Il coronavirus, la pandemia, la crisi economica, hanno spazzato via in poche settimane certezze e abitudini costruite negli anni e hanno spalancato davanti ai nostri occhi problemi e opportunità inimmaginabili fino a ieri, accelerando un fenomeno che è già in corso, quello dell’automazione nel mondo del lavoro e l’utilizzo dell’intelligenza artificiale.
I cambiamenti nel mercato e nelle imprese, con cui nel frattempo ogni attività dovrà fare i conti, daranno quella spinta decisiva all’innovazione e al digitale come leva per imprese più resilienti. L’intelligenza artificiale dovrà permeare le scelte dello Stato e degli imprenditori, che dovranno puntare a innalzare il valore del lavoro: a tutti i livelli, da nativi digitali da immettere nelle PA, dagli operai agli ingegneri. Si va verso uno scenario in cui l’automazione avrà un ruolo più importante nelle aziende, con rischi e opportunità da cogliere per Stati, aziende e cittadini. Ci sono sfide da cogliere e alcuni ritardi da colmare.
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Previsioni economiche e cambiamenti nel mercato
I dati macroeconomici sono concordi nel prevedere per l’anno in corso un forte riduzione del Pil e un drammatico aumento della disoccupazione. L‘Istat ha calcolato che a marzo 2020 l’indice della produzione industriale è diminuito del 28,4% rispetto al mese di febbraio, con marcate diminuzioni congiunturali in tutti i comparti; variazioni negative caratterizzano, infatti, i beni strumentali (-39,9%), i beni intermedi (-27,3%), i beni di consumo (-27,2%) e l’energia (-10,1%). Per aprile le previsioni sono ancora più negative. Il Cerved, con il suo “Industry Forecast” ha analizzato gli impatti attesi del Covid19 su oltre 200 settori dell’economia italiana. Secondo le analisi effettuate, dal punto di vista territoriale, nessuna Regione italiana sarà in grado nel 2021 di recuperare i livelli di fatturato pre crisi. È un dato di fatto che pone nuove sfide che vanno accolte.
Come l’emergenza e la crisi accelerano l’automazione del lavoro
Non si immagini che in poco tempo tutti i business saranno digitali, se con tale definizione si intende che essi avranno nelle tecnologie digitali il loro principale fattore differenziante. Già adesso, se si guarda alle cosiddette “tech company”, si verifica che diverse di esse sono “fake tech”, con le tecnologie come fattore abilitante ma non differenziante. La rivoluzione digitale è in corso e procede con velocità diverse a seconda sia dei settori di applicazione sia del grado di sviluppo dei vari Paesi e “regioni” del mondo. E anche a seconda dell’età di chi la sta attraversando. Quello che sembra certo è che nessuna impresa potrà semplicemente ignorare l’esistenza delle tecnologie digitali, anche se l’uso che ne farà potrà essere molto diverso. Lo stesso si può dire per la nuova organizzazione del lavoro e per l’uso dei nuovi strumenti di comunicazione e collaborazione a distanza. Anche in questo caso, nessuna impresa potrà ignorarne l’esistenza, se non altro per rapportarsi correttamente con le esigenze di chi opera al suo interno, ma dovrà essere l’impresa stessa a scegliere scientemente – per ciascuno dei suo addetti – come bilanciare la presenza fisica con l’attività da remoto, nel quadro di un modello organizzativo ad hoc (presumibilmente soggetto a sperimentazioni successive). L’utilizzo massiccio del lavoro agile in questo periodo è solo una prima fase; in futuro si renderà necessario aumentare l’utilizzo dell’intelligenza artificiale all’interno delle aziende. Digitalizzare e robotizzare purtroppo suona spesso come taglio dei posti di lavoro. Ma il punto è un altro. La direzione nuova è quella di ridurre il contributo umano “a rischio” per ricollocarlo su attività ad alto valore aggiunto con adeguati processi di reskilling.
A questo proposito è uscito uno studio sul MIT Technology Review di Boston in cui è stato esaminato in che misura, nel prossimo futuro, i lavori “critici per l’azienda” potrebbero diventare “remotabili” e in che misura tali lavori potrebbero essere supportati con intelligenza artificiale e tecnologie di automazione. Lo studio è arrivato alla conclusione che tra i 32 e i 50 milioni di posti di lavoro negli Stati Uniti potrebbero essere sempre più assistiti dalla tecnologia per ridurre i rischi per la salute posti dall’interazione umana. L’AI avrà un impatto notevole sui lavoratori di ingegno, che non hanno bisogno di tanta fisicità. Si pensi ai manager aziendali che raramente, se mai prima d’ora, si ritrovano a navigare in una tale confluenza di eventi, che combina shock sociali ed economici immediati, con il potenziale riposizionamento della roadmap tecnologica per il loro business intorno all’intelligenza artificiale e all’automazione. Molti altri lavori possono beneficiare di un maggiore utilizzo dell’AI. Questi includono ruoli medici specialistici, come anestesisti, infermieri e tecnologi sanitari. Un maggiore uso della tecnologia per aumentare quei ruoli li renderà probabilmente più preziosi e resistenti in qualsiasi futura pandemia.
Poi ci sono lavori più manuali, per cui l’impatto sarà inferiore, ma più profondo. Si pensi ai lavori in cui l’assistenza AI è attualmente meno fattibile, ma che possono tradursi in obiettivi di innovazione[1].
Ci sono analisi che mostrano il numero di posti di lavoro a rischio per settore e occupazione nelle regioni chiave del mondo, a causa delle chiusure e delle misure di distanziamento fisico. In Europa e negli Stati Uniti, solo due industrie di servizi (alloggio e servizi di ristorazione) rappresentano circa il 40% di tutti i lavori vulnerabili. Tra le professioni, oltre l’80% dei ruoli di servizio clienti e di vendita sono a rischio. Ruoli come cassieri, server e driver, i cui compiti costitutivi possono essere completamente automatizzati, possono essere a rischio poiché rivenditori e ristoranti cercheranno nel tempo di operare con meno personale. Nello scenario attuale, con la crescente attenzione per i rischi sanitari, le aziende con più dipendenti diventano quelle più a rischio. Questo porterebbe a dire che sostituire le persone risolve un problema economico ma ne crea uno sociale. Non è esattamente così, se si cambia però la matrice di utilizzo del capitale umano, riconvertendo le mansioni ed erogando formazione per costruire nuove professionalità.
Digitali e innovative: possibili strategie per la ripresa
Sebbene gli strumenti per il grande balzo digitale in fabbrica ci siano tutti (gabbiotti recintati, postazioni remotizzate, realtà aumentata, IoT), secondo un sondaggio di Kpmg solo il 10% delle imprese è proiettato nel “new normal”. Ma quali sono le azioni da intraprendere per essere competitivi in questa nuova normalità?
Intanto bisogna tornare a spingere sulla digitalizzazione di tutto il nostro sistema produttivo. La pandemia può davvero segnare la fine dell’azienda novecentesca e analogica, segnando un nuovo inizio nel modo di lavorare e nello stile di management. Se è vero che almeno per un po’ dovremo abituarci a una nuova normalità e che l’innovazione digitale sarà una colonna portante di questa normalità, dobbiamo colmare un ritardo che ci separa dal resto dei Paesi più avanzati e sbloccare quanto prima un freno storico: l’assenza di competenze digitali. Servirà accrescere il grado di maturità digitale, ancora troppo basso. Servirà innalzare il livello di competenze, drammaticamente basso, che ci pone ai margini delle classifiche internazionali. Servirà mettere il digitale al centro delle strategie aziendali, in un sapiente mix di processi, organizzazione e tecnologia. È uno sforzo da compiere, perché l’antifragilità e la resilienza delle catene globali del valore si rafforzano con l’apporto del digitale.
Questo per dire che ci sono enormi vincoli, ma anche delle finestre di opportunità per rispondere in modo creativo ai nuovi bisogni. Nel mese di marzo abbiamo visto in Italia l’e-commerce aumentare del 140% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. Grazie all’innalzamento delle competenze digitali, con le video call si possono riconfigurare le attività di vendita e creare nuove figure professionali di “video sales consultant”; si pensi alle app zero coda, che consentono di avere un quadro in tempo reale delle file nei supermercati. In ambito produttivo, con le piattaforme digitali e con la realtà aumentata si possono sviluppare processi di co-making creando esperienze che portano il cliente al centro della produzione di beni e servizi.
Per questo occorre ripensare, con un po di creatività e apportando idee nuove al mercato, gli assetti organizzativi delle aziende. Su questo fronte ci sarebbe molto lavoro da fare soprattutto nelle medie imprese. Si tratta di investire e non tutte potranno farlo in maniera estensiva nel prossimo futuro: i comparti più colpiti dal crollo della domanda dovranno fare i conti con situazioni economiche e finanziarie che renderanno incompatibili massicci investimenti per un cambio di layout o una robotizzazione. Il tutto dovrà in ogni caso fare i conti con i ritorni attesi: i cambiamenti non dovranno essere fatti (per chi se li potrà permettere) solo per superare questa crisi, ma per proteggersi dalle tempeste future, che gli economisti prevedono sempre più frequenti e ravvicinate, aumentando la capacità di resilienza. La possibilità di un salto quantico attraverso la digitalizzazione diventa allora la chiave per affrontare cambiamenti radicali e mantenere alti i livelli di produttività.
UNA POSSIBILE ROADMAP PER LA RIPRESA DELLE ATTIVITÁ
RIPRESA | ADEGUAMENTO | EVOLUZIONE | |
CLIENTI | Gestione della relazione con telefonate e videocall | Progettazione di un nuovo modo di gestire la relazione con i clienti (sostituzione delle visite fisiche con touch points digitali) | Avvio e messa a punto delle nuove modalità di gestione della relazione con i clienti |
Revisione mercato target (segmentazione del mercato, valutazione attrattività) | |||
Analisi dei nuovi bisogni (conversazioni con i clienti, costruzione della nuvola dei bisogni) | |||
PRODOTTI SERVIZI E MODELLI DI BUSINESS | Gestione ordini esistenti (validità, producibilità, date di consegna, solvibilità del cliente) | Lancio di nuovi prodotti e servizi per emergenza Covid19 | Lancio di nuovi prodotti, servizi e modelli di business post-Covid-19 |
Assicurare continuità nell’erogazione dei servizi | Adeguamento dei prodotti e servizi esistenti o già in corso di sviluppo | ||
ORGANIZZAZIONE AZIENDALE | Sicurezza sanitaria (distanze, DPI, disinfezione, misura della temperatura, tamponi, …) | Ideare prodotti, servizi e business model vincenti (Design Thinking, creatività, economia circolare, IoT, personalizzabilità) | |
Ridurre il tempo di sviluppo dei nuovi prodotti (processo di sviluppo lean, agile project management, open innovation, …) | |||
Smart working (adeguamento IT, adempimenti legali, training) | Rendere più flessibile e resiliente la supply chain (standardizzazione componenti, scorte, fornitori) | ||
Rendere più scalabile e flessibile la produzione (interna ed esterna) | |||
Migliorare la gestione dei dati (IA, data-mining, machine learning, …) | |||
Rendere più resiliente l’organizzazione aziendale (riduzione costi fissi, piani di gestione delle emergenze, cloud, partnership, indicatori, …) | |||
Gestione cash flow (banche, finanziamenti, spese dilazionabili, accordi con fornitori, solleciti clienti) |
Fonte: “Open Innovation”
La posizione (e i ritardi) del Governo
È il tessuto produttivo, innanzitutto, che deve saper cogliere questo momento come una opportunità per accelerare l’adozione di tecnologie di intelligenza artificiale, finora viste come qualcosa di lontano e futuristico. Al tempo stesso ci vuole un intervento deciso da parte dello Stato. La letteratura scientifica è concorde nel ritenere che debba essere lo Stato ad accompagnare questa transizione, con politiche miste: da una parte supportare la transizione dei lavoratori, con formazione mirata in tutte le pubbliche amministrazioni[2] e con sussidi salariali e redditi di sostegno alla disoccupazione; dall’altro supportare le aziende nella loro transizione digitale. Magari si tratterà di sfruttare appieno tecnologie già presenti, acquistate magari con gli incentivi del prossimo Piano Transizione 4.0[3], oppure grazie alle nuove agevolazioni che il Governo ha introdotto con il Decreto Rilancio, secondo le tre direttrici sulle quali le misure si muovono: fondo perduto da un lato, ricapitalizzazioni dall’altro, e credito di imposta per gli investimenti.
In questa prospettiva potrebbero tornare utili le misure fiscali con detrazioni per favorire sia percorsi formativi sia per aggregazioni e processi di consolidamento dimensionale in vari settori, soprattutto quelli strategici e frammentati (come il turismo, il life sciences, l’alimentare, la moda, le costruzioni) che devono vedere la nascita di campioni nazionali. “Stimiamo un forte rallentamento del mercato nel primo semestre – precisa una nota di Kpmg – tuttavia, con la prevedibile discesa prezzi degli asset, ci saranno anche diverse opportunità, sia per investitori di natura finanziaria sia per operatori industriali solidi. Molte aziende di dimensioni medio piccole potrebbero risentire della carenza di liquidità, innescando processi di consolidamento in diversi settori produttivi”.
Il problema, però, rimane legato ai tempi di attuazione del Decreto Rilancio e, soprattutto, dei decreti attuativi di alcune misure introdotte dalla legge di Bilancio 2020 ancora inattuate. Insomma le aziende hanno bisogno di ripartire, ma mancano certezze in ambito normativo e fiscale. Eppure il Governo sembra essere consapevole di dover accelerare verso modelli di business digitali e innovativi nello svolgimento della produzione e della cooperazione commerciale internazionale con l’obiettivo di rafforzare la resilienza delle imprese, con particolare riferimento alle PMI. Ma è lo stesso Governo che accumula ritardi nell’erogazione di liquidità al sistema produttivo e commerciale, trovandosi invischiato nelle maglie di una burocrazia quanto mai soffocante. Così come è lo stesso Governo che non riesce ancora a ufficializzare la propria Strategia Nazionale per l’Intelligenza Artificiale”, elaborata dal gruppo di esperti incaricati dal MiSE e messa in consultazione la scorsa estate. Nella bozza, infatti, è riportato che “il Governo ritiene che il supporto all’innovazione aperta delle PMI favorirà la transizione digitale del tessuto produttivo italiano, stimolando la domanda e l’assunzione di personale qualificato e di esperti in IA. Allo stesso tempo, la crescente richiesta di soluzioni di IA da parte delle imprese favorirà la nascita di nuove startup e PMI innovative e una maggiore diffusione dell’IA in tutto il territorio nazionale”.
Di quel documento si sono perse le tracce, nonostante in esso siano contenuti precisi impegni e azioni mirate[4], con il rischio che le linee guida, quando saranno ufficializzate, potrebbero risultare già obsolete. Una situazione analoga per infrastrutture e tecnologie 5G, dove l’Italia si colloca al secondo posto, dopo la Spagna, nella classifica europea a 39 Paesi “Europe 5G Readiness Index”. È una buona notizia, che però rischia di non bastare se non riusciamo a tenere il passo. A pesare il contesto regolatorio e più in generale la mancanza di una visione politica che faccia il paio con le esigenze del mercato.
Conclusioni
In un periodo di probabile recessione come quello verso cui andiamo incontro nei prossimi mesi, in cui le stime vedono un Pil in caduta e una disoccupazione dilagante, le variabili su cui non ridurre gli investimenti sono essenzialmente due: la rivoluzione digitale che permette di mantenere attivi e profittevoli anche settori tradizionalmente non basati sull’information technology e l’attenzione alle proprie persone, attraverso l’ascolto, il coinvolgimento e la creazione di condizioni lavorative, tecnologicamente avanzate, che permettano loro di contribuire alla produttività, nonché di continuare a dimostrare e sviluppare il loro potenziale innovativo.
La digitalizzazione delle informazioni (produzione di dati, immagazzinamento e condivisione dei dati), lungo l’intera catena del valore, potrà dare sicuri vantaggi a quelle imprese in grado di ripensare alla propria strategia con filiere a lunghezza variabile, gestite in maniera più smart con il supporto del digitale. Con l’apporto dell’AI e delle tecnologie digitali le imprese potranno intervenire nell’individuazione dei nodi deboli e viceversa dei nodi forti, apportando alcuni vantaggi ai propri processi lavorativi: ingegnerizzando nuovi servizi; imparando a fare sistema attraverso aggregazioni; essere più strutturati a competere in Italia e all’estero; aumentare la trasparenza e la visibilità lungo la catena a monte e a valle; individuare percorsi di logistica alternativi e più attenti all’impatto ambientale; riorientare la supplay chain, eliminando le ridondanze e andando verso fornitori più sicuri e affidabili; configurare in maniera flessibile, con costi noti, i diversi nodi delle catene.
Le catene globali di valore sicuramente si accorceranno e con l’apporto delle tecnologie si creeranno filiere digitali. A tal fine serviranno aggregazioni, perché il tessuto industriale italiano, benché se ne parli da almeno un decennio, resta troppo frammentato e poco diversificato sull’export per competere. La prova di una rapida diffusione del digitale nell’economia e il suo già evidente impatto sui mercati del lavoro mostrano quanto il Governo e le aziende debbano agire per tenere il passo con questi cambiamenti.
- Il rapporto del MIT di Boston arriva alla conclusione che “la pandemia accelererà la diffusione dell’IA e accelererà il ritmo dell’innovazione dell’IA nelle categorie di lavoro ad alto rischio, causando effetti sia “positivi per il lavoro” che “negativi per il lavoro”. L’ampio dispiegamento dell’IA in ruoli critici attraverso l’assistenza sanitaria e la catena di approvvigionamento avrà in definitiva un impatto positivo, rendendo i lavori essenziali più sicuri ed efficaci e aumentando la prontezza di economie come gli Stati Uniti a gestire le pandemie in futuro”. ↑
- A partire dal 12 maggio il Dipartimento della Funzione pubblica, in collaborazione con Formez PA, promuove un ciclo di webinar gratuiti per promuovere gli obiettivi della trasformazione digitale e far conoscere gli obiettivi che cambiano la strategia nazionale per la trasformazione digitale e come una governance del digitale può supportare l’innovazione della PA. Per programma e iscrizioni: http://eventipa.formez.it/node/222956 ↑
- Il Piano Transizione 4.0 è l’evoluzione del Piano Industria 4.0 del 2017 che ha subito profonde modifiche con la legge di Bilancio 2020. Si tratta di una serie di misure per sostenere le imprese nella transizione alla quarta rivoluzione industriale caratterizzata dalla trasformazione digitale. ↑
- Nel documento in consultazione si legge tra l’altro che “il Governo sosterrà la formazione e la ricerca accademica e industriale in questo campo, finanziando l’assunzione di professori e ricercatori nelle università e nei centri di ricerca, nonché master realizzati da imprese in collaborazione con le università e programmi di dottorato industriale. Saranno anche elaborate misure per incentivare le imprese ad assumere le figure professionali e i dottori di ricerca così formati. Per favorire lo sviluppo di sistemi di IA, il Governo promuoverà la partecipazione delle imprese italiane ai progetti importanti di interesse comune europeo (IPCEI) già individuati (veicoli autonomi, smart health, IoT, cybersecurity, high-performance computing), selezionando le imprese potenzialmente interessate attraverso dei bandi per la manifestazione di interesse”. ↑