Modelli di business

La sfida della servitizzazione: un paradigma affascinante che stenta a decollare?

Nonostante le tecnologie necessarie a sviluppare servizi basati sui dati industriali siano ormai mature e i benefici evidenti, il paradigma della servitizzazione stenta a decollare. I motivi sono di diversa natura: dall’assenza di standard, che causa la moltiplicazione di piattaforme, alla mancanza di fiducia tra i fornitori di tecnologie e gli utilizzatori finali in tema di condivisione dei dati. L’opinione delle aziende in un evento organizzato da SPS Italia e moderato dal professor Marco Taisch

Pubblicato il 13 Lug 2023

Credits: Siemens

Le opportunità offerte dalla servitizzazione, il modello di business che consente a costruttori di macchine e utilizzatori di spostare il focus della loro relazione dal semplice acquisto di un bene strumentale ai servizi ad esso collegato, sono diverse. Per gli OEM, infatti, l’ampliamento dell’offerta con servizi data-driven permette di cogliere nuove opportunità di mercato, fidelizzare i clienti e attrarne di nuovi. Dal lato degli utilizzatori, invece, questi servizi permettono di ridurre i costi di acquisto e di migliorare i processi, grazie a un controllo maggiore su quanto avviene, in tempo reale, nello shopfloor.

Le tecnologie in grado di rendere la servitizzazione tecnicamente ed economicamente fattibile ormai sono più che mature, ma è altrettanto vero che questo paradigma stenta a decollare: perché?

Se ne è discusso recentemente al tavolo dedicato alla servitizzazione, moderato da Marco Taisch, professore del politecnico di Milano e scientific chairman del World Manufacturing Forum (che proprio al tema della servizi azione dedicherà la prossima edizione di novembre 2023), e dal direttore di Innovation Post Franco Canna, nel corso del Sum-Meet, un’iniziativa promossa da SPS Italia che ha coinvolto numerose aziende fornitrici di tecnologie, costruttori di macchine e end user di diversi settori manifatturieri membri del comitato scientifico della manifestazione.

Che cosa si intende per servitizzazione

Intanto partiamo dal concetto di servitizzazione. Anche se sempre più spesso si tende a utilizzare questo termine per indicare l’adozione di modelli pay-per-use (ad esempio una macchina che viene pagata in funzione dei pezzi prodotti) e del passaggio da una logica di proprietà a una di semplice possesso, in realtà esistono diversi modi meno “estremi” in cui un costruttore di macchinari può diversificare le fonti di ricavo, spingendo anche sui servizi.

“Parlare di servitizzazione tout court è sbagliato”, puntualizza Taisch. “Occorre infatti ragionare sia in base al tipo di bene servitizzato – perché ad esempio un macchinario e una linea non sono la stessa cosa, sia in funzione del settore applicativo, sia della dimensione aziendale”.

Il nodo della fiducia tra fornitori ed end-user

Guardando la cosa dal punto di vista dell’utilizzatore, proprio la dimensione aziendale è uno dei temi da tenere in conto se non si vuole cadere nella trappola della semplificazione.

“Un grande end user del settore alimentare è innanzitutto più strutturato sia dal punto di vista delle competenze e poi ha più potere contrattuale, mentre un’impresa medio piccola non ha quei volumi che possono convincere un costruttore di macchine a sedersi al tavolo”, sottolinea Taisch riassumendo alcuni spunti emersi dai partecipanti.

Ma una delle sfide più importanti sottolineate nel corso della discussione è che, pur essendo la servitizzazione un modello potenzialmente win-win offrendo vantaggi a tutte le parti in gioco, manca ancora oggi una solida relazione di fiducia tra fornitore e utilizzatore.

Da una parte gli utilizzatori sembrano “scottati” dalla scarsa disponibilità riscontrata da parte dei costruttori a offrire quello che realmente serve loro nella conduzione dell’impianto, cioè il supporto operativo.

D’altra parte i costruttori di macchine lamentano il fatto che gli end user non siano disposti a offrire un giusto riconoscimento economico per un’attività impegnativa, che di fatto consiste nell’entrare nei processi aziendali del cliente apportando esperienza e know-how tecnologico.

Ultimo fattore di attrito nelle relazioni cliente-fornitore è poi la gestione del dato: gli end user sono spesso culturalmente restii a cederlo ad altri attori della filiera per un deficit di competenze da parte del top management e dell’imprenditore; oppure, laddove siano disposti a farlo, richiedono per questo una valorizzazione economica che il costruttore di macchine non sempre è disposto a riconoscergli.

Affinché il paradigma della servitizzazione possa davvero concretizzarsi, sintetizza Taisch, c’è quindi bisogno di ridisegnare sia la cultura aziendale che i sistemi organizzativi aziendali.

Il ruolo degli standard

Un altro tema di non secondaria importanza è la mancanza di uno standard tecnologico di riferimento che supporti la gestione del dato.

Ci sono sì i protocolli di comunicazione come OPC UA, ma poi la gestione concreta del dato è affidata a una miriade di piattaforme (nel migliore dei casi promossa da qualche alleanza), nessuna delle quali realmente standardizzata. E questo complica un lavoro già di per sé poco agevole, soprattutto quando ci sono in gioco più stabilimenti e diversi “strati” di tecnologie installate nel corso degli anni.

Incentivi per finanziare proprietà e possesso

“C’è poi il tema degli incentivi all’acquisto”, rileva Taisch. Che spiega: “Tutti i piani che si sono susseguiti nel corso di questi anni, da Industria 4.0 a Transizione 4.0, prevedono agevolazioni per l’acquisto dei beni strumentali”.

Il che è senz’altro un bene, ma ha un rovescio della medaglia: che forme di possesso alternative, come quelle previste dai modelli pay-per-x, sono fortemente penalizzate (solo il software infatti è agevolato anche se fruito in modalità as-a-service).

Coinvolgere i consumatori per favorire lo sviluppo dei servizi

Da ultimo, c’è un grande assente che è il consumatore finale. “Ogni grande rivoluzione che ha avuto successo è stata caratterizzata dal ruolo di traino da parte del consumatore finale”, rimarca Taisch. “Nel paradigma della servitizzazione, invece, si fatica a trasmettere i vantaggi di filiera al consumatore”.

Eppure – aggiunge il professore riassumendo altre istanze emerse dal tavolo – “la servitizzazione è un driver anche per la sostenibilità perché aumenta la vita utile del macchinario. Se questo fosse comunicato meglio al consumatore sarebbe sicuramente un buon viatico”.

Negli attuali modelli di servitizzazione, dunque, il consumatore è il tassello mancante di una catena dove gli attori sono ancora “sconnessi” gli uni dagli altri. Per poter favorire lo sviluppo di  nuovi modelli di business basati sui servizi è invece necessario che queste catene vengano integrate, dal fornitore di componentistica fino all’utilizzatore finale.

Nuovi modelli di business basati sui dati, il ruolo delle competenze

Si tratta quindi di opportunità che al momento non vengono colte e che frenano lo sviluppo di un ecosistema di servizi, che andrebbe a vantaggio sia dei fornitori che degli utilizzatori finali. Un esempio viene dai servizi che si basano sul know-how del costruttore di macchine (in tema di progettazione, produzione e manutenzione del macchinario), anche questi ancora non sufficientemente valorizzati sul mercato (o non valorizzati in modo chiaro).

La gestione delle competenze e del capitale umano, spiega Taisch, è anch’essa complessa e non può ridursi ai discorsi intorno la necessità di aumentare i salari per attirare più giovani nell’industria.

Si tratta, anche qui, di un tema culturale. “Torniamo tuttavia al discorso della necessità di far evolvere la cultura aziendale, partendo dal management: se i vertici dell’azienda non sono sensibili a quali sono le competenze da creare per far evolvere questi modelli di business si crea una situazione di stallo”, conclude.

I vantaggi offerti dalla servitizzazione

Per le aziende, sia fornitori che end-user, che hanno già realizzato questo cambiamento i benefici sono tangibili: la servitizzazione ha infatti permesso di promuovere nuovi livelli di efficienza e visibilità, spingendo proprio verso quell’integrazione tra gli attori della supply chain che è essenziale per abilitare efficienza, qualità e tracciabilità lungo tutta la filiera.

E anche guardando alla sfida della sostenibilità nell’industria, i servizi data-driven giocheranno un ruolo di primo piano nell’implementazione di logiche di circolarità.

I cambiamenti organizzativi e culturali che abilitano questi modelli di business, pertanto, sono necessari al fine di promuovere la competitività delle aziende, in quanto permettono di rispondere alle esigenze del presente, preparandosi al domani.

E se è vero che molte aziende sono ancora indietro nell’implementazione di questo paradigma, è altrettanto vero che la maturità raggiunta dalle tecnologie, così come gli strumenti che incentivano gli investimenti – nonché la consapevolezza, ormai diffusa tra le imprese, delle criticità su cui lavorare –, fanno sì che questo traguardo sia ormai raggiungibile per tutte le organizzazioni, dalle più strutturate alle più piccole.

La servitizzazione, insomma, è un’opportunità, ma sarà presto anche una necessità.

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Michelle Crisantemi

Giornalista bilingue laureata presso la Kingston University di Londra. Da sempre appassionata di politica internazionale, ho vissuto, lavorato e studiato in Spagna, Regno Unito e Belgio, dove ho avuto diverse esperienze nella gestione di redazioni multimediali e nella correzione di contenuti per il Web. Nel 2018 ho lavorato come addetta stampa presso il Parlamento europeo, occupandomi di diritti umani e affari esteri. Rientrata in Italia nel 2019, ora scrivo prevalentemente di tecnologia e innovazione.

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