Industria 5.0 rappresenta un cambio di paradigma a livello tecnologico e operativo, una rivoluzione culturale o una buzzword frutto di un’operazione di marketing?
Da quando la Commissione europea ha cercato di fare chiarezza sulla questione, individuando le sei tecnologie abilitanti e i tre pilastri di questa fase industriale – resilienza, sostenibilità e umanocentrismo -, il dibattito intorno a queste domande si è acceso.
Da un lato, infatti, le tecnologie che abilitano quella che tanti considerano la Quinta Rivoluzione Industriale sembrano non evidenziare una discontinuità rispetto a Industria 4.0.
Ricordiamo, che il documento di analisi della Commissione europea individuava queste tecnologie abilitanti in:
- interazione uomo-machina personalizzata
- tecnologie ispirate alla natura e materiali intelligenti
- gemelli digitali e simulazione
- tecnologie per la trasmissione di imagazzininamento e l’analisi dei dati
- intelligenza artificiale
- tecnologie per l’efficienza energetica delle rinnovabili, l’energia e l’autonomia.
D’altro canto, è altrettanto vero che negli ultimi anni nel panorama industriale europeo e italiano si è iniziato a parlare, con più insistenza, di resilienza, sostenibilità ambientale, responsabilità aziendale e di umanocentrismo inteso come maggior attenzione ai bisogni del lavoratore e al suo ruolo all’interno del processo produttivo.
Indice degli argomenti
Industria 5.0, un vero cambio di paradigma?
È quindi sufficiente questo approccio per giustificare l’utilizzo del termine “Industria 5.0”, con una numerazione che vuole rimarcare una discontinuità con l’era dell’Industria 4.0?
Secondo alcuni sì, poiché anche se a livello di tecnologie impiegate nei processi non si riscontra quel salto tecnologico avvenuto, ad esempio, tra Industria 3.0 e 4.0, l’attenzione data a questi temi indica la strada verso un nuovo modo di produrre, che segue logiche diverse rispetto a quelle del passato.
La pensa così per esempio Andrea Ziccardi, Automation Manager del Gruppo Lavazza, secondo cui Industria 5.0 rappresenta una rivoluzione più culturale che industriale, ma anche un approccio che cambia il focus delle aziende del manifatturiero.
“L’utilizzo della terminologia ‘Industria 5.0’ rappresenta l’introduzione di nuovi temi, molto diversi da quelli che hanno invece guidato la 4.0, ed è quindi positivo parlarne per individuare linee guida che aiutino le aziende a iniziare a ragionare in modo completamente diverso”, spiega ai nostri microfoni Ziccardi.
Non tutti però sono d’accordo, come abbiamo visto nell’intervista a Marco Taisch sull’argomento (che potete leggere in questo articolo), dove il professore – uno degli artefici del piano Industria 4.0 in Italia – ha messo in guardia davanti al rischio che l’utilizzo di terminologie che descrivono cambiamenti culturali, sociali e generazionali possa causare confusione soprattutto tra quelle imprese che si trovano ancora in una fase iniziale (o comunque non avanzata) del percorso 4.0.
Industria 5.0, il punto di vista dei big player dell’Automazione
Per cercare di avere un quadro più chiaro sul sentiment del mondo industriale, abbiamo rivolto alcune domande ad alcuni big player del mondo delle tecnologie: quelle aziende, cioè, che sono responsabili di raccogliere e anticipare le esigenze delle imprese e fornire gli strumenti per implementare nuovi paradigmi produttivi.
Alla fine dell’articolo troverete invece il link a un sondaggio su più ampia scala che abbiamo deciso di proporre a tutte le aziende – costruttori di macchine e aziende manifatturiere in primis – che con questo nuovo paradigma dovranno poi fare i conti. I risultati della survey saranno esposti e commentati il 23 marzo in occasione dell’Industry 4.0 360 Summit, a cui vi invitiamo sin d’ora a registrarvi.
ABB
È una posizione neutrale quella espressa da Leonardo Leani, Division Manager Robotics & Discrete Automation di ABB.
“A differenza delle altre quattro rivoluzioni industriali, la quinta – come viene definita – è più un’evoluzione della quarta, nel senso più una rivoluzione culturale che industriale. In realtà, si vogliono superare i limiti dell’ambiente industriale per includere del raggiungere degli obiettivi, di una società più sostenibile più equa e sociale”, spiega.
Nella sostanza, infatti, Leani spiega come i pilastri di Industria 5.0 siano incentrati intorno a vantaggi che sono sempre stati fondamenta delle tecnologie di automazione e in particolar modo della robotica.
“L’umanocentrismo non è una novità per il mondo della robotica, già perfettamente allineata a quello che è il nuovo paradigma 5.0: la robotica è fatta dall’uomo per l’uomo, quindi da questo punto di vista nessuna novità. È un’evoluzione che capisco che la comunità abbia voluto portare avanti, proprio perché probabilmente c’era il timore che le nuove tecnologie di fatto togliessero posti di lavoro”, commenta.
“Lo stesso si può dire della sostenibilità: ovunque viene introdotta la robotica aumenta la sostenibilità perché, per sua natura, riduce gli scarti e rende più efficiente la produzione, aumenta la produttività e quindi qualsiasi investimento in robotica aumenta la sostenibilità. Lo stesso vale per la resilienza: qualsiasi sistema automatizzato risulta più resiliente di un sistema non robotizzato”, aggiunge.
Temi su cui ABB è già impegnata da diverso tempo, sia per quanto riguarda la costruzione di impianti che l’offerta rivolta agli end-user. In questo senso, quindi, i temi che ruotano intorno al concetto di Industria 5.0 non rappresentano per il gruppo nulla di nuovo ed è per questo che la comunicazione aziendale continua invece ad essere basata su quei temi – come “flexible manufacturing”, “smart manufacturing” e “smart factory” – con cui da tempo il gruppo comunica i suoi sforzi per un’industria più sostenibie, umanocentrica e resiliente.
“Tuttavia, sull’utilizzo del termine ho una posizione neutra, nel senso che lo giudico favorevolmente se dietro al concetto c’è la sostanza, ovvero se si utilizza per superare i ‘limiti’ dell’ambiente industriale per includere e raggiungere degli obiettivi di una società più sostenibile, più equa e sociale“, conclude.
Sull’argomento abbiamo sentito anche il parere di Carlo Cuppini, Sales Manager di B&R Italia, azienda del Gruppo ABB specializzata sulle tecnologie per la machine automation. Una posizione che non si distacca molto da quella espressa da Leani, ossia di non opposizione di per sé al tema nell’ottica di promozione di consapevolezza, tra le aziende, dell’importanza dei valori che caratterizzano Industria 5.0.
“Per noi temi Industria 5.0 sono fondamentali. La sostenibilità è un impegno concreto che portiamo avanti, sia per quanto riguarda gli investimenti, i nostri nuovi building, ma anche i prodotti, che possono particolarmente aiutare sul fronte del risparmio energetico”, spiega.
“La stessa cosa vale per l’umanocentrismo: come parte di ABB ce ne occupiamo già da tempo. È vero che ora ci sono indicazioni più dettagliate sul tema della diversity e inclusion. L’azienda offre ai dipendenti dei corsi per riuscire proprio a creare anche una consapevolezza e anche ad avere un background comune su quello che sono le modalità con le quali vogliamo operare”, aggiunge.
Bosch Rexroth
Ha invece già formulato una chiara visione per Industria 5.0 Bosch Rexroth, divisione del Gruppo Bosch che si occupa di automazione industriale. Una visione che ruota intorno alla sensoristica, la connettività e il 5G.
“Il nostro impegno verso le persone ci ha portati proprio recentemente ad essere riconosciuti come ‘top emloyer’ per il 2023”, spiega Andrea Italo Maffioli, Vice President Industrial Applications di Bosch Rexroth.
“C’è tutto uno sforzo dell’azienda incentrato sulle persone, che vogliamo trasformare in veri talenti, in tutti i mondi applicativi – che siano automazione automotive, piuttosto che altro – e sulle tecnologie, che devono andare nella direzione della dei servizi, del ‘as-a- Service’, piuttosto che prodotti software ed altro che vanno a centralizzarsi in un unico modo di essere trasportati”, aggiunge.
E anche sul fronte della sostenibilità, spiega Maffioli, l’azienda si è posizionata come front runner, raggiungendo nel 2020 la carbon neutrality in 400 sedi tra stabilimenti e sedi commerciali.
“La sostenibilità e l’umanocentrismo sono nel nostro DNA. Ma di questi temi bisogna parlare, perché si viene dall’università con tante nozioni in materia di tecnologia, ma su temi come l’impatto ambientale, come ridurre i costi e il consumo energetico c’è ancora tanto da fare”, conclude.
Fanuc
Secondo Marco Delaini, Managing Director di Fanuc Italia, la spinta verso la sostenibilità e l’evoluzione dell’industria verso un modello circolare, che non si fermi quindi al solo risparmio energetico, consentono di considerare Industria 5.0 un nuovo paradigma a pieno titolo.
“L’Industria 4.0 è un modello focalizzato sull’efficienza dei processi industriali e sull’ottimizzazione consentita dall’uso intensivo dei dati industriali”, spiega Delaini. “Con l’Industria 5.0 il mondo manifatturiero è invece chiamato a compiere un ulteriore salto e a rispondere a esigenze della società ormai indifferibili. Come già è successo nel caso delle automobili, tutta l’industria è chiamata ad abbattere i consumi energetici con macchine e impianti che consumino anche il 50-60% meno di quelli attuali. Ma non solo: occorre anche ridurre gli scarti e l’uso di risorse naturali, favorendo l’impiego di materiali riciclati e arrivando a un impatto zero sull’ambiente secondo le logiche dell’economia circolare“, prosegue.
A questo trend poi si aggiunge quello dell’umanocentrismo. “Se l’Industria 4.0 valorizzava l’uomo come elemento decisore rispetto al lavoro fatto dalle macchine e ai dati da loro forniti, ancora una volta l’Industria 5.0 chiede alle aziende di fare un passo in più: mettere l’uomo al lavoro insieme alle macchine. Questo è consentito, per esempio, dai nuovi robot collaborativi che oggi sono in grado di movimentare carichi ben superiori rispetto a qualche anno fa e si possono quindi utilizzare in molte più applicazioni”.
Secondo Delaini, però, l’umanocentrismo è un trend che andrà anche oltre la collaborazione tra uomo e robot: “Personalmente sono convinto che assisteremo a un’evoluzione in chiave collaborativa non solo dei robot, ma anche delle macchine”, dice.
Tra le aziende intervistate Fanuc è l’unica che, anche in Italia, sta già intensamente utilizzando il termine Industria 5.0 nella propria comunicazione.
Mitsubishi Electric
Secondo Gianmichele Piciocco, Marketing Manager South EMEA di Mitsubishi Electric Factory Automation, il dibattito è figlio di uno dei grandi problemi dell’industria, ovvero la mancanza di una linea comune rispetto a un tema.
“Anche il termine ‘Industria 5.0’ sta iniziando ad essere assimilato dalla popolazione generale, declinandosi per ognuno in un formato diverso. È quello che è successo con Industria 4.0 e con altri termini, come ‘robot as-a-Service’ e ‘equipment as-a-Service’: ognuno ha utilizzato questi termini per raccontare una storia diversa”, spiega.
Ma in questo caso la questione è ancora più complessa, “poiché si è andato a prendere un termine orecchiabile per etichettare come nuova fase dell’industria un’evoluzione che singe invece verso una società interconnessa, verso temi legati a settori che si devono, per loro natura, fondere tra di loro. Stiamo parlando quindi di cambiamenti che vanno ben oltre i confini dell’industria“, aggiunge.
E, per quanto riguarda i tre pillar di Industria 5.0 – resilienza, sostenibilità e umanocentrismo – Piciocco sottolinea che si tratta di sfide senza dubbio importanti, ma che dovrebbero essere già alla base delle attività delle aziende, così come accade ormai già da tempo in Mitsubishi Electric.
“Resilienza, sostenibilità e umanocentrismo rappresentano tre concetti che dovrebbero essere già alla base del lavoro di ogni impresa e permeati già nella cultura d’impresa. Non si tratta di qualcosa di nuovo rispetto al 4.0, ma piuttosto è una cornice collaterale che va un passettino oltre rispetto ai focus dell’Industria 4.0″, aggiunge.
Un esempio, spiega Piciocco, lo si può trovare proprio nell’umanocentrismo, che non può essere individuato come un nuovo valore rispetto a Industria 4.0: anche se nel paradigma dell’industria 4.0 si è posta un’attenzione maggiore sull’innovazione tecnologica, questa era sempre finalizzata a costruire processi che vedevano l’uomo in una posizione centrale, come decisore.
Nonostante Piciocco non sia d’accordo con l’utilizzo del termine per individuare una nuova Rivoluzione Industriale, non è contrario all’utilizzo del termine Industria 5.0 “se questo rappresnterà un modo per l’industria per, finalmente, presentare una visione comune su quello che sarà il futuro della produzione”.
Omron
Donato Candiano, Deputy General Manager di Omron IAB, ci ha parlato di come Omron sta approcciando il tema, declinato nei suoi tre pilastri fondamentali (che ricordiamo essere sostenibilità, un’industria umanocentrica e resilienza).
“L’umanocentrismo ha da sempre caratterizzato la nostra azienda. Il mettere l’uomo al centro del processo di innovazione è qualcosa che ci ha sempre guidati nel processo di ricerca e sviluppo e che ha da sempre caratterizzato il nostro impegno per quanto riguarda i prodotti che abbiamo presentato sul mercato”, spiega.
Se quindi per Omron parlare di umanocentrismo sia un tornare a qualcosa di già affermato all’interno della visione e dei valori aziendali, Candiano spiega anche che il dibattito sul tema Industria 5.0 potrebbe essere stato alimentato dall’accentuarsi di questo focus come frutto di un’evoluzione naturale del percorso delle aziende lungo il paradigma 4.0.
“Se l’Industria 4.0 ha messo in un primo momento al centro i dati, adesso è l’uomo a tornare veramente protagonista, quindi dal mio punto di vista si potrebbe inquadrare Industria 5.0 come un’evoluzione del 4.0”, spiega.
Anche per quanto riguarda gli altri due pilastri di Industria 5.0 (sostenibilità e resilienza), Candiano sottolinea, da un lato, come questi argomenti siano temi a cui Omron, come fornitore di tecnologia, sta lavorando da anni, ma al tempo stesso come proprio questi temi siano diventati ancora più rilevanti nell’attuale contesto industriale ed economico.
“Sono due temi che aprono delle sfide importantissime, anche all’alba della dell’epoca che stiamo vivendo dal punto di vista industriale ed economico. Per noi fornitori, il tema della resilienza pone una sfida, perché dobbiamo ipotizzare come andare a costruire un ambiente produttivo che si possa adattare – in ottica di resilienza e in maniera strutturale –, anche a quello che sono le variazioni, la volatilità e la dinamicità di ciò che accade. Si tratta quindi di una sfida assolutamente centrata a cui dobbiamo rispondere”.
Una considerazione simile riguarda il concetto di sostenibilità che vede Omron, proprio in virtù della sua natura, impegnata già da tempo nel cercare di concretizzare questo valore sia all’interno dei propri stabilimenti che a livello di implementazione di tecnologie.
“In diversi processi abbiamo parlato tante volte di flessibilità. È chiaro che la flessibilità richiede anche una sostenibilità sia di costi che di risorse e, appunto, di processi”, aggiunge.
Nonostante quindi l’azienda non abbia adottato, rispetto al passato, una narrativa diversa – non parla, quindi, di Industria 5.0 per descrivere il suo approccio verso queste tre sfide/valori per l’industria –, la considerazione finale che emerge dall’intervista con Candiano sull’utilizzo del termine “Industria 5.0” non è di per sé negativa e può, anzi, spingere proprio i fornitori di tecnologie a riposizionarsi secondo le esigenze degli end-user.
“Il fatto che questi tre fattori tornino al centro, soprattutto per quanto riguarda il tema dell’umonocentrismo e della sostenibilità, certificano la necessità per tutti i produttori di riposizionarsi veramente su quello che significa fare innovazione oggi e anche rispetto a quella che sarà la nostra visione per i prossimi anni. Credo che il fatto che vengono accoppiati al termine di Industry 5.0. possa facilitare proprio la diffusione di una cultura per quelle aziende che, come Omron, lavorano in questo ambito”, conclude.
Rockwell Automation
Differente (e più critica) la posizione di Fabrizio Scovenna, Country Sales Manager di Rockwell Automation Italia, che vede nell’utilizzo del termine “Industria 5.0” una strategia di marketing con cui alcune aziende presentano il proprio storytelling, a cui non segue un vero e proprio cambio di paradigma.
Anche per quanto concerne i temi della sostenibilità e della social responsibility, all’attenzione che stanno ponendo le aziende spesso non seguono iniziative concrete a livello di offerta.
“La sostenibilità è un aspetto più mediatico che concreto e significativo. Sono d’accordo che sia un tema su cui i fornitori debbano impegnarsi a livello di offerta ai clienti, con prodotti sempre più attenti ai consumi e soluzioni software che tendono ad aiutare le persone a ridurre scarti, consumi di materie prime, etc. Tuttavia, sono gli stessi messaggi che vanno avanti ormai da anni”, commenta.
Simile considerazione sull’umanocentrismo: una narrativa che, spiega Scovenna, è un po’ in controtendenza con quella che è la realtà di un’industria sempre più automatizzata e che vedrà necessariamente alcune figure umane sostituite dalle tecnologie di automazione.
“Ed è questo che è un po’ paradossale e che mi fa pensare a Industria 5.0 come strategia di marketing invece di un vero e proprio cambio di paradigma: parliamo di umanocentrismo e poi introduciamo sul mercato tecnologie che vanno a sostituire le persone”.
Infine, conclude Scovenna, “Il rischio di creare confusione tra gli imprenditori c’è, perché si individua come qualcosa di nuovo un qualcosa che invece è in continuità con Industria 4.0”.
Schneider Electric
Meno dura la posizione di Marco Gamba, Industry Innovation and Communication Leader di Schneider Electric, azienda che non utilizza attualmente il termine “Industria 5.0” per raccontare come sostenibilità, umanocentrismo e resilienza si declinino all’interno dei confini aziendali, preferendo invece parlare, come fa da anni, di smart manufacturing.
“Vedo Industria 5.0 come qualcosa a cui il mondo dell’automazione sta guardando come un approccio più ‘rotondo’ alla digitalizzazione, che riporta il focus su temi su cui magari l’attenzione non è stata così pressante per quanto riguarda Industria 4.0. Ma non è nella sostanza una rottura rispetto a quello di cui ci siamo occupati finora”, spiega.
“No quindi all’utilizzo del termine come slogan, ma sì se è l’opportunità per creare la consapevolezza che digitalizzazione e sostenibilità devono procedere di pari passo. A volte anche questi ‘slogan’ servono per prendere consapevolezza su determinati temi”, aggiunge.
Una posizione non contraria quindi all’adozione del termine in sé, ma legata all’utilizzo che se ne fa e se ne farà in futuro, pur riconoscendo che non si inserisce come discontinuità rispetto a Industria 4.0. E questo legame è sottolineato, spiega Gamba, dalle stesse tecnologie individuate come abilitanti che “fatta forse eccezione per i biomateriali sono le stesse tecnologie che hanno caratterizzato Industria 4.0”.
“Forse lo sforzo che si sta cercando di fare è capire, per chi non lo avesse ancora fatto, che queste tecnologie devono essere approcciate congiuntamente e non singolarmente”, conclude Gamba.
Siemens
Il generale atteggiamento di cautela nei confronti dell’utilizzo del termine si ritrova anche nelle parole di Mauro Valenti, General Manager Factory Automation di Siemens.
Anche per Valenti, il termine indica non tanto una discontinuità quanto piuttosto un’evoluzione rispetto al paradigma 4.0. Evoluzione che nasce da esigenze differenti che le imprese hanno riscontrato in questi ultimi anni e che ruotano appunto intorno ai pilastri dell’Industria 5.0.
“Per quanto riguarda la resilienza, ovvero la capacità di reagire ad eventi disruptive, la pandemia ci ha dimostrato quanto sia un tema fondamentale per le imprese. Anche per quanto riguarda l’umanocentrismo non possiamo non sottolineare la sua rilevanza in un contesto sempre più automatizzato”, spiega.
“Anche la sostenibilità dovrà essere sempre più al centro degli interessi di tutta la comunità industriale, in linea con gli accordi in materia presi a livello di politiche internazionali”.
Per quanto riguarda l’utilizzo della terminologia, per il momento Siemens non ha inserito il termine “Industria 5.0” tra le parole che descrivono il suo impegno verso questi tre valori. Impegno però che, nella sostanza, trova ampio spazio nella strategia di crescita aziendale.
Quattro spunti di riflessione
Come abbiamo visto, le opinioni sul tema sono eterogenee e spesso divisive, seppur con qualche elemento di continuità. Nello specifico, possiamo individuare alcune considerazioni generali comuni a quasi tutti i punti di vista che vi abbiamo riferito.
La prima è che sostenibilità, umanocentrismo e resilienza sono tre esigenze effettive delle aziende manifatturiere (e non solo). Industria 5.0 descrive quindi, nella sostanza, un effettivo bisogno del mondo industriale.
La seconda è che in questo periodo si sta oggettivamente ponendo più attenzione su questi temi. Temi che però non erano mai stati “esclusi” dal paradigma dell’Industria 4.0, anche se trovano ora più importanza a livello comunicativo.
Terza considerazione, Industria 5.0 descrive cambiamenti che vanno ben oltre i confini industriali: non è un caso che sia un concetto mutuato dalla visione di una Society 5.0 emersa qualche anno fa in Giappone.
Quarto elemento riguarda la comunicazione: anche se diversi intervistati sottolineano il rischio di creare delusione o confusione tra gli imprenditori, molti sottolineano che l’utilizzo del termine non è di per sé nocivo se verrà utilizzato per creare consapevolezza su queste esigenze. Tuttavia, questa consapevolezza dovrebbe già far parte della cultura imprenditoriale.
Industria 5.0, diteci la vostra rispondendo alla nostra survey
Il dibattito sull’Industria 5.0 in ogni caso è ben lontano dall’essere concluso.
Anche per questo, abbiamo deciso di lanciare insieme a Industry4Business e Internet4Things (testate che, come Innovation Post, fanno parte del Network Digital360) e con il supporto del laboratorio RISE dell’Univesità di Brescia in qualità di partner scientifico una survey per raccogliere le vostre considerazioni in merito.
Il questionario richiede circa 5 minuti e comprende domande chiuse e a scelta multipla a cui si può rispondere al seguente link.