La rivoluzione è in atto da almeno 60 anni. Dal secondo Dopoguerra il mondo ha conosciuto la trasformazione digitale. Un movimento a lungo sotterraneo, silente, chiuso alle segrete stanze di laboratori di ricerca e applicazioni militari. La rivoluzione digitale, che oggi dà agli imprenditori opportunità e grattacapi per capire come modificare il proprio business, non è niente di nuovo dal punto di vista dei fondamentali. Nuova è la velocità che ha acquisito. Tasselli che hanno impiegato decenni ad andare al loro posto e ora disegnano un quadro chiaro. “La rivoluzione digitale è in atto da 50-60 anni e da pochi anni ha subito un’accelerazione. E sono sicuro che non è un tema finito”, osserva Umberto Bertelè, professore emerito di Strategia e presidente degli osservatori del Politecnico di Milano.
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Esigenza politica
Secondo Bertelè, “osserviamo in tutto il mondo un fenomeno di riduzione dell’aspettativa di vita delle imprese, la cui vita continua a calare”. È il momento di un ricambio generazionale per le imprese, che secondo il docente avrà effetti sia “sugli incumbent”, ossia su quelle società che hanno le maggiori quote di mercato di determinati settori, sia “sulle imprese nascenti”. “Le startup sono un’esigenza sociale e politica fortissima – precisa Bertelè -, se non riusciamo a far nascere nuove imprese è una tragedia. La difficoltà è capire quando e con che tempi intervenire”. Per questo secondo il professore l’intervento politico è strategico, ma “abbiamo osservato il potere debole dei rappresentanti digitali dei partiti politici. È un tema caldo che se non si risolve in pochi anni, potrebbe diventare un problema terribile per il paese”.
Il piano Calenda
Secondo Bertelè qualche avvisaglia di un nuovo corso arriva dal governo. Nello specifico, il riferimento è al piano Calenda per l’industria 4.0. “Finalmente un piano che si basa sullo sconto fiscale e non sull’incentivo – chiosa l’accademico -. L’unica preoccupazione è sui tempi: deve tradursi subito in realtà. Non deve rimanere impantanato nell’iter burocratico”.
“L’ecosistema delle startup in Italia inizia a funzionare, qualcosa accade. Anche soldi e investimenti crescono abbastanza bene, registriamo 210 milioni di euro investiti lo scorso anno”, spiega Andrea Rangone, docente in aspettativa del Politecnico. “La cosa che mi preoccupa è che abbiamo appena iniziato la strada giusta è già si affaccia uno spettro già visto ai tempi della new economy, per cui per qualche caso di fallimento si è buttato via tutto. I primi progetti di contaminazione porteranno risultati all’inizio? No. Si porterà a casa poco o insuccessi. Il processo durerà decenni ma qui ci giochiamo il nostro futuro, per recuperare la perdita di competitività e produttività”.