Industria 4.0

Ridisegnare la supply chain di beni e servizi per reagire all’emergenza Covid-19

Ecco una serie di azioni e spunti di miglioramento dall’indagine svolta su oltre 180 aziende dal Laboratorio RISE dell’Università degli Studi di Brescia e ASAP Service Management Forum

Pubblicato il 30 Giu 2020

Anna Bergamini

Senior Consulting, IQ Consulting Srl

Marco Perona

Laboratorio RISE - Università di Brescia

Figura 3 – Seconda sfida: la turbolenza e la complessità dei mercati globali


Quali impatti ha avuto l’emergenza Covid sulle supply chain? Quali ricadute attese per il futuro? Quali possono essere le azioni utili a gestire e mitigare la crisi?

Al fine di supportare le aziende nel trovare possibili risposte, il Laboratorio RISE dell’Università degli Studi di Brescia e ASAP Service Management Forum, la community italiana dedicata ai temi del service e della servitizzazione, hanno sviluppato un’indagine rivolta ad analizzare gli impatti dell’emergenza Covid sulla supply chain di prodotti e servizi delle aziende manifatturiere. Grazie al supporto anche di Switch, il tool per la valutazione del rischio di fornitura di IQ Consulting, è stata posta particolare attenzione alle ricadute sulla filiera logistica e alle possibili azioni messe in pratica dalle aziende per mitigare il rischio di approvvigionamento.

Tra metà marzo e aprile 2020, l’indagine ha coinvolto 180 aziende, per lo più “manifatturiere” o di distribuzione e servizio su prodotti fisici operanti per lo più nei settori dei beni strumentali o di consumo durevole.

Fig. 1 – Composizione campione (dimensione)

Fig. 2 – Composizione del campione (macro-settori)

Supply chain disruption

Il fenomeno della globalizzazione e la rincorsa sempre più serrata alla competizione sul prezzo hanno spinto numerose aziende alla delocalizzazione della produzione o, ancora più in larga parte, alla pratica del global sourcing, che implica di ricercare fornitori anche molto lontani per accedere a vantaggi di prezzo. Come conseguenza non è infrequente trovare aziende (non necessariamente commerciali) dove una grande parte del fatturato è costituito da materiali acquistati, e che localizzano i fornitori di tali materiali anche in aree molto remote del pianeta. Queste progressive trasformazioni delle supply chain hanno però anche impattato sulla loro stabilità, generando filiere lunghe e quindi intrinsecamente poco trasparenti e controllabili, riducendo le alternative di fornitura, e quindi la resilienza delle catene del valore rispetto alle perturbazioni, rendendo inevitabilmente meno ripetitivi e prevedibili i mercati ed infine aumentando la dipendenza delle imprese da infrastrutture critiche, come quelle che generano, raccolgono e condividono i dati. La fragilità di queste filiere diventa evidente soprattutto in periodi di crisi: il Covid19 sta mettendo in luce i limiti di questo tipo di gestione. Tra le altre leve, le aziende troverebbero nella gestione del rischio di fornitura un importante strumento per conoscere preventivamente gli impatti che potrebbero generarsi in momenti di crisi.

Un’indagine svolta lo scorso anno, aveva già però mostrato come solo più del poco più del 50% delle aziende italiane ha un sistema di monitoraggio del rischio di fornitura, che, tuttavia, non sempre si dimostra strutturato e completo: solo un’azienda su 3, infatti, monitora più dell’80% dei fornitori.

Non può quindi sorprendere che i risultati di questa nuova ricerca sugli impatti Covid-19, mostri come quasi il 50% dei rispondenti classifichi come elevato o addirittura molto elevato l’impatto che l’attuale emergenza ha già avuto sull’intera filiera di approvvigionamento. Oggi, la grande criticità, tuttavia, non riguarda tanto la localizzazione geografica del fornitore ma la distribuzione degli attori sull’universo planetario: il contagio e il conseguente lockdown non sono circoscritti, come in altri tipi di crisi, ad un solo territorio e a un solo gruppo di imprese, con il risultato che l’impatto avviene a ruota, su una buona parte delle filiere, in tempi diversi e con effetti diversi.

In sintesi, se nel passato, con l’adozione di leve “singole” era possibile superare la crisi perché un attore poteva essere facilmente sostituito, la parola d’ordine in questa fase è “collaborazione”: solo così l’intera filiera può galleggiare nell’attesa di riprendere a remare a pieno ritmo.

Proprio con queste osservazioni deve essere letta la risposta riguardo le attività produttive, che sembra avere un impatto leggermente inferiore alla catena di fornitura possibilmente frutto di politiche di gestione delle scorte non particolarmente restrittive: stimiamo tuttavia che al prolungarsi della crisi e, soprattutto delle misure restrittive messe in atto, questi valori possano peggiorare. Se da un lato, infatti, ci auspichiamo, eventualmente grazie al ricorso a fornitori di backup, che gli approvvigionamenti possano ripartire, il core della manifattura potrà non essere operativo a causa dei lockdown imposti dal Paese. In questo senso diventa strategico, soprattutto per aziende prodotto-centriche, orientarsi a nuovi business e ampliare la propria offerta con nuovi servizi.

Service supply chain

I risultati dell’indagine mostrano che pur in uno scenario preoccupante su tutti i fronti, il business della vendita dei prodotti/sistemi/impianti ha una prospettiva decisamente più negativa che quello dei servizi. Il 66% delle aziende prevede un impatto elevato o molto elevato in termini di riduzione del business “di prodotto”, mentre tale percentuale scende al 49% per il business dei servizi associati al prodotto stesso. Al contrario il 24% delle aziende ipotizza un impatto limitato o nullo sulla vendita dei servizi, a fronte di un 6% per quanto riguarda i prodotti. Maggiori dettagli sull’impatto sul service business sono consultabili in questo articolo.

Quello che emerge dalla ricerca, in sintesi, è che se gli investimenti in acquisto di nuovi beni saranno rallentati, il calo avverrà in misura molto minore per la domanda di servizi. Addirittura, se il rallentamento della vendita di nuovi /prodotti impianti perdurerà, il business dei servizi al prodotto tenderà a crescere, proprio per la maggior anzianità del parco installato (che richiederà maggiore manutenzione, sostituzione di parti, upgrade, ecc.). È proprio questo uno dei fattori alla base della servitization, cioè l’evoluzione del modello di business dalla vendita di prodotti all’offerta di servizi e soluzioni. L’offerta di servizi al prodotto soffre meno i cicli economici o è addirittura anticiclica, rafforza la relazione con i clienti e la loro fidelizzazione, e costituisce un elemento di differenziazione dalla concorrenza.

Ma anche le supply chain e le operations legate alla service delivery sono oggi colpite dall’emergenza Covid e soggette a disruption, pur se in misura minore rispetto ai sistemi manifatturieri. Il 30% del campione sta già sperimentando impatti elevati o molto elevati sulla catena di fornitura di parti di ricambio (ad esempio blocco delle attività dei fornitori, ritardi di consegna, fallimenti dei fornitori) e il 33% li prevede sulla rete di service partner esterni che concorrono nell’erogazione dei servizi di campo (ad esempio fallimento o difficoltà economiche dei service partner, difficoltà a trovare partner adeguati, ritardi di erogazione dei servizi).

Una nuova supply chain

Per affrontare il post-emergenza e la nuova normalità le aziende devono ridisegnare la propria supply chain di prodotto e servizi. Sarà in primis cruciale costruire una Supply chain agile, attraverso un’analisi del proprio rischio di fornitura e della robustezza della propria rete logistica per essere in grado di costruire e attivare rapidamente scenari alternativi. Conoscere preventivamente gli impatti che potrebbero generarsi in momenti di crisi pare poter diventare un nuovo vantaggio competitivo. Infatti, come suggerisce McKinsey, i benefici per le aziende che già ex-ante avevano adottato e utilizzavano in modo armonico strumenti di supply risk management sono stati significativamente maggiori. Naturale conseguenza dell’applicazione di questa leva nell’attuale contesto è che le supply chain diventeranno probabilmente meno globali e più locali, per garantire maggiore rapidità ma, soprattutto, visibilità e controllo. Si rivela necessario perché la “supply chain continuity” sarà essenziale, e filiere corte sono più rapide, trasparenti e prevedibili. Un esempio convincente di questo argomento è proprio la shortage di mascherine protettive. Non solo le grandi aziende, certamente più attive sul fronte del supply chain risk management, ma anche le PMI possono, se ben supportate, identificare e implementare soluzioni in tempi rapidi.  I concetti di resilienza, flessibilità e ridondanza, analisi del rischio, data-driven decision making devono diventare parte integrante delle strategie e dei processi di gestione della supply chain.  Analizzare per esempio il rischio del Paese in cui il l’azienda fornitrice si trova può evidenziare la necessità non solo di adottare un fornitore di backup, ma anche di ricercarlo e di attivarlo in un Paese diverso da quello del fornitore principale: l’attuale emergenza coronavirus ci spinge ad immaginare ad un mercato contraddistinto dal fenomeno dance, in cui si alterneranno lock-down a macchia di leopardo, mirati a contenere i nuovi focolai. Il trend sarà quindi molto altalenante poiché costituito da microfasi in cui ogni elemento della filiera potrebbe interrompere la propria attività in modo asincrono e non prevedibile sulla base del contagio che si amplia o si riduce. La difficoltà consisterà nel coordinare le forniture che provengono dai diversi Paesi, valutando correttamente il rischio connesso a ciascuna di esse. In questo caso, il rischio complessivo sarà tanto minore quanto più flessibile è pensata e strutturata la rete di fornitura, con la conseguenza che, indipendentemente dalla motivazione per la quale il fornitore viene meno, l’azienda può andare incontro ad un costo di ripristino della fornitura molto inferiore.

Dall’altro lato, un’ulteriore strada promettete sembra provenire dallo sviluppo della supply chain di servizi per perseguire la servitization, per rendere il business più resiliente, sfruttando le tecnologie digitali. Una strategia di Digital Servitization si concretizza nell’adozione strutturata delle nuove tecnologie per migliorare l’erogazione dei servizi attuali e nello sviluppo di nuovi servizi: data-driven, remoti, proattivi e “aumentati”. Lo si può fare per gradi, sperimentando soluzioni in contesti anche “di emergenza”, ma con un disegno strutturato a cui tendere. La crisi in atto aiuterà a superare certe diffidenze tipiche nei settori B2B sulla condivisione dei dati, e fornirà un’opportunità importante per la crescita di questo tipo di proposte.

Per una completa lettura dei risultati della ricerca e ricevere indicazioni sugli impatti presumibili sulle attività di business che si basano su vaste reti di field service, in relazione a quello che si prospetta il “New Normal”, vi invitiamo a scaricare il White paper ASAP.

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Anna Bergamini
Anna Bergamini
Senior Consulting, IQ Consulting Srl

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Marco Perona
Marco Perona
Laboratorio RISE - Università di Brescia

Laboratorio RISE - Università di Brescia

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