A cosa serve una Roadmap come quella sviluppata, nel corso di due anni, dal Cluster tecnologico Fabbrica Intelligente (CFI) con la collaborazione di oltre cento esperti? È utile e importante per molti aspetti e, soprattutto, azioni concrete e strategiche.
La Roadmap per la Ricerca e Innovazione è, innanzitutto, un documento fondamentale per orientare scelte strategiche e investimenti di imprenditori, industriali e manager: indica alle aziende quale strada seguire per procedere con successo nel futuro, anticipa quale direzione dovrà prendere il sistema industriale manifatturiero nei prossimi anni, rileva quali sono i giusti percorsi tecnologici per le imprese che vogliono rimanere competitive.
Ma è importante, o almeno dovrebbe esserlo, anche per il decisore politico, che in tal modo dovrebbe conoscere lo scenario manifatturiero delle imprese italiane e su questa base varare misure e provvedimenti.
“Questa Roadmap per la ricerca e innovazione è il massimo documento scientifico sulle future tecnologie industriali abilitanti in Italia”, sottolinea il presidente del Cluster Fabbrica Intelligente, Gianluigi Viscardi, “un documento finale di oltre 150 pagine, che è il frutto di oltre due anni di lavoro da parte di oltre cento tra specialisti, esperti, docenti universitari”, che hanno analizzato e scandagliato la situazione e le prospettive della manifattura italiana secondo sette macro-filoni tematici e tecnico-scientifici. Dalla robotica alla stampa 3D industriale, dall’intelligenza artificiale ai nuovi materiali per la produzione.
“Facendo riferimento alla Roadmap, è possibile individuare le tecnologie che guideranno l’industria italiana nei prossimi anni, per rimanere competitiva e di qualità sui mercati nazionali e internazionali”, ha osservato Viscardi nel corso della presentazione del documento.
Dallo scenario tracciato dal CFI emergono diverse tendenze e tecnologie abilitanti strategiche, come ad esempio: produzione personalizzata, sostenibilità industriale, valorizzazione delle persone nelle fabbriche, alta efficienza e zero-defect, processi produttivi innovativi, produzione resiliente, piattaforme digitali, intelligenza artificiale, cybersecurity.
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Il valore degli asset intangibili
“Spesso le aziende vengono ancora valutate per i capannoni e le strutture materiali che hanno, invece bisogna inquadrare e valutare le imprese per il valore dei loro asset intangibili, innanzitutto il Know-how aziendale e quelli del capitale umano”, rimarca Viscardi: “è questo che fa la differenza”. In questo scenario, “la digitalizzazione delle filiere italiane è fondamentale”, e le aziende capo-filiera “devono aiutare le PMI della loro filiera a innovare, devono aprire le proprie piattaforme tecnologiche”, perché un’intera filiera deve crescere e innovare in modo omogeneo, compatto, senza grandi squilibri.
“Bisogna rendere omogeneo il livello tecnologico e digitale tra le PMI all’interno della filiera”, auspica il presidente del Cluster Fabbrica Intelligente, anche per evitare rischi e contraccolpi che in molte realtà si sono già verificati: ad esempio, le grandi aziende che si sono super-strutturate in termini di Cybersecurity, ma poi l’intera filiera è resa debole, permeabile, sotto scacco perché le PMI non sono altrettanto mature dal punto di vista tecnologico e della cyber-sicurezza. E gli esempi potrebbero continuare, dalla logistica all’efficienza delle produzioni.
La Roadmap messa a punto e presentata dal Cluster Fabbrica Intelligente vuole appunto racchiudere in un unico documento le esigenze, i punti di forza e di debolezza della manifattura italiana, indicando le strada da seguire per continuare a procedere, e meglio ancora per correre, nel futuro.
Le tendenze strategiche che emergono dalla Roadmap
È in corso una forte riorganizzazione delle catene di fornitura che – collegata alle discontinuità tecnologiche che derivano dalla duplice transizione digitale ed ecologica –, rappresentano insieme fattori di cambiamento strutturale nello scenario competitivo, e stanno portando a una trasformazione profonda nei meccanismi di creazione del valore.
Stanno emergendo modelli collaborativi che chiedono alle aziende una nuova capacità di innovare dal momento che è sempre più necessario: rapportarsi al cliente per fornire soluzioni a problemi produttivi complessi piuttosto che produrre semplicemente su commessa; aumentare il grado di coordinamento con gli altri attori della filiera per aumentare la capacità di resilienza agli shock e di massimizzare i progressi della conoscenza; non perdere il passo dell’evoluzione costante nei bisogni del mercato.
Produzione sempre più flessibile e personalizzata
La capacità di fornire ai consumatori e ai clienti prodotti personalizzati che rispondono ai loro bisogni specifici, realizzabili comunque su larga scala grazie ad alti livelli di flessibilità dei sistemi produttivi, è emersa negli ultimi anni come una delle strategie che possono permettere alle aziende di differenziare la propria offerta attraverso prodotti innovativi ad alto valore aggiunto.
Nel caso dei beni di largo consumo – come abbigliamento, calzature, articoli per lo sport, occhiali, accessori, eccetera – “l’approccio basato sull’elevato livello di customizzazione permette di enfatizzare la forza del Made in Italy”, rileva il report strategico del CFI, “dal momento che garantisce la possibilità ai consumatori finali di avere un prodotto che coniuga design e stile, con aspetti funzionali e di comfort”.
Anche altri settori rilevanti come il medicale – ad esempio, con protesi personalizzate in ambito ortopedico, odontoiatrico, eccetera – e in generale la produzione di beni durevoli (nell’industria del design, automobilistica e in generale nel manifatturiero) possono beneficiare di questo approccio, cogliendo le opportunità e le sfide legate a una crescente domanda, sia a livello europeo che mondiale, di prodotti che si differenzino per valore, funzionalità e prestazioni.
Economia circolare (virtuosa) versus economia lineare (dello spreco)
Secondo la visione alla base dell’economia circolare, tutte le attività svolte nel sistema industriale, partendo dall’estrazione di materie prime e loro conversione e produzione in prodotti finiti, devono essere organizzate in modo tale che i rifiuti prodotti da un settore possano, dopo opportune trasformazioni, diventare risorsa o fattore produttivo per altri.
Oltre al recupero dei materiali, “molto promettente è anche il recupero delle funzioni del prodotto”, fanno notare gli esperti che hanno stilato la Roadmap dell’innovazione, “che permette non solo di recuperare la materia prima, ma anche di non perdere il valore delle attività che sono state spese per trasformare la materia in prodotto”.
Questi cambiamenti richiedono l’introduzione di nuovi processi, di nuove macchine e di nuovi sistemi produttivi, “creando una profonda rivisitazione della base produttiva nazionale, e ponendo anche le basi per l’apertura di nuovi mercati di beni strumentali che vedano il Paese in posizione di leadership”.
Tecnologie abilitanti per sostenibilità e circolarità
Questi nuovi sistemi industriali e produttivi devono essere coerenti con l’evoluzione dei mercati e delle tecnologie abilitanti, utilizzando la tecnologia come leva competitiva nei confronti delle tre dimensioni della sostenibilità: economica, ambientale e sociale. “In questa nuova prospettiva”, rimarcano gli specialisti in innovazione, “il ruolo dell’industria manifatturiera è fondamentale verso l’implementazione di un concetto circolare di fabbrica”.
Il produttore potrà e dovrà progettare prodotti in grado di essere disassemblati dopo l’uso, integrando una quota crescente di materie prime seconde (specialmente quelle critiche). Inoltre, dovrà gestire le informazioni di prodotto lungo la catena del valore, soprattutto sfruttando le tecnologie digitali, in modo da favorire un recupero più efficiente di componenti e materiali dopo la fase d’uso, per renderne più vantaggioso economicamente il riuso.
In questo quadro, si stanno quindi anche affermando i temi del ‘de-manufacturing’ e ‘re-manufacturing’, a causa dell’aumento del costo delle materie prime (rarefazione e speculazione sulle risorse) e delle leggi specifiche introdotte dall’Unione Europea, che richiedono di migliorare il tasso di recupero dei materiali.
Marchesini: “Evitare il calo degli investimenti e rendere stabili gli incentivi”
Maurizio Marchesini, vice presidente di Confindustria per le filiere e le medie imprese, e presidente del Gruppo Marchesini, ha tratteggiato una visione dello scenario in cui le imprese italiane devono muoversi e operare.
E rileva: “il 2022 è andato meglio del previsto, e le prospettive per il 2023 sono incoraggianti, anche per effetto del calo dei costi dell’energia. Restano notevoli incognite e ostacoli, come l’alta inflazione e il rialzo dei tassi di interesse: i nostri analisti calcolano che il sistema economico e industriale nostrano reggerà fino a tassi di interesse attorno al 3%, e siamo già vicini a questa soglia critica”.
Marchesini però avvisa: “in una situazione di incertezza come quella in cui ci troviamo, il nostro timore è che si fermino o rallentino molto gli investimenti”. A sostenere gli investimenti nel settore industriale e produttivo sono oggi in Italia innanzitutto due piani strategici, il PNRR e il Piano Industria 4.0, oggi Transizione 4.0.
Il PNRR “è un piano di investimenti innanzitutto focalizzato sulle grandi infrastrutture”, rileva Marchesini, “mentre per quanto riguarda l’attuale situazione e prospettiva del Piano 4.0 abbiamo forti perplessità e motivi di discussione con il governo”. A inizio dicembre scorso, ricorda il vice presidente di Confindustria per le filiere e le medie imprese, il ministro per le imprese e il Made in Italy, Adolfo Urso, “ci aveva assicurato che erano ancora disponibili risorse ingenti da destinare alla prosecuzione del Piano Industria 4.0, ora sembra che non sia più così”. Sta di fatto che da gennaio 2023 il piano Transizione 4.0 è operativo con aliquote dimezzate rispetto al 2022.
E qui Marchesini mette in evidenza la questione centrale: “dobbiamo rendere stabili gli incentivi all’innovazione tecnologica”, perché “anche se non tutto si fa con gli incentivi, sono stati molto importanti e lo saranno ancora”. Invece, fa notare il dirigente di Confindustria, “questo stop-and-go continuo non può funzionare, perché porta le aziende a diminuire i propri investimenti”. Le imprese non si muovono con un’ottica e strategie semestrali, o annuali, o legate al tempo di un governo a Palazzo Chigi, ma ragionano e investono con prospettive di medio periodo, per questo “il Piano 4.0 per la digitalizzazione delle imprese deve diventare strutturale”, è la richiesta degli industriali e imprenditori riniti in Confindustria.
Marchesini rincara la dose: “il Digitale per le nostre imprese non è un ‘nice to have’, ma un ‘must have’, una necessità essenziale, non un’eventualità”, dato che non possiamo pensare di mantenere alto il livello delle produzioni e della competitività senza digitalizzazione, e una digitalizzazione profonda e pervasiva. “È una questione di cultura industriale”, fanno notare gli imprenditori, “e anche di orientamento politico e strategico”.