La Politica “dimentica” Digitale e Sostenibilità: ecco che cosa serve alle imprese

Nell’attuale fase politica sembra esserci scarsa attenzione ai temi legati alla doppia transizione verso il digitale e verso modelli ecosostenibili. Il tutto in un momento in cui le imprese – soprattutto le PMI – sono in realtà ben lungi dall’aver raccolto pienamente le sfide poste da questo momento di grande trasformazione. Ne abbiamo parlato con Fabrizio Gea, Past vice-president di Anitec-Assinform ed ex Responsabile Nazionale dei Digital Innovation Hub di Confindustria, Enrico Pisino, CEO del Competence Center CIM4.0, e Massimiliano Cipolletta, Presidente del Digital Innovation Hub Piemonte.

Pubblicato il 06 Nov 2022

digitale e sostenibilità

Nell’attuale fase politica, apertasi con le dimissioni del Governo Draghi e proseguita con la nascita del nuovo esecutivo guidato da Giorgia Meloni, sembra esserci scarsa attenzione ai temi legati alla doppia transizione, quella verso il digitale e quella verso modelli ecosostenibili. Dopo che questi temi sono stati quasi completamente ignorati dalle forze politiche in campagna elettorale, il nuovo Governo ha eliminato i riferimenti alle due transizioni dai nomi dei Ministeri che se ne occupavano. Il tutto in un momento in cui le imprese – soprattutto quelle medie e piccole – sono in realtà ben lungi dall’aver raccolto pienamente le sfide poste da questo momento di grande trasformazione.

Ne abbiamo parlato con tre importanti protagonisti del mondo dell’innovazione, che fanno riferimento prevalentemente al territorio piemontese, uno di quelli a maggior vocazione manifatturiera: Fabrizio Gea, Past vice-president di Anitec-Assinform ed ex Responsabile Nazionale dei Digital Innovation Hub di Confindustria, Enrico Pisino, CEO del Competence Center CIM4.0, e Massimiliano Cipolletta, Presidente del Digital Innovation Hub Piemonte.

In questo dialogo a tre abbiamo analizzato la situazione politica e discusso di quello che serve al mondo delle imprese, a partire già dalla legge di bilancio alla quale il Governo si appresta a mettere mano.

Il nuovo Governo e le politiche per il Digitale e la Sostenibilità

“In Campagna Elettorale in effetti il Digitale non è stato presente in modo significativo in quasi nessuno dei programmi presentati: quasi nessun richiamo, per esempio, alla cybersecurity neanche per il settore pubblico, dove ci sono evidenti rischi – alla luce del quadro internazionale in essere aggravato dall’attacco russo all’Ucraina – per la sicurezza nazionale”, sottolinea Fabrizio Gea. “Oltre a questo c’è il tema per il quale sia il periodo Covid sia l’attuale periodo caratterizzato da una congiuntura economica assolutamente fuori da qualsiasi previsione abbia visto le imprese italiane, tutto sommato, tenere: nel periodo Covid, in particolare, le imprese hanno contribuito in modo fondamentale alla reazione dell’Italia e questo, se ancora ce ne fosse bisogno, ha fatto comprendere quanto sia importante l’industria italiana per la tenuta del Paese. Forse tutto questo ingenera, non a ragione in verità, la percezione che l’Industria italiana non abbia così bisogno di attenzione e che le sue sfide non siano di assoluta urgenza e attualità: è una percezione forse dovuta al fatto che le nostre imprese, che sono per la stragrande maggioranza PMI, lavorano ogni giorno in silenzio e senza lamentarsi; ma, se è tale, non è una percezione corretta”.

Come vi abbiamo raccontato, il nuovo Governo ha eliminato il riferimento alla transizione digitale e a quella green dai nomi dei ministeri. Il MITD guidato da Colao sparisce e verosimilmente si dividerà nuovamente tra dipartimenti del Ministero della Pubblica Amministrazione e della Presidenza del Consiglio; il MITE, Ministero della Transizione Ecologica, si chiamerà Ministero dell’Ambiente e della sicurezza energetica. La scomparsa di questi nomi sarebbe certamente una bella notizia se fosse frutto del superamento delle sfide poste da quelle due transizioni, ma sappiamo che purtroppo così non è.

“Le due Transizioni fondamentali per il futuro non solo del nostro Paese sono la Transizione verso la Sostenibilità e quella Digitale. Il 27% dei fondi stanziati dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) va al Digitale: sono 49,8 miliardi di Euro. L’innovazione mediante il Digitale è trasversale a tutti i settori”, spiega Gea.

“Il Ministro Colao aveva “lasciato” una relazione di 42 pagine con il punto della situazione e dove erano evidenziati i passaggi più urgenti da affrontare: Cloud nazionale – Piano Banda Larga – Cittadino Digitale; Colao aveva anche suggerito di mantenere il Ministero per continuare in modo organico le azioni di presidio con il coordinamento a livello di Presidenza del Consiglio su Digitale, Innovazione, Tecnologia. La figura incaricata di gestire la partita del Digitale e delle Telecomunicazioni come sottosegretario a Palazzo Chigi è ora Alessio Butti, già Responsabile per Tecnologie e Telecomunicazioni di Fratelli d’Italia; la non definizione di un dicastero per il Digitale, di per sé, può essere una questione di forma anche se il messaggio che ne deriva è di estrema importanza; ci si riserverà di valutare la sostanza delle azioni e soprattutto il coordinamento tra i vari dipartimenti”.

Digitalizzazione del settore pubblico e privato, ecco i temi sul banco

Ora che siamo finalmente fuori dalla campagna elettorale e che c’è un governo in carica è però il caso di tirare fuori, anche in vista della legge di bilancio, le questioni più importanti che occorre affrontare.

Fabrizio Gea, ex Responsabile nazionale dei Digital Innovation Hub di Confindustria

“I settori pubblico e privato non possono essere visti distintamente l’uno dall’altro: il Paese, per essere competitivo, ha bisogno che entrambi possano “viaggiare veloci””, spiega Gea.

Per quanto riguarda il settore pubblico secondo Gea sono tre le sfide da affrontare e da vincere.

“La prima è il Polo Strategico Nazionale del Cloud, dove confluiranno i dati delle Pubbliche Amministrazioni. C’è una nuova società che ha come AD Emanuele Iannetti ed è partecipata da TIM per il 45%, da Leonardo per il 25%, da CDP per il 20% e da Sogei per il 10%. Entro dicembre di quest’anno dovrebbe essere messa a punto l’infrastruttura dei servizi mentre a regime ed entro il 2026 – il target è presente nel PNRR – il 75% delle Pubbliche Amministrazioni Italiane dovrà utilizzare i servizi in Cloud”.

Poi c’è la questione del Cittadino Digitale, che “va risolta mediante la conclusione dell’integrazione tra il Sistema Pubblico di Identità Digitale (Spid) e la Carta d’Identità Elettronica (CIE) per 16.500 Pubbliche Amministrazioni ed entro 4 anni”.

Infine la Banda Larga per la quale sembra chiara l’impostazione che si vuole dare verso una Rete Unica Nazionale. “La Rete Unica – spiega Gea – sarebbe quella di TIM mentre quella di OpenFiber verrebbe fatta confluire in questa – con la probabile eccezione, l’Unione Europea potrebbe imporre delle condizioni in tal senso, della rete in sovrapposizione presente in 10-20 città che dovrebbe essere venduta – e la società che si verrebbe a creare sarebbe controllata in maggioranza da CDP e quindi dallo Stato. Oltre a ciò la priorità è quella di completare il percorso di Italia a Banda Larga per il quale il traguardo posto dal Ministro Colao era il 2026”.

Dal punto di vista delle misure per il settore privato, prosegue Gea, “è necessario continuare la spinta propulsiva di quello che fu il Piano Industria 4.0 che da qualche anno si chiama Transizione 4.0. Decine di migliaia sono le imprese che hanno beneficiato di queste misure sia per l’acquisto di beni materiali 4.0, sia per quelli immateriali, sia per la Formazione 4.0. E’ necessario che la percezione, dal punto di vista dell’impresa privata, sia quella della continuità delle misure e di un governo che crede che la trasformazione digitale delle imprese sia la chiave di volta del loro futuro”.

Il piano Transizione 4.0

E proprio del piano Transizione 4.0 abbiamo discusso con Massimiliano Cipolletta, Presidente del Digital Innovation Hub Piemonte di Confindustria.

Secondo le prime stime del Governo, il piano Transizione 4.0 ha raggiunto già quasi 50.000 imprese beneficiarie. Ma se gli investimenti in beni materiali 4.0 sono stati effettivamente molto utilizzati, arrancano quelli in beni immateriali.

“Gli investimenti in beni strumentali tecnologici rispondono ad una propensione storicamente ben consolidata nel nostro sistema imprenditoriale, anche nelle PMI”, commenta Cipolletta. “Con gli incentivi il Governo ha orientato questo atteggiamento verso le tecnologie digitali, ma il terreno, l’atteggiamento degli imprenditori, era già pronto. Tant’è vero che sul tipo di macchina da comprare gli imprenditori non hanno normalmente alcun dubbio, hanno bisogno del Digital Innovation Hub soprattutto per decodificare e realizzare le regole di interconnessione digitale che danno accesso al beneficio fiscale. Per i beni immateriali, appunto, la difficoltà riguarda la comprensione di una categoria di strumenti nuovi per gli imprenditori manifatturieri: il percorso che porta all’investimento in sw è più lungo, richiede più maturazione e consapevolezza sui benefici acquisibili, una maggiore comprensione. Qui il Digital Innovation Hub Piemonte gioca il suo vero ruolo, e la sfida è apertissima. Su un piano più concreto, va anche sottolineato un limite della norma, che esclude dal beneficio i software gestionali, erroneamente considerandoli un asset già entrato nell’uso ordinario, cosa che forse è valida per le imprese medio grandi, ma non lo è per le PMI, che proprio partendo da questi strumenti potrebbero avviare una vera transizione digitale. È un peccato, come già il presidente Bonomi ha sottolineato, che questi crediti di imposta vedano un ridimensionamento nel prossimo triennio“.

Massimiliano Cipolletta, presidente del DIH Piemonte

Se le imprese italiane hanno certamente iniziato a familiarizzare con alcune delle tecnologie parte del paradigma Industria 4.0, nei fatti molto spesso i loro investimenti si sono limitati a una o due tecnologie, senza fare quel passo in più necessario per passare da un percorso di mera digitalizzazione a una vera digital transformation. Sembra cioè ancora mancare, soprattutto nelle micro, piccole e medie imprese, una visione più complessiva che lavori anche all’integrazione tra tecnologie, al miglioramento dell’organizzazione aziendale per superare certe visioni a compartimenti stagni, allo sviluppo delle strutture informatiche e soprattutto al potenziamento del capitale umano che si basa sullo sviluppo di nuove competenze.

“Per le PMI – dice Cipolletta – c’è un problema di maturazione culturale e di comprensione del fenomeno della digital transformation nel suo insieme. Nell’ambito della rete nazionale dei DIH di Confindustria, in cui opera il nostro DIHP, la chiamiamo awareness e rappresenta tuttora la nostra principale missione. Aggiungo che, se otto anni fa la Industrie 4.0 tedesca originaria era già una rivoluzione difficile da assimilare, la digitalizzazione oggi evolve ad una rapidità tale frustrare chi faticosamente cerca di raggiungere una minimo livello di awareness. Otto anni fa la cybersecurity era una nicchia da specialisti, anche tra gli user (assicurazioni, banche, forze armate…), mentre oggi rappresenta una priorità assoluta non solo per qualunque attività economica, ma anche nel terzo settore ( ma, guarda caso, non è tra i focus dei crediti d’imposta del piano Transizione 4.0 che di Industria 4.0 è figlio). Non si parlava, otto anni fa, di 5G, che nelle sue applicazioni IoT è ancora tutto da scoprire (e intanto si sente già parlare di 6G…). Per non parlare di Metaverso, … per le PMI oggi è più o meno fantascienza, ma domani non potranno farne a meno. Se questo è il contesto, è evidente che il problema della conoscenza, e quindi del capitale umano, come ha giustamente osservato lei, ha un’importanza enorme, paragonabile a mio giudizio alla battaglia all’analfabetismo che il nostro paese ha affrontato all’indomani dell’unificazione.

L’evoluzione delle competenze e l’importanza della formazione

Dagli stessi dati resi noti dal Ministero spicca anche l’exploit registrato nel 2020 dal credito d’imposta per la formazione 4.0, sfruttato da oltre 10.000 aziende a fronte delle 1.000 previste. Un incentivo che risponde a un’esigenza forte, quella di formare le competenze necessarie ad abilitare il pieno potenziale della trasformazione digitale, ma che finora non aveva trovato un buon riscontro, probabilmente a causa di un poco favorevole rapporto tra oneri (soprattutto burocratici) e benefici delle prime versioni dell’incentivo. Le recenti semplificazioni sembrano aver funzionato, ma ora si pone la questione del rinnovo di una misura che, al momento, è in scadenza a fine 2022.

“Il risultato non sorprende”, commenta Enrico Pisino, CEO del Competence Center CIM4.0. “L’Industria Italiana deve recuperare terreno sia nella capacità di innovare sia nel processo di upskilling e reskilling dei lavoratori. In particolare il tema del gap di competenze tra le grandi imprese, che investono in modo continuativo nella formazione dei propri collaboratori, e le PMI ancora poco reattive sotto questo aspetto, è stato più volte evidenziato e confermato da una serie di osservatori nazionali e internazionali che evidenziano pertanto un ritardo specifico del nostro Paese. Operare per migliorare questo sbilanciamento significa non solo favorire la domanda di formazione attraverso un supporto alla spesa, ma anche sostenere lo sviluppo di un’ offerta di qualità che garantisca le filiere e tutte le relative imprese coinvolte nei processi di digitalizzazione e riconversione green”.

Enrico Pisino, CEO del Competence Center CIM4.0

Che cosa serve allora? “Occorre rimodulare la strategia – dice Pisino – cercando di comprendere i reali gap delle imprese e quindi agire di conseguenza offrendo un supporto in linea con le richieste di un mercato sempre più competitivo e globale e quindi con le esigenze delle filiere produttive e delle singole imprese. Nessuna impresa deve restare indietro. Potrebbe sembrare lapalissiano dire che una Formazione che funziona va sempre sostenuta: personalmente credo che le azioni di governo debbano ora concentrarsi maggiormente nello sviluppo dell’offerta, affinché le PMI siano garantite e possano accedere ad una formazione efficace e di elevata qualità”.

Come sviluppare tale qualità? “Le soluzioni possono essere molteplici, personalmente darei valore a tutti quei centri di competenza che, sfruttando la partnership tra pubblico e privato, tra Università e Grandi Imprese leader, riescono a garantire il giusto mix di capacità applicative e trasferimento di conoscenze digitali e tecnologiche attraverso percorsi formativi robusti dal punto di vista dei contenuti e immediatamente concreti attraverso esperienze dirette di progettazione e di testing sul campo. I Competence Center hanno dimostrato che questa formula funziona e a dirlo sono proprio quelle PMI innovative che hanno scelto di accedere e sperimentare tale offerta formativa, aderendo per esempio alla nostra Academy, giunta alla quarta edizione, con percorsi dedicati a Automazione, Additive Manufacturing, AI e Realtà Aumentata”.

E sempre restando sull’argomento Formazione 4.0, quest’anno il credito d’imposta è stato ulteriormente rafforzato, in particolare per chi si rivolge a soggetti titolati a offrire formazione qualificata come gli 8 Competence Center nazionali su Industria 4.0 e i 30 European Digital Innovation Hub. Un boost delle aliquote che però è “monco” a causa del ritardo del decreto attuativo. “Non possiamo assolutamente accettare che in Europa si attuino i programmi comuni di innovazione a due velocità. E’ come essere su una griglia di partenza di un circuito di Formula1 con motore fermo o a metà della potenza. Chance di competere, nulle!”, dice Pisino.

“È il caso degli EDIH ma anche dei Competence Center in attesa di un decreto attuativo che sostanzialmente limita anche il sostegno alla formazione delle PMI. Il periodo pandemico avrebbe dovuto essere utilizzato per prepararsi al meglio alla ripartenza, eravamo in una dimensione simile a quella, per rimanere in tema di competizione automobilistica, del regime di safety car, c’era tutto il tempo per ritrovare il giusto sprint e accelerare il processo di recovery gap delle competenze dei lavoratori. Ora serve agire alla velocità della luce: occorre snellire e semplificare le procedure, agendo secondo logiche di competitività industriale. Ci attendiamo in questa direzione un miglioramento da parte del nuovo esecutivo”.

L’importanza di un trasferimento tecnologico efficace

Un’altra voce del PNRR rimasta monca è quella contenuta nella Missione 4 relativa al trasferimento tecnologico. Si prevede uno stanziamento di 350 milioni di euro che dovrebbero servire a riorganizzare e razionalizzare i centri esistenti, rifinanziare e potenziare gli 8 competence center esistenti e a finanziare almeno 42 nuovi centri.

“Rispetto a questo evidenzio due ordini di problemi”, dice Pisino: “il primo è legato ai tempi di attuazione del Programma di cui ho fatto cenno sopra. Il secondo è legato al valore dell’investimento complessivo che dal mio punto di vista non risponde pienamente al fabbisogno di innovazione delle PMI. Potenziare la rete dei Competence Center attraverso l’ampliamento degli otto centri operativi e/o la creazione di nuovi richiederebbe un investimento decisamente superiore a quello considerato nel PNRR. Pertanto se da una parte occorre essere tempestivi e mettere a terra queste risorse con chi sa farlo, quindi con i Centri di Competenza in primis e/o con quelli che hanno le stesse capacità attuative, dall’altro occorre sfruttare le azioni complementari del PNRR focalizzate sul trasferimento tecnologico aiutando i soggetti attuativi pubblici (le Università ad esempio) e contemporaneamente incontrando e coinvolgendo in modo diretto le imprese. In questo senso la rete dei Competence Center Nazionali e degli altri 42 Hub localizzati su tutto il territorio italiano sarà determinante ad abilitare una vera interlocuzione con le PMI. Occorre fare squadra e agire in fretta”.

E proprio parlando di trasferimento tecnologico e supporto alle imprese ricordiamo che il Piemonte ha ottenuto un notevole successo nelle recenti call per il finanziamento degli European Digital Innovation Hubs, piazzando nelle prime 13 posizioni finanziate al 100% dalla Commissione Europea sia il progetto Chedih – Circular Health European Digital Innovation Hub focalizzato sui settori Salute e Agroalimentare, promosso dall’Università di Torino con la collaborazione di Confindustria, sia Expand, il progetto sulla manifattura capitanato dal Competence Center CIM4.0: due progetti di cui il Digital Innovation Hub Piemonte è partner.

“Il nostro Digital Innovation Hub Piemonte è partner non solo di Expand e di Chedih, due delle 13 iniziative finanziate al 100% tra Europa e Italia, ma anche di HD-Motion (Politecnico di Torino, sull’automotive) e di Damas (Leonardo, mobilità sostenibile), due delle candidature che hanno ottenuto comunque il cosiddetto seal of excellence dalla UE e sono in attesa del via libera dal Governo”, sottolinea Cipolletta.

Gli EDIH – prosegue Cipolletta – “metteranno a disposizione delle aziende una gamma completa di servizi (dalla awareness, alla consulenza tecnologica, al cosiddetto test-before-invest, alla formazione) per progetti di trasformazione digitale, gratuiti o a condizioni di favore. Grazie agli EDIH le PMI (ma anche grandi aziende) saranno in grado di sviluppare un intero progetto con il supporto di un unico interlocutore. Il nostro Digital Innovation Hub Piemonte avrà, nei diversi EDIH, la responsabilità della fase di avvicinamento e accoglienza delle aziende. L’impatto sul territorio sarà notevole, anche grazie alla copertura delle diverse filiere operata dai nascenti EDIH, a condizione che il territorio nel complesso sappia cogliere l’opportunità”.

Il ruolo delle filiere

Si parla sempre più spesso, anche in Confindustria che al tema ha dedicato la vicepresidenza di Maurizio Marchesini, dell’importanza di lavorare in ottica di filiera. “Per un’azienda la filiera rappresenta un moltiplicatore della competitività, rappresenta un contesto di solidità che consente di guardare al di là dell’incombenza del breve termine, mette in condizione di costruire strategie”, spiega Cipolletta.

Per la struttura produttiva nazionale è tanto più vero, perché è basata sulle PMI. “La digitalizzazione dei flussi informativi è uno strumento importantissimo per il funzionamento fluido di una filiera, verticale o orizzontale che sia. Il focus sulla supply chain, anche nelle evoluzioni di Industria 4.0, è cresciuto molto negli ultimi anni ed è una di quelle aree della digitalizzazione che gli imprenditori capiscono rapidamente. A livello di Rete Nazionale DIH sono già stati fatti casi pilota di Assessment di Filiera (intendiamo ovviamente Digital Maturity Assessment, il nostro primo step nel rapporto con le aziende), a favore di alcuni grandi gruppi plurilocalizzati, ed il nostro DIH Piemonte coordina in questi mesi un gruppo di lavoro nazionale che ha per oggetto, oltre al tema dell’assessment cybersecurity, anche un modello standardizzato per gli assessment di filiera. La digitalizzazione delle aziende in ottica di filiera è oggi uno dei filoni di attività che ci impegna maggiormente”.

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Franco Canna
Franco Canna

Fondatore e direttore responsabile di Innovation Post. Grande appassionato di tecnologia, laureato in Economia, collabora dal 2001 con diverse testate B2B nel settore industriale scrivendo di automazione, elettronica, strumentazione, meccanica, ma anche economia e food & beverage, oltre che con organizzatori di eventi, fiere e aziende.

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