Innovazione e piccole imprese: le ragioni di un rapporto da recuperare (e migliorare)

Tecnologie innovative e piccole imprese: un binomio che, nonostante gli intenti delle misure che negli anni hanno provato ad avvicinare un tessuto di realtà che caratterizza per il 97% l’economia del nostro Paese, non è mai riuscito del tutto a decollare. Paolo Manfredi, Responsabile delle strategie digitali di Confartigianato, evidenzia i problemi e le possibili soluzioni: dalla formazione alla rete di accompagnamento sul territorio verso le innovazioni.

Pubblicato il 04 Giu 2020

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Tecnologie innovative e piccole imprese: un binomio che, nonostante gli intenti delle misure che negli anni hanno provato ad avvicinare un tessuto di realtà che caratterizza per il 97% l’economia del nostro Paese, non è mai riuscito del tutto a decollare. Anzi: nel dibattito sull’innovazione del tessuto produttivo italiano si può addirittura credere che le nuove tecnologie siano in contrapposizione con l’idea di artigiano. Ma non è così.

Lo ricorda Paolo Manfredi, Responsabile delle strategie digitali di Confartigianato, che in un’intervista a Innovation Post spiega che “ogni impresa può trovare nella tecnologia la risposta ai problemi o uno slancio in termini di produttività e di competitività”. Il problema, quindi, è piuttosto “di conoscenza e di priorità”: il micro e piccolo imprenditore “pensa di non avere il tempo, gli strumenti, le competenze, la dimestichezza con le tecnologie”. È un problema di linguaggio e di approccio ancora troppo poco considerato, per cui “molti soggetti si sono trovati per lungo tempo su binari paralleli a quello dello tecnologia”.

Come più volte sottolineato, la crisi connessa alla pandemia da Covid-19 può essere l’occasione per ridefinire tempi e priorità, per affrontare i problemi di un dialogo e di un processo che fino ad oggi, agli occhi di chi ha a che fare tutti i giorni con le realtà più piccole del nostro tessuto produttivo, non ha funzionato. “Ciò che prima non si poteva fare è oggi salito per necessità in cima all’agenda: le tecnologie sono diventate un patrimonio reale e utile”, spiega Manfredi.

Il problema della formazione nelle piccole imprese

Ma quali sono, appunto, le principali problematiche che frenano l’innovazione tecnologica nelle imprese artigiane (del manifatturiero in primis)? Secondo Manfredi, nell’ambito degli investimenti in tecnologie, il problema principale è di formazione e trasmissione delle competenze tra i più piccoli, che potrebbero “correre velocemente”, ma scelgono (per motivi anche oggettivi) di percorrere lentamente la strada degli investimenti. “Il Piano Calenda in due anni ha fatto scendere di quasi 10 anni l’obsolescenza media dei macchinari, dando una mano anche al sistema artigiano degli installatori, che hanno vissuto un vero e proprio boom di crescita”, continua Manfredi. “È seguito però un calo rilevante, che io leggo come l’esaurimento degli investimenti di tutti quelli che sapevano cosa farsene delle macchine incentivate: non avendo attivato con attenzione i meccanismi di socializzazione di Industria 4.0, è calato lo sfruttamento del piano. Non ha funzionato quello che io chiamo il ‘pensiero magico’ del Piano Calenda: ci si aspettava che semplicemente mostrando le tecnologie si attivassero gli investimenti degli imprenditori”.

Quella che è mancata, secondo Manfredi, è un’attenzione al trasferimento delle competenze: “nelle micro e piccole imprese, se il titolare (che si occupa di tutto) non è formato per primo, non investirà sicuramente per formare il proprio personale”. La trasmissione delle competenze “necessita di creatività e capacità di pensiero laterale, su cui ci sono ampi margini di miglioramento”.

Ma dove (e soprattutto come) mettere mano al sistema di trasmissione delle competenze sulle tecnologie innovative verso le realtà più piccole del nostro sistema economico? Innanzitutto, suggerisce Manfredi, partendo dal riconoscere quello che è, “piaccia o non piaccia”, un “dato di fatto”: che il 97% del sistema italiano è composto da micro e piccole imprese. “Mi accorgo che è ritornato il vecchio discorso secondo cui l’origine di tutti i mali della nostra economia sia rappresentata dalle troppe piccole imprese. Nessuno ha il mito del ‘piccolo è bello’, tanto meno noi di Confartigianato: in Italia abbiamo un sistema di altissima vocazione all’imprenditorialità, all’iperspecializzazione, storicamente espresso al meglio su dimensioni piccole, attorno all’idea di nucleo familiare. Se vogliamo fare crescere l’innovazione anche in queste realtà dobbiamo lavorare velocemente su come raccontare anche a loro le opportunità del 4.0”. Per Manfredi servono “più energie mentali” e “meno pigrizia politica” nel cercare di capire come lavorare meglio a stretto contatto con i più piccoli, la cui esistenza è un “dato di fatto” su cui lavorare e non da identificare come ostacolo alla crescita.

Recuperare la dimensione territoriale e settoriale

Oltre a perdere di vista “i più piccoli”, i piani di accompagnamento delle imprese verso Industria 4.0 avrebbero guardato poco alla “dimensione territoriale e settoriale” di queste realtà. L’orientamento all’innovazione è un compito che oggi svolgono centri specializzati come gli otto Competence Center nazionali e i Digital Innovation Hub (con ambiti più territoriali). “Sin dalla loro prima versione i Competence Center non avrebbero dovuto coprire tutto il territorio: avrebbero dovuto essere poche realtà legate più alle tecnologie e ai processi produttivi che alla loro applicazione all’interno dei settori”, continua Manfredi. “Questa voluta dimenticanza della dimensione territoriale e settoriale credo abbia presentato il conto in termini di calo degli investimenti”. Per “reinvestire nella transizione 4.0” oggi serve “recuperare con più forza queste due dimensioni”.

Portando in concreto il discorso, Manfredi fa l’esempio della micro impresa che produce scarpe: “è molto più semplice spiegarle come cambierà il suo settore e come le tecnologie possono impattare da subito su di esso piuttosto che ragionare in astratto di famiglie tecnologiche, altrimenti stiamo chiedendo all’impresa di rivolgersi a rotazione un po’ a tutti i Competence Center, che per come sono organizzati oggi lavorano ciascuno su una determinata direttrice tecnologica”.

Se invece la logica dei Competence Center deve essere proprio quella della specializzazione in un determinato ambito tecnologico (dalla robotica all’Additive Manufacturing, dal cloud all’IoT), mettendo a terra un sistema più utile e applicabile alle grandi imprese, per Manfredi “occorre ragionare su altri strumenti che intercettino un’economia che continua ad avere una fortissima dimensione territoriale e settoriale”. Il Direttore delle strategie digitali di Confartigianato crede che oggi i Competence Center siano “operativamente poco interessati” a dialogare con le piccole imprese, “non per cattiveria, ma perché le aggregazioni che ne formano il tessuto derivano dalla relazione tra grande impresa e università”.

Un modello, questo, che ben si applica all’innovazione a livello di filiera nella cui logica gerarchica si trova anche un buon numero di PMI. Ma quella che manca è una strategia che intercetti i bisogni delle realtà che non sono organizzate nelle filiere, quelle che “hanno bisogno di qualcuno che ragioni con loro di sviluppo e di scenari per settori produttivi”. Un servizio che, secondo Manfredi, “i Competence Center non danno: “ti potranno dire come implementare una catena produttiva, l’IoT o la robotica, ma difficilmente ti racconteranno tutto quello che viene prima della scelta di acquistare un robot”. Quale sarebbe quindi la soluzione? “Immagino che, intorno alla rete che presidia le grandi filiere, debba esistere una rete più vicina al territorio formata da ‘broker dell’innovazione’: persone che raccontano alle imprese come cambia il settore e come devono cambiare anche loro, costruendo per loro le opportunità”, risponde Manfredi.

Una prima applicazione (già esistente) di questo sistema potrebbe essere il ruolo dell’Innovation Manager, ma questo non basta per un “sistema complesso” come quello dell’artigianato italiano, che necessita di attività di consulenza, formazione, riorganizzazione. “Serve il lavoro di più soggetti“, conclude Mandredi. “Da chi ha un rapporto quotidiano con i problemi delle imprese (come i Digital Innovation Hub) alle realtà di consulenza (come gli Innovation Manager), fino a chi può esprimere un potenziale ancora inutilizzato in termini di competenze (come gli ITS o l’alta formazione locale). Credo che un’alleanza riconosciuta tra questi soggetti, in un network reale che lavori quotidianamente con le imprese, farebbe molto bene a tutti”.

Qui di seguito è possibile vedere l’intervista del direttore di Innovation Post Franco Canna a Paolo Manfredi, Responsabile delle strategie digitali di Confartigianato.

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Francesco Bruno

Giornalista professionista, laureato in Lettere all'Università Cattolica di Milano, dove ha completato gli studi con un master in giornalismo. Appassionato di sport e tecnologia, compie i primi passi presso AdnKronos e Mediaset. Oggi collabora con Dazn e Innovation Post.

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