenza, che è la produzione di manifatturiero, rendendole sempre più in grado di interagire con l’ambiente grazie all’intelligenza artificiale”.
Bentivogli: “Le macchine non fanno paura, dove ci sono più robot c’è più lavoro”
A dare un quadro di quelle che possono essere le ricadute sul mondo del lavoro Marco Bentivogli, Segretario Generale Federazione Italiana Metalmeccanici FIM – CISL che ha sottolineato come non siano “gli algoritmi a licenziare i lavoratori”, ma l’assenza di investimenti in tecnologia. “Quando le imprese sono ripiegate su se stesse, su vecchi sistemi di organizzazione del lavoro, vecchie tecnologie e scarsi investimenti nelle competenze – spiega – si crea disoccupazione. Se guardiamo la densità di installazione dei robot per dipendenti nei vari paesi del mondo, notiamo che più alta è l’installazione di robot e più è bassa la disoccupazione. Per cui tutta la retorica sulla disoccupazione tecnologica è più una narrazione che serve a spaventare le persone sulle tecnologie, ma non ha nessun riscontro con la realtà”.
Un altro spunto di forte interesse è quello che riguarda il comparto dell’intelligenza artificiale, che cerca di rendere i robot sempre più sempre intelligenti. “Questo è molto utile perché aiuta nel processo progressivo di ibridazione del rapporto uomo-macchina – spiega – e permette di avere dei robot capaci di interazioni di livello sempre migliore, con robot cooperativi intelligenti che possono garantire in termini di maggiore efficacia”.
A questa evoluzione, però, deve corrispondere anche una preparazione adeguata dei lavoratori, sopratutto di quelli over 50. “Servirebbe da parte di tutte le forze politiche mettere tra le priorità un grande piano di reskilling. Serve una formazione di qualità, adattiva, perché quando una persona ha abbandonato da troppo tempo l’aula di studio la formazione a catalogo non aiuta e dobbiamo invogliare le persone a rientrare in questi percorsi”.