Industria 4.0

Piano Transizione 4.0, dai sistemi lineari ai sistemi circolari

Nella manovra del governo sono previsti “interventi agevolativi in favore di progetti di ricerca e sviluppo nell’ambito delle tematiche dell’economia circolare (green economy) e della riconversione produttiva”. Troppo esigui, però i fondi stanziati

Pubblicato il 09 Apr 2020

Giuseppe Storelli

Camera di commercio di Bari

transizione40


Il piano Transizione 4.0 del Ministero dello Sviluppo Economico ambisce a essere, per definizione, “una nuova politica industriale del Paese, più inclusiva e attenta alla sostenibilità”.

L’insieme di misure a sostegno dell’economia e delle imprese, già ampiamente trattato, pone infatti per la prima volta attenzione a un tema chiave dello sviluppo del sistema paese: sostenibilità ed economia circolare.

Le sempre più forti “pressioni” di un sistema di risorse in esaurimento e gli innumerevoli segnali di potenziale rottura degli equilibri naturali hanno oggi un impatto importante sia sull’opinione pubblica che inevitabilmente su quella dei policy maker.

Piano Transizione 4.0, dai sistemi lineari ai sistemi circolari

Da oltre un decennio gli stati e le strutture governative sovranazionali lavorano per favorire la transizione dell’economia da sistemi di sfruttamento delle risorse “classici” cd. lineari a sistemi circolari capaci di ri-generare valore durante tutte le fasi “produttive” combattendo così il consueto approccio “usa e getta” tipico del modello capitalistico attuale.

Il piano Transizione 4.0 prevede “interventi agevolativi in favore di progetti di ricerca e sviluppo nell’ambito delle tematiche dell’economia circolare (green economy) e della riconversione produttiva”, una misura importante che necessita di sforzi titanici tuttavia sostenuta da soli 140 milioni di euro, una coperta troppo corta per poter anche solo pensare di sostenere un minimo cambiamento di approccio nell’economia del bel paese.

In quest’ottica risulta quindi evidente come queste misure possano esclusivamente rappresentare un sostegno accidentale per le imprese di ogni dimensione che scelgono autonomamente di avviare un processo di sperimentazione o meglio riconversione del proprio modello di business verso orizzonti di circolarità.

Cosa si intende per circolarità dei processi

La natura ci offre numerosi esempi di circolarità dei processi, dove dato un determinato input ogni output derivante dal processo di trasformazione e consumo si trasforma a sua volta in un nuovo input per il medesimo o un diverso attore dell’ecosistema.

Partendo dalla semplice respirazione umana, a fronte di un input di ossigeno ne risulta un output di anidride carbonica che non rappresenta un rifiuto bensì il nutrimento di altre forme di vita (es. vegetale), passando per la nutrizione animale dove ogni output è in grado di fornire nutrimento e fertilizzazione fino all’industria agricola tradizionale che prevede il riutilizzo di gran parte degli “scarti” naturali nella creazione di valore per altri cicli e processi.

In contrapposizione con questa infinita circolarità esempio perfetto del primo principio della dinamica vi è l’approccio industriale del miope capitalismo classico, volto alla mera massimizzazione dell’indicatore profitto scaricando le responsabilità sociali e naturali degli output (e del loro riequilibrio) su altri soggetti della filiera (o sul mercato…), approccio ogni giorno più insostenibile.

Il quadro normativo

A fronte di una palese incapacità dell’attuale sistema industriale di transitare verso orizzonti di circolarità si rende necessario un importante intervento da parte dei policy makers nell’incentivazione e sostegno di ogni iniziativa in tal senso.

Attualmente vige in Italia un insieme di norme nazionali e sovranazionali (EU) che hanno timidamente cercato di regolamentare il tema focalizzandosi su tre macro-aspetti[1] tra cui:

  1. waste management – gestione dei rifiuti post-produzione (output)
  2. waste prevention – prevenzione nella produzione di rifiuti (process)
  3. resource efficiency – efficienza delle risorse (input)

L’Unione Europea in questi anni ha lavorato principalmente su due fronti, il primo normativo, emanando direttive specifiche, il secondo incentivante, finanziando numerosi progetti su diversi fronti sia geografici che macroeconomici.

Nell’ambito legislativo, l’UE si è concentrata principalmente sul mondo waste con quattro direttive (costituenti il cd. “Pacchetto economia circolare e rifiuti”) che modificano le principali norme comunitarie in materia di rifiuti, ossia:

– Direttiva 2018/849/UE di rettifica delle direttive 2000/53/CE (veicoli fuori uso), 2006/66/Ce (pile, accumulatori e relativi rifiuti), 2012/19/UE (RAEE, rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche);

– Direttiva 2018/850/UE di rettifica della direttiva 1999/31/CE (discariche di rifiuti);

– Direttiva 2018/851/UE di rettifica della direttiva 2008/98/CE (direttiva quadro sui rifiuti);

– Direttiva 2018/852/UE di rettifica della direttiva 94/62/CE (imballaggi e rifiuti di imballaggio).

Tali direttive, in vigore dal 4 luglio 2018, non avendo efficacia diretta negli ordinamenti giuridici degli Stati membri, devono essere recepite dai singoli Paesi dell’Unione entro il 5 luglio 2020.

L’Italia è infatti al lavoro per il recepimento di tali direttive e con il Consiglio dei Ministri del 5 marzo 2020 ha approvato, in esame preliminare, quattro decreti legislativi per l’attuazione delle succitate quattro direttive UE in materia di rifiuti, imballaggi, discariche e veicoli fuori uso.

Il Piano d’azione per l’economia circolare 2020

Nel frattempo l’Europa va avanti e l’11 marzo ha approvato un nuovo Piano d’azione per l’economia circolare 2020 con nuove norme focalizzate non solo sul mero output del processo produttivo (rifiuti) bensì alle altre due fasi chiave (input e processo).

Il nuovo piano, a distanza di 5 anni dal precedente, è all’insegna di una economia circolare omnicomprensiva che parte dalla progettazione di prodotti sostenibili, che durino nel tempo, siano più facili da riutilizzare, riparare, riciclare e consentano di incorporare il più possibile materiale riciclato.

I temi chiave del nuovo piano sono:

  • limite all’obsolescenza programmata (cd. “diritto alla riparazione”)

focus su:

imballaggi e packaging

  • materie plastiche e riduzione rischio da emissione di microplastiche e altri inquinanti
  • batterie (anche in ottica automotive): capacità, efficienza e smaltimento
  • materie a base biologica e biodegradabili
  • oggetti (posate, stoviglie, etc.) monouso
  • industria tessile interna: competitiva, innovativa, sostenibile

Un quadro molto più completo che andrà a definire le future direttive e normative nazionali e internazionali, un solco che gli stati, le imprese e i cittadini dovranno seguire per poter innovare con un orizzonte di stabilità e sicurezza per i prossimi anni.

Il ruolo chiave delle piccole e medie imprese

I policy maker possono stimolare eo limitare particolari azioni da parte del substrato economico e sociale di un paese ma il lavoro principale deve essere inevitabilmente svolto da parte dei cittadini e degli operatori economici.

In questo senso il ruolo chiave per un cambiamento sistemico verso orizzonti di circolarità e sostenibilità di impresa, ambiente e comunità deve essere svolto da parte delle micro, piccole e medie imprese, che costituiscono il 98% della composizione imprenditoriale in italia ed europa.

Cambiare il proprio modello di business, le proprie strategie di sourcing, la gestione degli output di lavorazione e tutte le attività legate alla riconversione anche minima dell’attività di impresa richiedono degli investimenti anche solo in termini di tempo e re-skilling dei dipendenti che non tutte le imprese possono permettersi a cuor leggero.

Gli ostacoli da abbattere

Il tema degli investimenti, seppur forse quello più evidente, non è l’unico ostacolo che le imprese possono incontrare nel momento in cui scelgono di intraprendere la strada della sostenibilità d’impresa tra questi infatti possiamo annoverare:

  • assenza di linee guida specifiche di settore o se esistenti spesso solo in forma generica
  • percezione generale da parte della classe imprenditoriale del concetto di sostenibilità più come costo che come investimento e conseguente risultato
  • incertezza del campo normativo e incongruenza tra ambito regionale, nazionale e sovranazionale (europeo)
  • astrattezza delle tematiche, spesso lontane dai reali ambiti applicativi dell’attività di impresa
  • burocrazia e lentezza dei processi normativi e di conseguente incentivazione o limitazione del mercato
  • timore di concorrenza disallineata e del potenziale rischio che un competitor investa risorse destinate alla sostenibilità nella crescita di impresa
  • assenza di cultura e formazione specifica: proprietà, management e dipendenti devono essere pronti a gestire il cambiamento al meglio
  • sistema di finanziamenti (banche, investitori) meno incline (e sensibile) a sostenere questo tipo di investimenti rispetto a quelli più classici in fattori produttivi
  • mancanza di un “sistema” collaborativo tra imprese: l’economia circolare nell’ottica della piccola e media impresa difficilmente può essere realizzata da un’unica realtà aziendale e necessita di un grande sforzo sinergico e collaborativo tra numerose imprese

Potremmo riassumere l’insieme di questi ostacoli in 3 macro-ambiti tra loro interconnessi:

  1. Culturale
  2. Normativo
  3. Relazionale

Ostacoli culturali

Maggiore cultura sui temi della sostenibilità comporta una classe imprenditoriale e dirigente consapevole, capace di innovare il modello di impresa tendendo la mano ad altri partner per la creazione di una filiera di sostenibilità.

Un ecosistema che includa anche banche e investitori pronti a scommettere su questi nuovi modelli di business.

Ostacoli normativi

Un sistema legislativo illuminato, capace di stimolare la diffusione di cultura tra gli attori e allo stesso armonizzare a cascata tutti i soggetti normativi e giuridici da quelli sovranazionali a quelli locali abbattendo inutili burocrazie e incertezze e favorendo reti di imprese virtuose.

Ostacoli relazionali

Se l’uomo è un animale sociale, l’impresa ne è la sua perfetta espressione.

In tal senso la comunione di obiettivi (sostenibilità) di tutti gli attori del sistema dovrebbe spingere l’intera comunità politica, economica, finanziaria e sociale a collaborare e cooperare.

Ostacoli applicativi

L’impresa capace di superare o aggirare i succitati ostacoli anche mediante il sostegno di un ecosistema normativo si può trovare di fronte ad una incertezza applicativa non sapendo, nella infinità di azioni possibili quali strategie possano essere più in linea con il proprio contesto aziendale.

In tal senso potremmo suddividere gli ambiti in 4 macro categorie in base alla fase del processo produttivo di erogazione di servizi in cui intervengono ovvero:

  1. Input
  2. Output
  3. Processo
  4. Fase informativa / di supporto

Fase di input

Gli interventi volti alla transizione green durante la fase di “input” possono essere ad esempio:

  • utilizzo di materiali biodegradabili o quantomeno non soggetti a degradazione altamente inquinante (es. microplastiche) lungo tutta la filiera (dai componenti al packaging)
  • utilizzo di materiali bio / naturali all’interno dei prodotti
  • valutazioni di tipo etico ambientale nella scelta dei fornitori (dall’energia alle materie prime ai servizi)
  • (ri)utilizzo di materie prime secondarie (es. scarti) come materia prima
  • sostituzione di materie chimiche inquinanti (es. solventi, coloranti, acidi) con prodotti più sicuri e meno impattanti sull’ambiente e sulla salute

Fase di processo

La fase di processo deve rappresentare il collante tra le fasi di input e quelle di output non vanificando gli sforzi compiuti e fornendo all’impresa gli strumenti per una analisi generale dei processi:

  • avvio di programmi di risparmio energetico per tutta l’azienda
  • reingegnerizzazione dei processi al fine di minimizzare gli scarti e aumentare l’efficienza delle linee produttive
  • monitoraggio dell’impatto ambientale su indicatori quali aria, suolo e acqua
  • chiusura del ciclo di utilizzo delle acque
  • raccolta e riuso di acque reflue piovane

Fase di output

  • Sistema di differenziazione dei rifiuti per categoria e potenziale riuso
  • Recupero di materie plastiche per il riutilizzo (es. packaging, gadget, etc.)
  • Politiche di incentivazione per il reso dei prodotti usati nella fase after-sale
  • Riduzione dei materiali utilizzati per eventuale packaging

Fase informativa / di supporto

La fase informativa e di supporto comprende una pluralità di potenziali interventi volti alla valorizzazione degli sforzi realizzati all’interno delle fasi “core” aziendali tra questi abbiamo:

  • avvio di strategie di Corporate Social Responsibility all’interno dell’impresa e nei confronti dei principali stakeholders (formazione dei dipendenti, certificazione dei fornitori, comunicazione ai consumatori, coinvolgimento di associazioni di categoria)
  • avvio di strategie di marketing e brand awareness volte ad accrescere il valore dei prodotti e conseguentemente il pricing dei prodotti per sostenere le politiche di innovazione
  • l’acquisizione di certificazioni ambientali e non solo volte a testimoniare e qualificare gli sforzi profusi da parte dell’impresa (es. ISO14001/EMAS)
  • accorciamento della filiera produttiva
  • valutazione completa del ciclo di vita del prodotto al fine di individuare i potenziali punti di miglioramento anche nella fase di after-sale
  • accordi tra imprese per la chiusura del ciclo e l’acquisizione conferimento di materie prime, seconde e scarti

Il bilancio dell’impresa sostenibile

Pur operando in uno scenario ideale, in assenza di ostacoli, l’impresa dovrà fare, per sua natura, una analisi costi-benefici con la bilancia che dovrà inevitabilmente pendere verso quest’ultimo lato della bilancia.

I costi (potenziali) della transizione

Spesso affrontando queste tematiche si pone eccessivamente risalto ai benefici tralasciando il tema importante dei costi tra cui è possibile, sinteticamente, annoverare:

  • formazione del personale – sottraendo tempo all’attività di impresa
  • acquisto e installazione nuove attrezzature – che costituiscono un elemento di incertezza
  • costi delle materie prime compatibili con i nuovi processi produttivi
  • costi della logistica green
  • manutenzione dei macchinari
  • campagne di marketing e consumer awareness volte a valorizzare gli sforzi dell’impresa e a creare cultura
  • costi di gestione e del stoccaggio di materie prime, seconde e rifiuti da reimmettare “nel ciclo”
  • rischio di impresa legato all’incertezza del nuovo modello di business

I benefici (potenziali) della transizione

Benefici materiali

  • Riduzione del costo dei materiali di input (mediante economia circolare)
  • Aumento della produttività dei singoli fattori
  • Maggiore efficienza energetica e di processo
  • Innovazione e competenza
  • Riduzione dei costi nella gestione dei rifiuti
  • Migliore conoscenza dei propri processi

Benefici immateriali

  • Corporate Social Responsibility – miglioramento dell’immagine di Brand
  • Riposizionamento del Brand verso segmenti a più alto margine
  • Entrata in nuovi mercati potenziali (nazionali e internazionali)
  • Maggiore motivazione per i dipendenti e attaccamento ai valori aziendali
  • Riduzione delle emissioni ambientali
  • Benessere dei dipendenti e della popolazione
  • Diffusione di competenze e crescita formativa del personale

Industria 4.0 come acceleratore della transizione alla sostenibilità

La scelta di includere i temi della sostenibilità e dell’economia circolare all’interno di un rinnovato piano di sostegno a Industria 4.0[3] è corretto in quanto le nuove tecnologie possono rappresentare un importante acceleratore della transizione (4.0) verso nuovi orizzonti di sostenibilità.

Tre tutte le tecnologie possiamo annoverare tra le principali:

  • Big data and analytics – per la raccolta di grandi quantità di dati al fine di efficientare i processi e testare nuove opportunità di riutilizzo dei materiali.
  • manifattura additiva – con tecnologie di stampa e scanner 3D – capaci di digitalizzare prodotti e trasferire la fase di prototipazione, design e scarto dal reale al virtuale e viceversa.
  • internet of things e sensoristica intelligente – con strumenti volti alla migliore gestione dei percorsi logistici, all’analisi di prodotto e di processo (es. temperature operative, utilizzo di energia).

Conclusioni

Analizzate le potenziali attività e il ruolo cruciale delle micro, piccole e medie imprese è necessario un intervento sostanziale (e non di facciata) da parte dei normatori locali, nazionali e sovranazionali per sostenere questo importante cambiamento di paradigma.

È quindi auspicabile che piani come Transizione 4.0 sostengano queste tipologie di innovazione e transizione capaci di innovare il business ma con vincoli importanti verso le esternalità positive e la riconversione dei processi in ottica di sostenibilità e tutela dell’ambiente.

Nel concreto dovranno essere sostenute attività di sviluppo e formazione del personale interno su più livelli, dalla formazione individuale a quella manageriale, passando per discipline come la scienza dei materiali e l’ingegneria dei processi.

Fondamentale sarà il dialogo e la cooperazione tra tutti gli stakeholder, territoriali, nazionali e transnazionali, comprendendo fornitori di materie prime, consumatori, istituzioni e associazioni di categoria al fine di massimizzare i risultati di una corretta sperimentazione e implementazione di progetti basati sull’economia circolare.

Senza dimenticare un sostegno concreto nell’accesso alle risorse finanziarie da parte di investitori e sistema bancaria con un sistema di garanzie capace di sostenere la fiducia del sistema degli intermediari economici e finanziari.

A sostegno di tutte queste buone pratiche di policy making sarà necessario avviare le forme più consuete di supporto all’economia consistenti in sgravi fiscali, finanziamenti a tassi agevolati o nulli, regolamentazione del mercato e spinta verso certificazioni di processo e prodotto, lavorando al contempo nella diffusione dei principi culturali legati alla sostenibilità, influenzando le scelte dei veri decision maker capaci realmente di influenzare i mercati ovvero cittadini e consumatori.

  1. Rapporto sull’economia circolare in Italia 2019 – Enea, Circular Economy Network
  2. A new circular economy action plan: https://eur-lex.europa.eu/?qid=1583933814386
  3. Presentazione Piano Industria 4.0 Ministero dello Sviluppo Economico https://www.mise.gov.it/

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Giuseppe Storelli
Camera di commercio di Bari

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