L’utilizzo dei giochi nel problem-solving in azienda

Storia, basi scientifiche, ricerche e psicologia della gamification, utilizzata con successo per sviluppare competenze come pensiero critico e creativo, pensiero computazionale, capacità di collaborazione

Pubblicato il 10 Apr 2020

Luca Pulli

Business designer, partner RSM

smart working


In tutto ciò che devi far, il lato bello puoi trovar. Lo troverai e Hop! Il gioco vien!

L’immortale Mary Poppins ci ricorda, nello straordinario film omonimo, che in ogni lavoro che si fa c’è sempre un elemento di divertimento. E questa è una delle chiavi fondamentali della gamification, o più in generale del gaming, che sta diventando sempre più uno strumento di lavoro in azienda per risolvere complessi problemi di business in maniera semplice, immediata e coinvolgente.

Ma in realtà cos’è la gamification e quando è nata? È veramente di aiuto nella risoluzione dei problemi?

Cosa si intende per gamification, le origini

È difficile dare una definizione univoca sul termine e tanto più identificare una data precisa della sua nascita in ambito aziendale. Ritengo che la definizione che meglio esprima l’essenza del significato sia la seguente: la gamification è l’applicazione di elementi di gioco e tecniche di progettazione di giochi digitali a non-game problems, come per esempio le sfide aziendali o le metodologie educative in ambito scolastico.

La gamification, pertanto, è un nuovo campo che si sta affermando sempre più in ambito aziendale (e non solo). In realtà, il gioco come strumento per dare senso al mondo che ci circonda viene utilizzato sin dall’antichità.

Si stanno iniziando ad applicare sempre più in azienda quelle nozioni che tutti noi da piccoli abbiamo messo in opera: imparare e risolvere, giocando. Ecco perché le organizzazioni aziendali stanno sempre più investendo tempo e denaro in questo ambito.

È difficile individuare quando sia iniziato il fenomeno della gamification, tuttavia molti indicano il 1912 come l’anno in cui c’è stata la sua prima apparizione sul mercato di massa. Nel 1912, infatti, il marchio di popcorn americano Cracker Jack iniziò a includere in ogni confezione dei propri prodotti un premio gratuito, un piccolo gadget (esattamente “a prize in every box”). Anche se non possiamo considerarla come la gamification nel suo senso moderno, l’uso del divertimento e il premio potrebbero aver portato inavvertitamente alla nascita della gamification così come intesa oggi.

Negli anni successivi, mentre i primi tentativi di gamification erano utilizzati nella pratica in tutto il mondo attraverso schemi predefiniti come le miglia aeree guadagnate o il controverso gioco del Monopoly di McDonalds, in sé il termine gamification non era stato ancora introdotto nel vocabolario del tempo. Il 1980 vide i primi documenti accademici e libri sull’argomento, specificamente mirati al tema dell’apprendimento.

In un articolo comparso nel 1980, il prof. Thomas W. Malone del Massachusetts Institute of Technology si poneva la seguente domanda: “Perché i giochi per computer sono così accattivanti?”. Ma soprattutto l’illustre professore si poneva, nel suo articolo, la domanda di come le funzionalità che rendono accattivanti i giochi per computer possano rendere interessante l’apprendimento con i computer.

Attraverso i suoi studi, la conclusione cui giunse Malone fu l’identificazione di quattro elementi ritenuti necessari per qualsiasi gioco: “fantasia”, “curiosità”, “sfida” e “controllo”. Ed aveva anche individuato quanto fondamentale fosse esaminare l’interazione tra apprendimento (learning) e divertimento (fun).

Dalla SGI alla gamification aziendale

Il 2002 ha visto invece la creazione della Serious Games Initiative (SGI), un gruppo che ha creato numerosi “giochi seri” per l’esercito americano. La SGI affermava che l’obiettivo dell’iniziativa fosse “aiutare a inaugurare una nuova serie di strumenti di educazione, esplorazione e gestione delle politiche che utilizzano design, tecnologie e capacità di sviluppo all’avanguardia. Come parte di questo obiettivo, la Serious Games Initiative svolge anche un ruolo maggiore nell’aiutare a organizzare e accelerare l’adozione dei giochi per computer per una varietà di sfide che il mondo deve affrontare oggi.”

Mentre SGI inglobava gran parte di ciò che la gamification è oggi, in realtà non applicava la gamification stessa nella sua complessità: lo SGI creava giochi da zero per educare, mentre la gamification prende degli elementi dei giochi e li incorpora nei processi non di gioco.

Si deve aspettare l’anno successivo per avere la prima società di consulenza sulla gamification: Conundra. Anche se Conundra non ha avuto lunga vita, è stata la prima nel suo genere a offrire un servizio che ha caratterizzato i prodotti di consumo e incorporato la gamification aziendale.

È nel 2010 che gamification diventa un termine popolare, principalmente grazie all’aumento della diffusione e dell’interesse per internet. Nel 2011, fu organizzato il primo summit di gamification a San Francisco che attirò quasi 400 partecipanti. Fu sempre in quell’anno che Oxford aggiunge la gamification alla sua lista di parole dell’anno definendola come “l’applicazione di concetti e tecniche dei giochi ad altre aree di attività”.

La gamification aziendale decolla. Il successo di applicazioni gamificate come Foursquare ispira molte grandi aziende a saltare sul carro del gaming. Nel 2011, secondo M2 Research, le entrate globali derivanti dal marketing della gamification, dal software e dalla consulenza, raggiungono quasi i 100 milioni di dollari negli Stati Uniti.

Sino a circa 6/7 anni fa in cui le organizzazioni aziendali stavano ancora sperimentando le tecniche del gaming, l’opinione era ampiamente divisa sulla sua efficacia. All’epoca, la sensazione della sperimentazione legata al fallimento era sintetizzata dalle analisi di Gartner che affermava che entro il 2014, l’80% delle applicazioni gamified non sarebbero riuscite a raggiungere gli obiettivi di business principalmente a causa della povertà di design.

Oggi, invece, si ha più consapevolezza di cosa sia il gaming. Ma è utile non confondere: la gamification non trasforma tutto in un gioco, non è in alcun modo un gioco di società, non è simulazione (sebbene possa essere un serious game), non è solo per il marketing o il coinvolgimento dei clienti, non è la teoria dei giochi.

Cosa è realmente la gamification

In realtà, la gamification è:

  • capacità di ascolto di ciò che i giochi ci possono insegnare.
  • capacità di imparare dal game design, ma anche dalla psicologia, dal management, dal marketing, dall’economia.
  • divertimento apprezzabile.

Se volessimo rappresentare in un diagramma la differenza tra serious game e gamification, ecco cosa ne risulterebbe:

La gamification, dunque, condivide le regole di un serious game, ma implementando solo alcune parti ludiche. La base comune di tutto questo è sempre e comunque il gioco.

Cosa si intende con il termine “game”

Questo ci porta a chiederci, ma cos’è quindi un game? Nel suo libro “Homo ludens” pubblicato nel 1938, Johan Huizinga esamina il gioco come fondamento di ogni cultura dell’organizzazione sociale, e si evidenzia il fatto che anche gli animali giocano, quindi il gioco rappresenta un fattore pre-culturale.

A Johan Huizinga viene attribuito il merito di aver coniato il termine “cerchio magico” (magic circle), anche se in realtà non affermò mai che un gioco è un cerchio magico.

Nei giochi, il magic circle è lo spazio in cui le normali regole reali del mondo sono sospese e sostituite dalla realtà artificiale di un mondo di gioco. Da qui la differenza tra “play” e “game”.

Con il termine “play” definiamo il gioco come:

  • il dispendio inutile di energia esuberante;
  • tutto ciò che viene fatto spontaneamente e per se stessi;
  • qualcosa che crea una zona di sviluppo prossimale del bambino: nel gioco, un bambino si comporta sempre oltre la sua età media.
  • libero movimento all’interno di una struttura più rigida.

Di contro il termine “game”:

  • è un sistema formale chiuso che coinvolge i giocatori in un conflitto strutturato e si risolve in un risultato disuguale;
  • è una serie di scelte significative;
  • è un’attività di problem-solving, affrontata con un atteggiamento giocoso.

Secondo Huizinga, tutti i giochi possono essere giocati in due differenti modi:

  • paidia, senza regola: improvvisazione e spensieratezza sono le parole chiave.
  • ludu, con regola: è il complemento e l’educazione della paidia che il ludus disciplina e arricchisce.

Il gioco nasce come esigenza incontrollata di distrazione e fantasia, essenzialmente libero e sfrenato (paidia), come ad esempio la corsa dei bambini, e conserva questa caratteristica anche nelle attività ludiche sottoposte a una rigida organizzazione di obiettivi e regole (ludus), come ad esempio una corsa campestre scolastica.

La paidia è confusione rumorosa ed esuberanza, il ludus crea le occasioni e le strutture attraverso le quali il desiderio primitivo di giocare può essere appagato.

Le materie prime e gli elementi dei giochi

Una volta definito il perimetro dei vocaboli entro cui muoversi, cerchiamo di capire se il ricorrere in maniera sempre più frenetica da parte delle aziende al gaming sia una moda passeggera, da cogliere in questo momento storico, o sia qualcosa di ben più strutturato con solide fondamenta, che può dare una spinta al cambiamento.

Oggigiorno, sempre più le aziende chiedono ai propri dipendenti di pensare come un game designer (thinking as a game designer). In altre parole, è richiesta come competenza la capacità di utilizzo dell’approccio tipico di un designer, che analizza, abbozza, prototipa e testa, tutto questo calato in un ambito di gioco.

Tuttavia, pensare come un designer è diverso dall’essere un game designer e dal pensare come un giocatore.

Quali sono i vantaggi per utilizzare un gioco nella risoluzione di un non-game problem? Quello che si evince dalle analisi svolte in quest’ambito è che i giocatori (chiunque essi siano: dipendenti, customers, etc.):

  • sono al centro del gioco: sono soggetti attivi e non passivi.
  • sentono una sensazione di autonomia e di controllo delle proprie azioni.
  • giocano, si divertono.

L’obiettivo del gioco è far giocare i giocatori e continuare a farli giocare.

Altro dato interessante dall’utilizzo del gaming è che la maggior parte dei giocatori (studi dimostrano come le percentuali si attestano a oltre l’80%) perde e ha piacere a ricominciare. Si crea una sorta di dipendenza che porta il giocatore a riprovare.

Quindi, cosa rende i giochi coinvolgenti? Il divertimento.

Ma cosa è divertente? Ecco una lista dei principali fattori che un giocatore cerca in un gioco:

  • vittoria (i giocatori sono definiti “killers”)
  • problem-solving
  • esplorazione
  • rilassamento
  • lavoro di squadra
  • riconoscimento
  • trionfo
  • guadagno
  • sorpresa
  • immaginazione
  • condivisione
  • gioco di ruolo
  • personalizzazione
  • scherzo

Le indagini di mercato rivelano come una vasta gamma di aziende stia usando con successo il game thinking. Ci sono sempre più evidenze sull’utilizzo di giochi per marketing, miglioramento della produttività, innovazione, motivazione dei dipendenti, coinvolgimento dei clienti e altro ancora.

Nella mia esperienza professionale, differenti sono state le occasioni per applicare il game thinking come strumento di problem-solving. Di seguito riporto due esempi concreti di cosa vuol dire affrontare sfide e risolvere problematiche con tale approccio in ambito aziendale:

  • un’azienda operante nel settore della logistica ha affrontato la risoluzione di un evento traumatico (decesso sul posto di lavoro) con tecniche e approcci tipici del game thinking. Inoltre, ha richiesto l’aiuto nella strutturazione di un metodo di lavoro che punta all’auto-responsabilizzazione del singolo, agli obiettivi e all’efficientamento piuttosto che al controllo e al rispetto delle scadenze.
  • società multinazionale operante nel multiservice ha avviato un progetto di ripensamento dell’azienda in ogni suo livello:
    1. il passaggio da una visione verticale a una orizzontale dell’intera catena di valore, mettendo al centro il valore umano e in particolare massimizzando il valore consegnato al cliente.
    2. conseguente ridefinizione da parte dei dipendenti del “why” e della formulazione delle attività chiave di un’azienda.
    3. formazione dei contract manager su cross-selling – attività chiave del processo di vendita – in maniera innovativa (videogame).
    4. definizione di un processo di onboarding capace di coinvolgere pienamente i neoassunti nella vision aziendale per renderli autonomi in tempi rapidi.

Tutto questo è stato affrontato con strumenti innovativi, basati sul gaming e il coinvolgimento delle risorse.

Ci sono innumerevoli sfide che possono essere affrontate con tale approccio: predisposizione di piani strategici, definizione di modelli di business, gestione di passaggi generali, attività di formazione, (re)design e ottimizzazione dei processi, etc.

Motivazione, psicologia e approcci comportamentali

Abbiamo visto come il concetto di gioco, nelle organizzazioni aziendali e non, è più profondo di quanto la maggior parte della gente possa intendere e come il design del gioco serva da base per la gamification.

Il gioco in generale (di cui fanno parte il serious game e la gamification) utilizzato come uno strumento di problem-solving (che come visto in precedenza è uno dei fattori del coinvolgimento) è una tecnica di motivazione, quindi si lega molto direttamente alla psicologia.

In psicologia la teoria che studia ciò che appare nel comportamento è chiamato comportamentismo. Il cognitivismo analizza e studia quello avviene nella testa della gente.

È una semplificazione voluta, gli psicologi non me ne vorranno. Ma la cosa interessante è che entrambi gli approcci sono importanti per il gaming e la relazione tra le due non è molto conosciuta.

Ci sono emozioni, sentimenti e pensieri che la gente prova. Ognuno è convinto di dire e sapere le cose in maniera cosciente, ma se andassimo a vedere sistematicamente del perché la gente fa le cose e come motivare la gente a fare le cose, non potremmo focalizzarci su nessuno degli stati mentali interni. Perché non sono scientificamente testabili. Se una persona mi descrive l’emozione che prova in un dato momento, posso solamente ascoltare e provare a capire, ma non posso vederlo direttamente. Il comportamentismo si limita a ciò che avviene al di fuori del cervello: questa è chiamata “scatola nera”.

Quindi il comportamentismo si è prefissato di studiare cosa entra nella testa della gente e cosa esce.

Questo è fondamentale per il gaming. Il concetto alla base del comportamentismo è il comportamento e come quest’ultimo possa essere influenzato da stimoli.

Lo stimolo è associato a un comportamento: condizionamento classico.

Per il gaming è importante il condizionamento chiamato operativo che introduce il concetto di conseguenza.

Quindi, abbiamo sempre uno stimolo (succede qualcosa) e un comportamento, ma adesso un comportamento produce delle conseguenze (positive o negative) derivanti dalla propria azione.

Come risultato delle conseguenze, l’individuo cambia il proprio comportamento. Nel tempo le conseguenze diventano associazioni. Questo è chiamato apprendimento.

Anche se il comportamentismo ha perso influenza nel corso dei decenni, le nozioni esplicitate sopra rimangono valide nel gaming: il giocatore impara a fare associazioni.

Immersi nelle dinamiche di gaming, il giocatore elabora strategie per raggiungere obiettivi, sperimenta e testa le soluzioni, sviluppa abilità e competenze in modo attivo.

Il gioco pertanto è utilizzato con successo per sviluppare competenze come pensiero critico e creativo, pensiero computazionale, problem-solving, capacità di collaborazione.

Prospettive per il futuro

Secondo alcuni, esistono molte limitazioni, preoccupazioni e pericoli legittimi derivanti dalla gamification. Alcuni di essi possono essere evitati attraverso una progettazione ponderata, ma altri devono essere considerati direttamente in qualsiasi implementazione.

I videogiochi sono stati visti negli ultimi anni come causa di problemi sociali, ma è stato anche accertato che possono essere usati per aiutare a risolverli.

Per esempio, i cosiddetti giochi di conoscenza, come Foldit (videogioco sperimentale riguardante il ripiegamento proteico e la progettazione di nuove proteine), ShoolLife (gioco per promuovere, premiare e riconoscere atteggiamenti positivi ed eventi, contro il fenomeno del bullismo) e Reverse the Odds (gioco basato sull’analisi reale dei dati sul cancro) sono già utilizzati per ottenere approfondimenti scientifici, psicologici e umanistici.

Karen Schrier, nel suo libro Knowledge Games, sostiene che i giochi di conoscenza sono potenzialmente potenti grazie alla loro capacità di motivare una folla di risolutori di problemi all’interno di un sistema dinamico, sfruttando al contempo l’innovativa elaborazione dei dati e le capacità computazionali dei giochi.

Nel prossimo futuro, afferma Schrier, potrebbero essere creati giochi di conoscenza per comprendere e prevedere comportamenti di voto, preoccupazioni sul clima, prospettive storiche, molestie online, suscettibilità alla depressione o strategie pubblicitarie ottimali, tra le altre cose.

La lezione finale che portiamo a casa è di fare un uso corretto ed equilibrato del gaming. Dove regole di trasparenza e di solidarietà devono essere alla base della definizione del gameplay.

I dati oramai rilevano come il game thinking, affrontando problemi come un game designer, possa motivare dipendenti e clienti e creare esperienze coinvolgenti che possono trasformare il proprio business.

Del resto, Mary Poppins ci insegna l’importanza di utilizzare nella vita di tutti i giorni l’immaginazione e la fantasia, invitandoci a fare il nostro dovere ma anche a divertirci nel farlo. Basta un poco di zucchero (divertimento, coinvolgimento e autorealizzazione) e il problema…va giù!

Bibliografia

  • For the Win: How Game Thinking Can Revolutionize Your Business” di Kevin Werbach, Dan Hunter, Wharton School Press, 2012
  • Knowledge games” di Karen Schrier, Johns Hopkins University Press, 2016

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Luca Pulli
Business designer, partner RSM

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