Nei prossimi cinque anni gli investimenti in smart factories porteranno a un aumento dell’efficienza produttiva del 27%, il che equivale a un contributo totale di 500 miliardi di dollari in termini di valore aggiunto annuo all’economia globale. Come? Innanzitutto la produttività crescerà su base annua 7 volte più rapidamente di quanto abbia fatto dal 1990; in secondo luogo saranno razionalizzate voci di costo importanti – come rimanenze, spese in conto capitale e materiali; infine gli indicatori di qualità – come per esempio la puntualità della consegna e la riduzione dei tempi – miglioreranno 12 volte rispetto al tasso di miglioramento registrato nel 1990.
Sono i portentosi numeri che emergono dallo Smart Factories report, ricerca condotta dal Digital Transformation Institute di Capgemini, nota società di servizi di consulenza, condotta da febbraio a marzo 2017 su un campione di 1.000 dirigenti con la carica di director o con ruoli in posizioni apicali in aziende manifatturiere con un fatturato registrato di oltre 1 miliardo di dollari in sei settori: manifatturiero, automobilistico e trasporti, energia e utilities, aerospaziale e difesa, life science e farmaceutico e beni di consumo.
Entro la fine del 2022 – prosegue il report – i produttori prevedono che il 21% dei loro stabilimenti diventeranno fabbriche intelligenti. Settori come l’aerospaziale e la difesa, la manifattura industriale e l’automotive – dove i lavoratori già interagiscono con le macchine intelligenti – guideranno questa transizione.
Indice degli argomenti
Investimenti in corso
Oltre la metà (56%) degli intervistati ha investito più di 100 milioni di dollari in smart factories negli ultimi cinque anni e il 20% ha dichiarato di aver investito più di 500 milioni di dollari. Tuttavia, secondo l’analisi del Digital Transformation Institute di Capgemini, solo un piccolo numero di aziende (6%) è in una fase avanzata di digitalizzazione della produzione. Inoltre, solo il 14% degli intervistati ha dichiarato di essere soddisfatto del grado di successo raggiunto. A fronte di questi risultati per così dire “deludenti” il rapporto considera anche uno scenario particolarmente positivo, in cui la metà delle fabbriche potrebbe trasformarsi in smart factory entro la fine del 2022, portando il valore aggiunto di Industry 4.0 a ben 1.500 miliardi di dollari.
I vantaggi concreti della digitalizzazione
Grazie ai miglioramenti in produttività, efficienza e flessibilità, le fabbriche intelligenti beneficeranno di riduzioni significative dei costi operativi. Ad esempio, il rapporto stima che con le smart factories, un produttore del settore automotive con un fatturato pari a 1 miliardo di dollari e un margine operativo del 5% potrebbe aumentare il proprio margine del 36% – ovvero al 7%, grazie all’efficientamento della logistica e dei costi dei materiali, a una maggiore funzionalità delle attrezzature e una migliore qualità nella produzione. Di conseguenza, la maggior parte delle realtà industriali ha già intrapreso la digitalizzazione dei propri stabilimenti per rimanere competitiva; solo il 16% degli intervistati afferma di non aver intrapreso iniziative in tal senso, o di non avere piani imminenti per attuarle.
I primi ad averle adottate – incluse le fabbriche negli Stati Uniti e nell’Europa occidentale – stanno trainando il gruppo; la metà degli intervistati di Stati Uniti, Francia, Germania e Regno Unito ha già implementato fabbriche intelligenti, contro il 28% degli intervistati in India e il 25% in Cina. Esiste anche un divario tra settori: il 67% della produzione industriale e il 62% delle organizzazioni aerospaziali e di difesa hanno intrapreso il percorso verso le smart factories. Tuttavia, poco più di un terzo (37%) delle aziende farmaceutiche e delle imprese operanti nel mondo life science sfrutta la tecnologia digitale, aprendo così il loro business al cambiamento dirompente della industry.
Il nodo delle competenze
Il passaggio alle fabbriche intelligenti trasformerà il mercato del lavoro globale, ma stavolta – spiega il report – le organizzazioni hanno riconosciuto l’importanza delle competenze e stanno agendo di conseguenza.
Gli intervistati vedono l’automazione come un mezzo per eliminare le inefficienze e i costi generali piuttosto che i posti di lavoro, perciò più della metà (54%) degli intervistati sta fornendo ai propri dipendenti la formazione sulle competenze digitali, mentre il 44% sta investendo nell’acquisizione di talenti digitali per colmare il gap delle competenze. Per i lavoratori altamente qualificati in settori quali automazione, analytics e cyber security, le opportunità di occupazione sono ancora maggiori.