Nonostante la cumulabilità degli incentivi previsti dal Piano Nazionale con diversi altri strumenti (credito d’imposta in primis, ma anche i vari Resto al Sud e Zone Economiche Speciali), chi si aspettava che Industria 4.0 potesse “miracolare” l’Italia, livellandone le differenze territoriali, resterà deluso: il Belpaese resta – poco sorprendentemente – una realtà a due velocità. Il contributo degli investimenti in beni 4.0 al PIL sarà infatti dello 0,2% nel Centro Nord e di un più modesto 0,03% al Sud. Sono i dati emersi da uno studio della Svimez, l’Associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno, sul Piano, condotto dai ricercatori Stefano Prezioso e Luca Cappellani.
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Le cause del divario? Sempre le stesse
Le ragioni sono piuttosto semplici da individuare: il sistema produttivo del Centro-Nord reagisce positivamente a misure che vanno nella direzione di accrescere la dotazione dei vantaggi competitivi meno diffusi e che, invece, sono cruciali nell’attuale contesto, ma sulla base di una struttura manifatturiera esistente, radicata e spesso già avanti nella terza rivoluzione industriale.
Gli studiosi poi evidenziano come al Sud l’impatto della policy sia di entità assai minore per via di alcuni elementi strutturali che caratterizzano l’industria meridionale: minori livelli di innovatività, più bassa diffusione delle tecnologie ICT e/o assimilabili, dimensioni aziendali comparativamente inferiori. Per di più nel Mezzogiorno i servizi di mercato sono in media estremamente frammentati, con limitate presenze in quelle attività ad elevato contenuto tecnologico/professionale. Oltre a ciò, va ricordato che durante la lunga fase recessiva la capacità produttiva dell’industria meridionale, già relativamente minore, si è fortemente contratta, con un’intensità doppia rispetto a quella del Centro-Nord.
Che cosa fare?
Lo studio suggerisce che, accanto alle misure previste dal “Piano Industria 4.0”, ne vadano previste altre in grado di accrescere le dimensioni assolute del sistema industriale, e possibilmente le sue interrelazioni con i servizi di mercato locali. In base alle stime della Svimez, l’accelerazione impressa dalle misure di “Industria 4.0” al processo di accumulazione è costante: nell’intero periodo, il differenziale tra la dinamica di crescita del valore aggiunto industriale senza e con il suddetto intervento si commisura in oltre il 2% al Centro-Nord e in quasi il 6% al Sud.
Lo studio della Svimez riconosce che il Piano Industria 4.0 rappresenta una netta inversione di tendenza rispetto al passato. Dopo che, negli ultimi quindici anni, vi era stata una netta flessione delle agevolazioni a favore del sistema produttivo, che cominciò a delinearsi già nella prima metà degli anni 2000, diventando via via più marcata nella seconda metà del decennio e negli anni della lunga crisi. Tendenza che si è declinata in maniera difforme nel territorio e nettamente più marcata nel Mezzogiorno. Nello specifico, mentre fino al 2006-2007 gli importi delle agevolazioni concesse ed erogate nel Sud erano stabilmente superiori a quelli che affluivano alle regioni del Centro-Nord, a partire dal 2009, proprio nel periodo della lunga recessione, l’intervento pubblico ha favorito maggiormente le imprese dell’area più ricca del Paese.
Gli effetti misura per misura
Per quanto riguarda super e iperammortamento, lo studio dei ricercatori Svimez effettua una prima ripartizione territoriale della misura, dalla quale emerge, per le imprese meridionali, una quota di accesso pari al 7% delle agevolazioni stimate per l’intero paese dalla Relazione Tecnica al Disegno di Legge di Bilancio per il 2017. In valore assoluto, le agevolazioni erogate alle imprese del Sud dovrebbero quindi attestarsi intorno ai 650 milioni di euro – da ripartire nel periodo 2018- 2027 – contro i circa 8,6 miliardi del Centro-Nord.
Quanto al credito d’imposta sulle spese “incrementali” in ricerca e sviluppo effettuate nel periodo 2015-2019, lo studio Svimez ipotizza una quota di accesso delle imprese del Sud a tale misura pari al 10% del totale delle agevolazioni stimate dalla suddetta Relazione Tecnica. Ciò implicherebbe, per il Mezzogiorno, circa 350 milioni di euro per il quadriennio 2018-2021, contro gli oltre 3,1 miliardi assorbiti dal Centro-Nord.
Infine, per la Sabatini-ter, la nota di Prezioso e Cappellani mette in evidenza che tra agosto 2015 e settembre 2016, il Mezzogiorno ha assorbito il 10,2% delle domande, per cui le agevolazioni previste dovrebbero attestarsi, nel Sud, intorno ai 56 milioni di euro, da ripartire nel settennio 2017- 2023, a fronte degli oltre 500 milioni destinati al Centro-Nord.