Non è un momento semplice per le imprese che operano nel settore del largo consumo. I consumatori cambiano e cambiano le loro esigenze d’acquisto. Non si tratta più di bilanciare adeguatamente convenienza e qualità, ma di rispondere a nuove richieste sia in termini di sostenibilità, sia in termini di brand e riconoscibilità.
I consumatori, semplicemente, vogliono di più: trasparenza, tracciabilità, prodotti che supportino il loro benessere, sufficientemente personalizzati da far sembrare che siano stati fatti apposta per loro.
Nuovi bisogni, che si innestano sull’altro grande cambiamento epocale: la crescita dell’ecommerce, che porta i retailer a ridefinire i propri modelli di business, spesso con una notevole riduzione dei margini operativi.
Ma ancora non basta.
Le tradizionali value chain, nelle quali i produttori di beni di largo consumo producono beni che i retailer vendono poi ai consumatori si stanno modificando e sono gli stessi retailer che entrano in territori che una volta evitavano accuratamente. Così non è raro che possiedano direttamente impianti di produzione, che abbiano accesso diretto a produttori di materie prime di livello mondiale per produrre le proprie private label, che gestiscano direttamente imprese agricole.
E dal punto di vista del consumatore, il canale di intermediazione si arricchisce di sempre nuovi attori che portano il prodotto sempre più vicino al loro “point of need”, il punto di bisogno, che sia la porta di casa, la palestra o l’ufficio.
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Largo consumo: è ora di ridefinire i modelli di business
Il quadro non è semplice.
Secondo una ricerca condotta da Bain & Company e intitolata “Overcoming the Existential Crisis in Consumer Goods”, l’incapacità di rispondere allo scenario evolutivo rischia nei prossimi 10 anni di erodere anche del 30 per cento i margini per le imprese che operano in questo comparto.
E gran parte di questi margini si perderanno nella difficoltà di gestire in modo adeguato le supply chain, gli approvvigionamenti, la produzione.
Per chi opera nel largo consumo diventa imperativo essere in grado di servire più canali con requisiti distinti, soddisfare le richieste dei rivenditori per un servizio migliore, soddisfare la crescente preferenza dei consumatori per i prodotti personalizzati, fornire un portafoglio più ampio di imballaggi specifici per ciascun canale.
Tutto questo senza trascurare altri aspetti che potremmo definire quasi endemici legati alla pressione sui prezzi, al consolidamento del canale retail, alle negoziazioni con i fornitori di materie prime.
La tecnologia a supporto delle nuove supply chain
Secondo lo studio di Bain & Company, sono ancora pochi gli attori del settore del largo consumo che sono già stati capaci di ridefinire le loro supply chain per ottenere un vantaggio competitivo anche grazie alla leva tecnologica e a un attento utilizzo di dati e analytics che rendono loro disponibili soluzioni e risposte ai nuovi bisogni.
Chi lo ha fatto, tuttavia, già ne misura i benefici: miglioramenti in termini di efficienza, affidabilità, agilità e velocità che aumentano i margini da 5 a 10 punti percentuali.
Secondo Bain & Co, ridefinire le supply chain significa agire su quattro aspetti chiave, come illustrato nello schema in calce.
In primo luogo, sull’efficienza, prestando la corretta attenzione all’OEE (Overall Equipment Effectiveness), con recuperi che possono toccare anche il 100% rispetto alla situazione attuale e ottimizzando logistica e trasporti.
In secondo luogo, sull’affidabilità, migliorando l’accuratezza dei forecast e di conseguenza la precisione negli ordini.
A seguire vengono l’agilità, ovvero la capacità di accorciare i cicli legati allo sviluppo dei prodotti e ridurre le rotture di stock, e la velocità, ovvero la riduzione dei tempi di consegna da parte dei fornitori con beneficio conseguente sulla customer satisfaction.
È un ripensamento end-to-end, che tocca tutti gli aspetti: pianificazione, approvvigionamento, produzione, impatto ambientale, servizio clienti, logistica.
Si parla di nuove supply chain segmentate, modulari e semplificate; si parla di automazione del procurement; si parla dell’adozione di sistemi previsionali che da un lato utilizzano analytics e machine learning, dall’altro mettono a frutto le capacità e la flessibilità dei paradigmi dell’Industria 4.0 per spingere sull’innovazione Agile.
Tre sono i passaggi, secondo Bain & Co., che possono aiutare le aziende del largo consumo a questo cambio di passo. Vediamoli insieme.
Largo consumo: prepararsi a un futuro senza vincoli
Per prepararsi sistematicamente per il futuro e allo stesso tempo crearlo è importante analizzare e valutare i possibili scenari e il loro impatto sulle dinamiche del settore, e quindi sviluppare piani basati su quella visione del futuro.
Bisogna tenere conto del cambiamento degli ecosistemi e delle logiche di business, dell’evoluzione del comportamento e delle preferenze dei consumatori, delle tecnologie dirompenti, dei nuovi concorrenti, dei nuovi modelli di business.
Tenendo presenti queste priorità, le aziende iniziano a reinventare la propria supply chain focalizzandosi più che sui vincoli, sugli aspetti legati alla collaborazione e alla digitalizzazione.
Largo consumo: il valore della segmentazione
Chi opera nel settore del largo consumo ha ben chiaro che tutti i clienti, le aree geografiche, i canali e le categorie non hanno lo stesso valore.
Utilizzare al meglio i dati e gli analytics a propria disposizione significa utilizzarli come punto di partenza per capire dove serve eccellere, dove essere migliori rispetto ai concorrenti, dove serve differenziarsi.
Questo vale su tutti i segmenti della supply chain.
A livello di produzione possono servire catene di fornitura separate per linee di prodotto differenziate. A livello retail può essere utile sviluppare concept di store differenti in base al pubblico di riferimento.
Nella sua analisi, Bain & Co cita ad esempio un’azienda globale di beni di largo consumo che nel proprio percorso di differenziazione ha deciso di offrire una linea di prodotti sostenibili. In questo caso ha separato le supply chain, inserendo quella dei nuovi fornitori con un carbon footprint inferiore e, dunque, con un migliore impatto ambientale e sociale. Questo approccio le ha consentito di superare gli obiettivi di sostenibilità, riducendo la propria impronta di carbonio del 15% e aumentando la crescita.
Largo consumo: il valore degli strumenti digitali
In questo percorso evolutivo è importante un’attenta valutazione degli strumenti digitali disponibili e del percorso di adozione. È importante riconoscere la differenza tra le tecnologie pronte per essere implementate su larga scala, quelle che dovrebbero essere sperimentate per prime e quelle che necessitano solo di più tempo per maturare prima di qualsiasi utilizzo. L’obiettivo è utilizzare le capacità digitali in modo selettivo per garantire la massima efficacia.
Indispensabili sono gli strumenti avanzati di analytics per migliorare la logistica e la pianificazione della domanda, corredati di strumenti di controllo per individuare possibili “incidenti” e rotture prima che possano impattare negativamente su tutta la filiera.
Largo consumo: la visione di Vodafone
Come abbiamo accennato nei paragrafi precedenti, per gli attori del largo consumo e nello specifico per i retailer non tutti i clienti, le aree geografiche, i canali e le categorie hanno lo stesso valore.
Per capire quali azioni, quali prodotti, quali promozioni, quali iniziative lanciare sul mercato per attrarre clienti nuovi e potenziali e rispondere alla concorrenza è importante conoscere bene il bacino sul quale insiste la propria attività.
E in questo caso, i dati che provengono dai dispositivi mobili degli utenti giocano un ruolo prezioso.
Nella sua veste di operatore globale di comunicazioni, Vodafone raccoglie ogni giorno sulla propria rete 30 miliardi di informazioni, che possono trasformarsi in “actionable insights” grazie agli strumenti avanzati di analytics, offrendo in tal modo chiari chiavi di lettura degli eventi e dei fenomeni.
In Italia, la Giga Network di Vodafone genera ogni giorno 40 milioni di eventi, che una volta aggregati, anonimizzati, analizzati, consentono di comprendere i comportamenti dei propri clienti e del target potenziale al quale ci si rivolge; un patrimonio di dati che abilitano la creazione di pattern; consentono di segmentare il bacino d’utenza su base demografica oppure economica.
Sono informazioni sia di tipo quantitativo sia di tipo qualitativo, che possono essere utilizzati in scenari diversi e che nel largo consumo, così come nel retail, consentono una misurazione precisa delle presenze, della provenienza, del tasso di ritorno sul punto vendita e diventano uno strumento prezioso a supporto delle attività di pianificazione e procurement.
Il valore degli analytics nel largo consumo
In particolare, con la soluzione Vodafone Analytics Retail gli attori del comparto sono in grado di conoscere e in qualche modo anticipare i bisogni e le richieste dei consumatori, migliorando le proprie operation.
Tutto questo nel pieno rispetto di quanto prevedono le normative vigenti in materia di protezione dei dati personali.
Gli analytics di Vodafone Business lavorano sia a livello di singolo punto vendita, sia a livello di “catchment area”, ovvero il bacino di riferimento definito da un insieme di celle telefoniche Vodafone selezionate in base alla distanza dal negozio.
Sono analisi puntuali, che possono essere anche riferite a precisi timeframe temporali per consentire di verificare l’efficacia nel tempo delle azioni intraprese e sono un supporto prezioso per agire positivamente lungo tutta la supply chain.