In un contesto di mercato che si fa sempre più complicato e difficile da prevedere, le moderne supply chain industriali devono essere sempre più capaci di acquisire con tempestività le informazioni utili al business, in maniera tale da prendere le decisioni migliori possibili, intercettando anche la crescente domanda di sostenibilità che arriva da istituzioni e clienti finali. L’ERP di nuova generazione, sempre più spesso basato sul cloud, costituisce un elemento imprescindibile per tutte le realtà imprenditoriali che vogliono restare competitive.
Di tutto questo si è parlato in uno speciale appuntamento del SAP Discovery Day, organizzato presso la prestigiosa cornice del Museo Enzo Ferrari di Modena da SAP Italia e dal partner Altea UP e moderato dal direttore di Industry4Business e ESG360 Mauro Bellini. Un momento che fa parte del percorso di riavvicinamento al territorio che il vendor sta attuando di recente, dopo l’inevitabile sospensione correlata alla pandemia.
Come ha evidenziato nell’apertura dell’appuntamento Fabrizio Moneta, Head of Mid Market and Channel SAP Italia, “Viviamo un momento di grande discontinuità sul mercato e di grande interesse dei CEO per le nuove tecnologie, non soltanto IT. D’altra parte, i CIO devono conciliare queste aspettative con la necessità di ottenere una maggiore efficienza, non soltanto economica. Con Altea UP abbiamo deciso di fare questo roadshow, così da portare la nostra visione il più possibile vicina al territorio, grazie alla testimonianza anche del cliente Gruppo Opocrin, che ci permette di raccontare dove stiamo andando”.
Indice degli argomenti
Cosa sono davvero le aziende SMART
A raccontare al pubblico le macro tendenze in atto nelle supply chain industriali c’è stato il dettagliato intervento iniziale di Marco Perona, Professore Ordinario di Logistica Industriale e Supply Chain Management presso l’Università degli Studi di Brescia e fondatore del gruppo di ricerca RISE, che è partito dall’inquadramento delle aziende smart.
“Si tratta di un modo diverso di fare le cose. Le aziende smart non producono cose diverse da quelle da quelle “non smart”, ma le fanno in maniera differente. La nostra personale visione di azienda smart è innanzitutto di impresa circolare e sostenibile, ma anche sempre più cliente centrica e servitizzata. Quest’ultimo è un tema forse non noto a tutti: la servitizzazione indica quando un’azienda manifatturiera focalizzata sul prodotto sceglie di muoversi verso una piattaforma di soluzioni in cui il prodotto abilita l’erogazione di uno o più servizi. Le aziende smart sono poi anche digitali e sempre più data driven: si tratta di un tema ancora difficile in Italia, dove la gestione si costruisce su base esperienziale, anche nel caso aziende di grandissimo successo, spesso nella logica del “si è sempre fatto così”. Ma ormai ci sono trasformazioni così veloci, che si svolgono in un contesto sempre più dinamico, che premiano meno l’esperienza in un determinato settore e privilegiano invece la capacità delle aziende di interpretare i dati e diventare predittive e proattive. In tutte queste dimensioni il tema della disponibilità dei dati e della capacità di trasformarli in informazioni utili al processo decisionale diventa dunque centrale”.
Non solo ricerca del profitto, ma soddisfazione del cliente
C’è poi un’altra considerazione importante intorno alle aziende Smart, la cui mission non può essere soltanto la massimizzazione del fatturato quanto, piuttosto, la capacità di creare soluzioni ai problemi dei propri clienti: “Questo dovrebbe essere l’obiettivo di ogni organizzazione di ogni azienda Smart. L’obiettivo, quindi non può essere perseguire il massimo del fatturato o dell’Ebitda, che costituisce certamente un risultato conseguente. Quanto piuttosto avere dei clienti soddisfatti perché gli abbiamo risolto dei problemi. Questo è vero per qualunque tipo di azienda, non soltanto per quelle di prodotto. Pensiamo ad esempio alla missione di Google, che è quella di organizzare tutta l’informazione esistente al mondo e renderla universalmente accessibile. Ma lo stesso vale per Amazon, il cui obiettivo è quello di sviluppare una customer experience sempre migliore, più che vendere libri o altro”.
Ma come può una tipica azienda italiana diventare realmente smart? Secondo Perona, la prima azione è quella di “cambiare le cose che si fanno, dunque pensare al nostro prodotto come a un prodotto smart. Questo non vale solo per chi vende prodotti ultra-tecnologici come possono essere realtà come Tesla. Potrei raccontarvi storie di successo anche di aziende che producono “semplicemente” capannoni più smart. In realtà il vero limite è nella nostra fantasia, nella capacità di inventarsi nuovi punti di vista e di creazione. La seconda direttrice in cui muoversi attiene al fatto di cambiare il modo in cui si fanno le cose, rendendo i processi interni più supportati dalle informazioni, più automatizzati, grazie al 4.0 e grazie alla convergenza tra IT e OT, che sono sempre più collaborativi. Come terza direttrice, infine, occorre cambiare il modo di generare valore. Passando dalla vendita di un prodotto a quella di una soluzione, passando dal classico meccanismo della compravendita a quelli più evoluti della pay per performance o pay per use, come ha fatto, sempre per fare un altro esempio, la Nespresso o altri attori che hanno scelto di far pagare la prestazione e non il prodotto. Si tratta di direzioni, in particolare la terza, che abilitano nuovi modelli di business, ribaltando visioni consolidate e introducendo modelli innovativi, ad esempio a livello di circolarità, in cui l’impiego del prodotto è ridisegnato con l’obiettivo di non generare scarti. Oppure modelli di sharing, come il tema della circolazione e della mobilità ha dimostrato. Oppure modelli dove l’accesso vale più del possesso come il tema della platform economy ha dimostrato: dieci anni fa avremmo mai pensato che il maggiore operatore alberghiero del mondo non possiede neppure una camera d’albergo? Oppure che il più grande attore della mobilità non possiede neppure un’auto? Semplicemente sono emersi questi modelli basati su piattaforme digitali che hanno ribaltato completamente il quadro”.
Come le aziende possono affrontare il processo di trasformazione
Il fondatore del Rise ha dunque suggerito alla platea alcuni passaggi essenziali per affrontare questo processo di trasformazione, passaggi che ruotano tutti intorno al ruolo cruciale dei dati. La prima azione, non a caso, è quella di trovare modi per generare dati, attraverso processi digitali, che non facciano riferimento al solo processo produttivo, ma anche ad ambiti come pianificazione, decisione e gestione.
Questi processi devono generare informazioni e in parallelo a queste occorre sviluppare dei prodotti che a loro volta, quando lavorano sul campo, siano capaci di generare informazioni.
La seconda fase è quella di trasformare i dati che si raccolgono in informazioni e conoscenza. L’obiettivo è dare vita a dei processi decisionali data-driven, che sostituiscano e affianchino l’esperienza delle persone, permettendo di realizzare delle supply chain integrate e collaborative, in cui si condividono informazioni e decisioni. Il terzo step è quello di valorizzare questa conoscenza che è stata costruita, a livello di processi interni attraverso l’aumento dell’efficienza e dell’efficacia delle decisioni prese, ma anche con un maggiore controllo sulle attività, mentre verso l’esterno è possibile concretizzare questa maggiore conoscenza anche con nuovi modelli di business a elevato valore aggiunto.
“Evidentemente la centralità del dato pone tutta una serie di aspetti e di problemi, a partire dalla gestione stessa del dato, che deve essere generato, trasmesso, memorizzato e protetto. Ma il dato va poi anche trasformato in informazioni e conoscenza a partire dall’informazione più elementare, attraverso aggregazioni, incroci e analisi statistica. Infine, c’è l’importantissimo tema della condivisione: affinché i dati creino un effettivo valore, occorre condividerli tra le varie funzioni aziendali, rompendo la logica dei silos, ma anche con fornitori e clienti. Il cloud in questo senso può rappresentare la soluzione ideale per raggiungere questo risultato”, ha puntualizzato Perona.
Con questo approccio, i dati possono davvero diventare il nuovo petrolio per il mondo del business: “C’è un problema però: in molte aziende si utilizza uno schema che non funziona. Ci sono infatti certi processi che generano certi dati e sulla base di questi si prendono delle decisioni. Ma non sempre questi dati sono quelli che realmente servono per prendere le decisioni migliori. Dunque, occorre ribaltare l’approccio: prima è meglio identificare le decisioni critiche da prendere e poi ripensare i processi in maniera tale da generare i dati che servono per affrontare al meglio quelle decisioni. Diversamente si ritorna sempre nella logica del “si è sempre fatto così”. In questo modo le supply chain industriali saranno in grado di affrontare le grandi sfide a cui il mondo andrà incontro nel prossimo futuro, a partire da quelle ambientali.
Il caso Gruppo Opocrin
Una sfida, quella dell’utilizzo corretto del dato, che è stata raccolta da Gruppo Opocrin, realtà specializzata nella produzione e commercializzazione di principi attivi farmaceutici e molecole complesse. Una realtà del territorio emiliano che ha deciso una importante evoluzione tecnologica, così da affrontare al meglio le nuove sfide di business, come ha raccontato Roberto Filippi, IT manager Gruppo Opocrin: “Siamo un’azienda storica del modenese, nata 60 anni fa e cresciuta sempre nel corso del tempo, occupandosi della trasformazione dei principi attivi per l’industria farmaceutica. Negli ultimi due anni abbiamo deciso di crescere con acquisizioni, in pieno periodo Covid, mettendo in atto una grande trasformazione aziendale. Con l’acquisizione è arrivata anche una realtà che si occupa della realizzazione di prodotti finiti con un ulteriore passaggio in termini di trasformazione aziendale. Abbiamo cercato di intraprendere questo percorso di trasformazione partendo da una domanda fondamentale: “come ci vedremo come azienda da qui a X anni?” E, soprattutto, di cosa abbiamo bisogno per colmare i nostri gap in un segmento di mercato che non conoscevamo? Abbiamo insomma capito che c’era bisogno di un cambiamento di processo: abbiamo immaginato che non potevamo affrontare questo percorso senza prima far comprendere il cambiamento agli individui che compongono la nostra organizzazione. Dunque, ci siamo affidati a un partner che ci potesse sostenere in questa strategia”.
Un partner vicino al cliente: Altea UP
Il partner che ha affiancato Gruppo Opocrin in questa trasformazione è stato Altea UP, SAP Gold partner parte del gruppo Altea Federation. Una realtà che, come ha raccontato Valentina Gagliardi, Sales Director di Altea UP, ha scelto non a caso di strutturarsi in business unit: “Questa organizzazione ci permette di stare vicini al business, perché abbiamo persone che conoscono i diversi processi e settori, permettendoci di parlare la stessa lingua del cliente. Inoltre, in 30 anni di attività abbiamo acquisito una profonda conoscenza di SAP con una grande padronanza a livello di best practice che ci consente di fare delle implementazioni rapide e accelerate, semplificando la vita ai CIO, che devono affrontare a loro volta una trasformazione digitale di grande importanza”.
La scelta di SAP
Su queste basi ha preso piede il processo di trasformazione di Gruppo Opocrin: “Sicuramente non si può ottenere tutto subito – ha spiegato Filippi – considerato che la revisione dei processi è la cosa più difficile in assoluto: dichiarare internamente che una cosa che si è fatta in un determinato modo per tanti anni non va più bene è molto difficile da far accettare al personale. Bisogna avere una visione e anche accettare compromessi, così da costruire un percorso per step, facendo comprendere i passaggi e gli obiettivi alle persone. Si tratta di un processo complicatissimo: ma nel nostro caso ci siamo riusciti, utilizzando la trasformazione digitale per aiutarci, scegliendo SAP che nel mondo Pharma ha sempre investito tantissimo, aiutandoci ad avere a disposizione un dato certificato. Per questo siamo partiti dal finance, per poi andare a coprire tutte le aree aziendali, così da arrivare a una semplificazione delle attività lavorative delle persone”.
Una collaborazione strettissima
Ma come si fa concretamente a mettere in atto un progetto di questa portata, in una realtà produttiva impegnata nel suo business quotidiano? Secondo Gagliardi, “Il primo punto è che clienti e partner devono lavorare e collaborare insieme a stretto contatto per controllare che il progetto proceda nella migliore maniera possibile. Se una delle due parti non è allineata è difficile avere successo. Occorre dunque creare la necessaria coesione con il cliente, parlare la stessa lingua. In altre parole, il rapporto deve essere molto solido, un approccio che permette di superare momenti di crisi o difficoltà. Nel caso di Gruppo Opocrin abbiamo iniziato il progetto quando eravamo in lockdown, quindi abbiamo dovuto modificare le pratiche a cui eravamo tradizionalmente abituati: non avevamo scelta, molte riunioni sono state fatte in streaming e sono state registrate, anche per metterle a disposizione del cliente per apposite sessioni di training. Per fortuna nel momento del go live ci siamo riavvicinati anche fisicamente al cliente”.
Le ragioni alla base della scelta cloud
La scelta di Gruppo Opocrin per affrontare il suo cambiamento di business è stata quella di puntare su ERP di nuova generazione in cloud. “Nel mondo Pharma, a causa delle forti regolamentazioni c’è la tendenza a rimanere con un dato proprietario. Ma nel nostro caso il cloud ci ha permesso di immaginare di poter adottare prima o poi il nuovo ERP su tutte le società del gruppo, comprese quelle estere. SAP ci è venuta incontro con una piattaforma adattabile con il mondo Pharma e dunque abbiamo colto l’occasione, andando verso questa tipologia. Devo dire che si è trattato di una scommessa che ha funzionato, tanto che abbiamo rispettato tutte le logiche sottostanti il funzionamento del settore farmaceutico. Il progetto è andato in porto grazie a un grandissimo lavoro, supportato da un fortissimo commitment dell’azienda e del top management, rendendo le persone veramente partecipi del cambiamento. Questo sforzo ci permette adesso di continuare nella missione di sviluppare quello che manca ancora e fare in modo che le persone possano utilizzare al meglio i dati, in un percorso di provisioning, anche in vista delle sempre più pressanti sfide della supply chain e della sostenibilità”.
La scelta del cloud cambia molto anche le relazioni con partner e cliente finale: “Come Altea UP – osserva Gagliardi – abbiamo sicuramente una partnership molto forte con SAP, quindi li abbiamo seguiti nella svolta cloud, abbiamo capito che questa tecnologia permette anche a noi di essere più scalabili ed efficienti; inoltre, ci siamo accorti anche che il ruolo del partner resta fondamentale. Scegliendo il cloud, infatti, SAP si avvicina al cliente medio e il ruolo del partner diventa così quello di facilitatore e collante del rapporto con SAP”.
Un nuovo approccio al mercato per SAP
Il nuovo approccio al mercato da parte del vendor è stato raccontato nel dettaglio da Fabrizio Moneta, Head of Mid Market and Channel SAP Italia: “Da circa 4 – 5 anni SAP si è rifocalizzata sulle applicazioni, instaurando un forte rapporto di partnership con i fornitori di tecnologia. Il valore di SAP è nel proprio portafoglio applicativo: negli ultimi 50 anni abbiamo raccolto una piattaforma applicativa molto vasta che è in grado di accompagnare clienti in uno scenario che si fa sempre più complesso. Nel mercato italiano assistiamo a una ripresa di interesse verso l’extended ERP proprio perché gli imprenditori cominciano a rivedere i propri processi interni con lo scopo di aumentare la resilienza verso il futuro. In quest’ottica la piattaforma SAP permette di affrontare l’incertezza futura con una maggiore sicurezza”. Due sono poi le aree che SAP ha deciso di curare in questa fase con maggiore attenzione: supply chain e sostenibilità.
Il valore aggiunto di SAP per le supply chain
Per quanto riguarda il primo punto “La pandemia ha rivelato la fragilità delle supply chain rigide e ha chiaramente evidenziato che questa tipologia sarà molto difficile da gestire nel futuro, per qualsiasi tipo di logistica. Serve un altro tipo di approccio, dunque molte scelte che sono state fatte in passato, in soluzioni verticali, si stanno modificando verso un approccio di extended ERP, riportando le proprie soluzioni storiche su soluzioni di nuova generazione cloud modulari, molto più agili e che, soprattutto, consentono di accedere a un network di fornitori e partner, per ottenere una maggiore flessibilità. La supply chain è dunque un’area su cui stiamo investendo moltissimo, dove siamo un vendor di riferimento”, puntualizza Moneta.
E aggiunge: “La nostra ottica è molto pragmatica, l’obiettivo della supply chain deve essere quello di garantire il massimo del servizio al cliente al minor costo possibile. Per ottenere ciò, la base dei processi all’interno dell’azienda deve essere molto solida: se non riesco a mappare i processi non potrò avere quella flessibilità che può consentire di prendere le decisioni giuste al momento opportuno. Dal mio punto di vista quello che fa la differenza è aumentare la visibilità e migliorare la collaborazione. Chiaramente la parte più semplice è la messagistica e la collaborazione, ma il vero valore aggiunto che come SAP possiamo portare è quando le diverse aree aziendali riescono a guardare allo stesso problema secondo la propria area di competenza, rendendo la collaborazione implicita. Immaginiamo il caso di un CFO che si accorge che un particolare fornitore presenta tempi lunghi su fatture e ordini: la collaborazione con il direttore acquisti, a partire dall’analisi del dato aggregato, permette di arrivare a scoprire la causa, ad esempio derivanti da problematicità su un materiale specifico”
Perché la sostenibilità passa dal dato
Il tema della sostenibilità è se possibile ancora più ampio perché riguarda la normativa, ma anche il reperimento di fondi e di capitali, dal momento che il mondo del credito valuta con sempre maggiore attenzione questo criterio: “In prospettiva futura la sostenibilità rappresenta sempre di più un elemento di scelta da parte dei clienti finali, che cominciano a scegliere anche in funzione di questi driver”. Un passo concreto sulla sostenibilità da parte di SAP è il recente annuncio di Green Ledger, che sarà reso disponibile nella seconda metà dell’anno. “Si tratta di una soluzione che permette di gestire la sostenibilità nello stesso modo in cui gestiamo i dati amministrativi, tracciando costi e ricavi green di ogni materia prima o semilavorato che entra all’interno della catena e di ogni step effettuato. La granularità dettagliata permette di avere un controllo completo dei dati di sostenibilità, così da avere lo stesso livello di granularità che si ha sui dati finanziari”, spiega Moneta.
Tutto questo perché “la complessità della sostenibilità è enorme e richiede una granularità di copertura dei processi aziendali che è impareggiabile. Come SAP abbiamo un vantaggio competitivo, nella nostra piattaforma possiamo infatti mappare nel dettaglio tutti questi processi. Sulla base di questi dati posso avere un dettaglio tale che consente di prendere decisioni, come ad esempio scegliere se cambiare fornitore per uno più sostenibile o modificare i processi strategici. Certo sarebbe molto complicato fare tutto questo affidandosi soltanto a Excel, con dati provenienti dalle fonti più disparate”.
La flessibilità dell’approccio Cloud
Resilienza delle supply chain e sostenibilità, secondo SAP, possono beneficiare dell’approccio Cloud: “Il cloud è importante non soltanto per una questione di costi. Anzi, si può dire che non è tanto uno strumento per risparmiare, ma per semplificare e riportare certe funzioni verso chi fa certe cose meglio di noi (sicurezza, scalabilità, ecc). Ma è inoltre soprattutto uno strumento di innovazione e cultura e questo in SAP lo vediamo da anni. Il cloud consente alle imprese di accedere più facilmente all’innovazione, così da rispondere al meglio alle esigenze che potrebbero nascere in futuro. L’altro aspetto è che il cloud permette anche una democratizzazione dell’innovazione, aitandoci ad approcciare quelle aziende con un fatturato più ridotto, che in passato non avrebbero potuto utilizzare SAP. Cloud non è dunque una commodity ma piuttosto un elemento strategico ed è dunque questa la ragione per la quale ci stiamo investendo così tanto”, puntualizza Moneta.
D’altra parte, però, SAP ha deciso di non assolutizzare la propria scelta tecnologica e, anzi, di venire incontro alle specifiche richieste dei clienti: “Sicuramente come vendor vediamo un modello di gestione cloud in cui si lavora con più agilità come dimostra il caso Gruppo Opocrin. Eppure, nonostante questo, noi seguiamo comunque sempre qualsiasi cliente, a prescindere dalla sua scelta tecnologica, che sia on premise o cloud. Noi non abbandoneremo mai nessun cliente che voglia continuare a lavorare in modo tradizionale. Inoltre, come detto, ci siamo rifocalizzati sul nostro core business, abbiamo abbandonato alcune aree di vendita, scegliendo di avviare delle partnership strategiche con gli hyperscaler. In particolare, solo per fare qualche esempio, per AI e RPA e altre tecnologie di nuova generazione in cui abbiamo scelto di appoggiarci a dei partner. Grazie a questi nostri partner abbiamo insomma un modello molto più agile rispetto al passato: una concreta opportunità a disposizione di tutti i clienti”, conclude Moneta.
Articolo originariamente pubblicato il 28 Lug 2023