Ambrosetti Innosystem Index

Innosystem Index, Italia in ritardo sull’innovazione: pochi i laureati STEM e le risorse per attività di R&S

L’Italia si colloca al 24mo posto nella classifica dell’innovazione nel Global Innosystem Index 2024 elaborato da Ambrosetti, con un significativo ritardo rispetto a Regno Unito, Svizzera, Germania e Francia. Il rapporto ha valutato 37 Paesi e utilizzato 30 KPI. Nonostante alcune eccellenze come l’efficacia dell’innovazione e le università, permangono difficoltà in capitale umano, risorse per la ricerca e sviluppo, nuove aziende e attrattività del Paese.

Pubblicato il 31 Mag 2024

intelligenza artificiale

L’Italia non brilla in fatto di innovazione, anzi. Nella classifica dell’Innosystem Index 2024, in cui la InnoTech Community di The European House – Ambrosetti analizza gli ecosistemi dell’innovazione di 37 Paesi, il Belpaese si posiziona al 24mo posto, con un significativo ritardo rispetto a nazioni come Regno Unito, Svizzera, Germania e Francia.

L’indice ha messo a confronto 37 Paesi con alte performance innovative, estendendo il campione d’indagine che nella precedente edizione del 2023 aveva preso in esame 22 Paesi. L’indicatore consta di 5 dimensioni suddivise in 4 variabili input e una di output che permettono di misurare performance e risultati complessivi di ogni ecosistema innovativo rispetto ai KPIs, che quest’anno passano da 16 del 2023 a 30 del 2024.

Italia tra gli ultimi posti per innovazione dell’ecosistema e capitale umano

Singapore guida la nuova classifica più ampia, ottenendo un punteggio di 5,41 (su una scala da 1 a 10), seguita da Israele (5,21) e Estonia (5,17).

Rispetto al TEHA-GII 2020 − indicatore ricalcolato per permettere un confronto rispetto all’evoluzione del posizionamento di ciascun paese alla luce dei nuovi indicatori presi in considerazione −, Singapore mantiene la propria posizione di leader mondiale. Israele guadagna una posizione mentre l’Estonia ne perde una.

In questo scenario più esteso, l’Italia si posiziona nella parte inferiore della classifica, risultando 24ª con 3,19 punti e perdendo una posizione rispetto al 2020, dove era 23ª con 3,57 punti. Un risultato che posiziona l’Italia davanti solo a realtà come la Spagna (3,18) e la Grecia (3,02).

Il confronto tra il nostro Paese e le variabili input (ovvero le variabili che valutano la presenza degli elementi abilitanti dei processi di innovazione) disegna un quadro fortemente negativo che ritrae un’Italia in coda all’innovazione.

Classificata 32ª per l’innovazione dell’ecosistema e 28ª per capitale umano, si colloca leggermente meglio, al 24° posto, per lo sviluppo di un ecosistema attrattivo, confermando la carenza già rilevata nel 2023.

Infine, per quanto riguarda le risorse finanziarie a supporto dell’innovazione, il nostro paese si posiziona al 22° posto. L’unica variabile che dà speranza è rappresentata dall’efficacia dell’innovazione dell’ecosistema (variabile di output che valuta la capacità di un Paese di generare innovazione), per cui l’Italia scala la classifica fino al decimo posto per la produzione di nuove idee e il loro impatto economico.

Negative anche le performance regionali

Anche quest’anno il TEHA – Regional Innosystem Index ha valutato le performance degli ecosistemi innovativi di 242 regioni europee, aggiungendo 3 nuovi indicatori alla valutazione rispetto agli 8 del 2023.

I KPI sono stati raggruppati in quattro categorie: sviluppo economico, capitale umano, talento per l’innovazione e infrastrutture digitali e tecnologie, per un totale di 31.944 osservazioni.

Dall’analisi emerge che la Lombardia è la prima tra le regioni italiane a guidare l’innovazione, guadagnando quattro posizioni nella classifica europea rispetto al TEHA-GII 2020 (nel 2024 si posiziona al 39° posto). La Provincia Autonoma di Trento invece perde due posizioni passando dalla 46ª alla 48ª posizione, seguita dalla regione Lazio (49ª) che guadagna una posizione.

L’Emilia-Romagna, al contrario, scivola di dieci posizioni classificandosi al 76° posto. Non cambia, invece, il trend negativo della Basilicata (179ª), Sicilia (180ª) e Calabria (191ª).

In generale le Regioni italiane continuano a collocarsi molto al di sotto delle prime dieci regioni classificate in quasi tutti gli indicatori di performance considerati.

Gli aspetti da migliorare su cui l’Italia mostra ancora grandi difficoltà riguardano l’ambito educativo e lavorativo: la percentuale di persone che possiedono un titolo di studio STEM, la percentuale di soggetti impiegati nell’ambito della ricerca, il numero di lavoratori nel campo della scienza e tecnologia, oltre a considerare un maggiore stanziamento di risorse a sostegno delle attività di ricerca e sviluppo.

Ottimi gli indicatori per università e brevetti

Molto bene invece le università italiane, che contano la presenza di 11 di queste nella top 100 europea. Positivi i segnali anche rispetto al numero di domande di brevetto depositate: nel 2023, infatti, per la prima volta l’Italia ha superato quota 5.000 con una crescita del 38% nella decade 2014-2023 (dai 3.649 del 2014 ai 5.053 del 2023).

Risultati positivi per l’Italia anche nel tasso di successo dei brevetti di applicazione, che si colloca al quinto posto nelle top 25 country a livello mondiale.

L’Italia continua ad arrancare: ecco le aree di miglioramento

Nonostante la capacità creativa nell’innovazione, l’indagine di quest’anno ritrae l’Italia come Paese che fatica a evolvere nel campo dell’innovazione: nonostante gli sforzi impiegati, persiste una grande disparità con altre regioni europee.

L’analisi dei risultati TEHA-GII ha individuato quattro aree su cui l’Italia deve concentrarsi per aumentare la sua capacità innovativa:

La prima area critica riguarda il capitale umano. Nonostante l’Italia si classifichi al dodicesimo posto per numero di ricercatori, i laureati nelle materie STEM sono ancora una quota contenuta (21,1% rispetto al numero totale dei laureati) rispetto ad altre nazioni come la Germania dove le STEM rappresentano il 35%. Maggiori investimenti nel settore dell’educazione sono necessari per aumentare la dimensione del capitale umano, proprio come fa la Svezia che destina il 61,7% di risorse in più rispetto all’Italia. La stessa disparità tra le due nazioni si riscontra anche nella percentuale di adulti che possiedono competenze base nell’ambito digitale.

La seconda area critica è rappresentata dalle risorse impiegate per la ricerca e sviluppo. L’Italia, al 25° posto, è lontana non solo dai primi in classifica ma anche da Belgio, Svezia e Austria, le nazioni europee più performanti. Ad esempio, il Regno Unito investe il triplo delle risorse nella Ricerca e Sviluppo rispetto all’Italia e 38 volte di più nel finanziamento del capitale di rischio.

Le nuove aziende e gli “unicorni” rappresentano un’altra criticità su cui in Italia occorre investire maggiori risorse: nel 2024 è 19ª con un punteggio di 3,0 sulla quantità di nuove aziende ogni 1.000 abitanti. Questo dato è otto volte inferiore rispetto all’Estonia, leader della classifica. Nel nostro Paese, inoltre, ci sono solo tre startup che sono state valutate più di un miliardo nell’ultima decade.

Infine l’ultima area critica è rappresentata dall’attrattività del Paese. Solo una piccola parte del flusso netto in entrata nel Paese deriva dagli investimenti diretti esteri. Al contempo, solo una piccola percentuale dei prodotti esportati sono di tipo tecnologico, il 184% in meno rispetto a Singapore, leader della classifica.

“È chiaro come l’Italia debba migliorare le proprie performance nella creazione delle condizioni necessarie per favorire l’innovazione”, commenta Valerio De Molli, Managing Partner & CEO, The European House – Ambrosetti.

“Se l’Italia si allineasse alle performance dei Top5 Paesi EU nelle diverse variabili relative alle risorse dedicate alla ricerca e allo sviluppo, al capitale umano e all’attrattività degli investimenti esteri, il nostro Paese raggiungerebbe la 12esima posizione nel ranking TEHA-GII 2030”, aggiunge.

La classifica delle regioni europee più innovative

Anche quest’anno, The European House – Ambrosetti ha analizzato gli ecosistemi dell’innovazione a livello regionale, prendendo in esame 242 regioni europee in relazione a 11 indicatori.

Non ci sono grandi novità sul podio: la francese Ile-de-France si conferma al primo posto, con un punteggio di 7,37 su una scala da 1 a 10.

Guadagnano una posizione (rispetto al TEHA-RII 2020) la regione di Stoccolma (Svezia) e Hovedstaden (Danimarca), rispettivamente con un punteggio di 6,47 e 6,09. Al contrario perde due posizioni la regione di Helsinki-Uusimaa che si trova ora ai piedi del podio.

L’Italia rientra nelle prime cinquanta regioni del TEHA – RII 2024 con tre regioni: la Lombardia si posiziona al 39° posto guadagnando quattro posizioni rispetto al TEHA-RII 2020; la Provincia Autonoma di Trento perde invece due posizioni e si trova nel ranking di quest’anno in 48° posizione seguita dal Lazio (49°) che guadagna una posizione.

Ampliando l’orizzonte di analisi entro le prime cento posizioni troviamo l’Emilia-Romagna (76°) che perde dieci posizioni rispetto al TEHA-RII 2020, il Piemonte (82°), la Toscana (90°) e il Friuli-Venezia Giulia (97°).

Guardando al fondo della classifica le regioni italiane più critiche restano quelle del Mezzogiorno: ancora indietro Puglia (178°), che risale leggermente, Basilicata (179°), Sicilia (180°) e Calabria (191°).

Nel dettaglio, la Provincia Autonoma di Trento emerge come Regione italiana con il maggior numero di lavoratori impiegati nella ricerca (l’1,1% dei lavoratori è impiegata nell’ambito della ricerca), mentre l’Emilia-Romagna investe la maggior quota di risorse nelle attività di Ricerca e Sviluppo (il 2,1% del PIL regionale).

Il Lazio invece si riconferma nell’ambito della formazione terziaria (26,7%) e per maggior numero di persone che lavorano nel settore scienza e tecnologie (33,8%) e la Provincia Autonoma di Bolzano per tasso di partecipazione nell’istruzione e formazione (14,6%).

Le quattro proposte per stimolare l’ecosistema dell’innovazione in Italia

La classifica data dal TEHA – Global Innosystem Index e i risultati dell’indagine condotta da The European House – Ambrosetti su un campione selezionato di top manager di aziende italiane e internazionali hanno permesso di sviluppare quattro proposte per contribuire a dare una spinta all’innovazione in Italia.

1.Massimizzare gli investimenti in Ricerca e Sviluppo

In Italia solo l’1,45% del PIL viene allocato per la ricerca, il budget che deriva dal settore pubblico è ancora troppo limitato (1,18% è destinato alla Ricerca e Sviluppo) e, nonostante i ricercatori italiani siano i secondi più premiati in Europa dai bandi di eccellenza ERC, l’Italia slitta al quarto posto tra i Paesi che ospitano i programmi di ricerca premiati.

Per massimizzare gli investimenti è necessario allinearsi quantomeno al 3% di spesa in rapporto al PIL, target definito dall’Unione Europea e che l’Italia non ha ancora raggiunto.

Inoltre, occorre migliorare i finanziamenti e l’accesso agli incentivi per le imprese che investono in innovazione e tecnologie, stimolando in particolare gli investimenti in beni immateriali previsti dal piano Transizione 4.0. Infine, finanziare e creare programmi di ricerca di lungo periodo permette di rendere il sistema di ricerca nazionale più attraente e minimizzare la fuga di cervelli.

2. Migliorare i processi di trasferimento tecnologico e rendere l’Italia un paese per gli “unicorni”

In Italia, nel 2023, gli investimenti dedicati a startup e scaleup (Private Equity e Venture Capital) sono sensibilmente diminuiti, passando da 23,7 miliardi di euro a 8,2 miliardi di euro.

Sono nati solo 3 “unicorni” su un totale di 109 in Europa e i TTOs (Technology Transfer Offices), che giocano un fondamentale ruolo nell’innovazione, sono ancora sottodimensionati.

Il nostro Paese deve introdurre meccanismi che permettano di ridurre il divario tra ricerca e sviluppo per sviluppare progetti che soddisfino i bisogni del mercato, facilitare la creazione di startup rendendo più semplice accedere ai finanziamenti e rafforzare i TTOs adottando modelli internazionali che in media prevedano strutture organizzative 10-15 volte più numerose di quelle italiane.

3. La presidenza italiana del G7 e lo sviluppo dell’intelligenza artificiale

Sebbene l’Italia si collochi al 28° posto con solo 0,03 iniziative pubbliche di AI ogni 10.000 abitanti e presenti uno squilibrio negativo tra domanda e offerta di talenti nell’ambito AI, la presidenza italiana del G7 rappresenta una grande opportunità per il nostro Paese, con l’AI come uno degli argomenti centrali della discussione.

Sfruttando questa opportunità, l’Italia potrà guidare lo sviluppo di modelli di governance che rispettino i principi di fiducia, sicurezza e trasparenza. Contestualmente, è necessario migliorare l’educazione STEM e supportare l’uso dell’AI nelle aziende, allineandoci con la media europea (In Italia solo il 5% delle imprese utilizza l’IA vs 8% media UE).

4. Lanciare un New Deal delle competenze per creare una società sostenibile e digitale

Oltre la metà delle aziende italiane ha difficoltà a reperire risorse con adeguate skill e la percentuale di laureati STEM è solo del 21,1% rispetto al totale dei laureati.

Inoltre, si stima che l’Italia abbia bisogno di formare oltre 2 milioni di dipendenti con competenze digitali di base entro il 2026 per stare al passo con le esigenze del mercato.

È fondamentale che vengano definiti nuovi programmi per l’insegnamento delle competenze digitali lungo tutto il percorso di formazione e che vengano rafforzati corsi digitali ad hoc negli Istituti Tecnici Superiori (ITS), in particolare quelli che permettono agli studenti di lavorare con i dati, essenziali per la specializzazione nelle professioni della Data Economy.

Nelle Università bisogna potenziare le lauree professionalizzanti anche prevedendo nuovi percorsi di studio con elementi legati alla transizione digitale ed ecologica, mentre nel mondo del lavoro serve definire meccanismi di aggiornamento continuo delle competenze dei lavoratori (Lifelong Learning).

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Michelle Crisantemi

Giornalista bilingue laureata presso la Kingston University di Londra. Da sempre appassionata di politica internazionale, ho vissuto, lavorato e studiato in Spagna, Regno Unito e Belgio, dove ho avuto diverse esperienze nella gestione di redazioni multimediali e nella correzione di contenuti per il Web. Nel 2018 ho lavorato come addetta stampa presso il Parlamento europeo, occupandomi di diritti umani e affari esteri. Rientrata in Italia nel 2019, ora scrivo prevalentemente di tecnologia e innovazione.

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