Conoscere con esattezza gli effetti reali delle misure di incentivo è di importanza fondamentale per misurarne l’efficacia, ma non sempre è semplice. Soprattutto nel caso di incentivi la cui fruizione è automatica e il cui meccanismo di attivazione può coinvolgere diverse annualità. È il caso dell’iper ammortamento, incentivo introdotto dalla legge di bilancio per l’anno 2017 e che ha riscosso un grandissimo favore presso le imprese.
All’interno dell’ultimo rapporto intitolato “Un cambio di paradigma per l’economia italiana: gli scenari di politica economica” pubblicato dal Centro Studi Confindustria un capitolo importante è dedicato proprio all’analisi dell’efficacia di questo strumento che, come viene ricordato, è stato sostanzialmente invariato nei primi due anni (maggiorazione al 250% del prezzo di acquisto ai fini del calcolo dell’ammortamento, con un vantaggio complessivo del 36% sul prezzo di acquisto), per poi cambiare nel 2019, con l’aumento delle aliquote massime (dal 250% al 270% pari al 40,8% di vantaggio finale) e l’introduzione degli scaglioni, e in maniera più radicale nel 2020, con il passaggio al meccanismo del credito d’imposta per l’acquisto di beni strumentali (al 40%).
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Investimenti generati: 10 miliardi nel 2017 e 15 miliardi nel 2018
Sommando i dati di consuntivo relativi al 2017 e di stima sul 2018, emerge che il valore degli investimenti generato dall’iper ammortamento supera complessivamente i 25 miliardi.
La cifra è composta da 10,2 miliardi di euro di investimenti in macchinari e apparecchiature incorporanti tecnologie 4.0 effettuati nel 2017 e 15,2 nel 2018.
il dato sugli investimenti 2018 è composto da 8 miliardi desunti dai dati osservati nelle dichiarazioni dei redditi e ulteriori 7,2 imputati sulla base di una stima degli ordini non evasi entro l’anno, basata su dati forniti da Ucimu – Sistemi per Produrre, l’Associazione dei costruttori italiani di macchine utensili, seguendo una metodologia analoga a quella utilizzata per l’anno 2017.
Nel 2018, quindi, gli investimenti in beni strumentali alla trasformazione digitale avrebbero registrato un incremento annuo pari a quasi il 50% rispetto al 2017. Una stima realistica considerando che nel 2017 il grado di conoscenza di questi incentivi era molto basso.
Le PMI del manifatturiero i principali beneficiari dell’iper ammortamento
A fruire maggiormente del beneficio, contrariamente a quanto alcuni hanno sostenuto negli ultimi anni, sono state le PMI.
“La disaggregazione dell’ammontare di investimenti effettuati per classe dimensionale dei beneficiari dell’iper ammortamento mostra, in entrambi gli anni presi in esame, una prevalenza di piccole e medie imprese. A quelle fino a 250 dipendenti afferiscono oltre due terzi degli investimenti in beni strumentali agevolati: il 67% e il 72% rispettivamente nel 2017 e nel 2018. A fronte di una netta crescita nel biennio del peso delle medie imprese, che passa dal 31% al 41%, si ridimensiona in egual misura quello delle micro (dall’8% al 3%) e delle grandi (dal 33% al 28%)”.
Quanto ai settori, il manifatturiero si conferma anche per il 2018 il maggiore beneficiario della misura agevolativa, con un peso sul totale degli investimenti in beni strumentali 4.0 pari all’81,7% (era l’82,6% nel 2017). Segue, molto distanziato, il settore del commercio (7,0% nel 2018, 6,5% nel 2017).
All’interno del manifatturiero, il settore più attivo nell’investire nelle nuove tecnologie digitali resta quello dei prodotti in metallo (19,3% nel 2018 la quota sul totale degli investimenti attivati dalla manifattura, stabile rispetto all’anno precedente), seguito dal settore alimentari, bevande, tabacchi che ha registrato una forte crescita nel biennio (da 6,4% a 11,3%), arrivando a sorpassare il contributo della meccanica strumentale (cresciuta dal 7,1% all’8,4%). Nel confronto tra il 2017 e il 2018 si evidenzia, di contro, una forte contrazione del peso della chimica (dal 6,6% al 2,0%) e soprattutto del settore coke e derivati del petrolio (dal 3,0% allo 0,1%). Rimane ancora marginale il contributo di quasi tutti i comparti tradizionali del made in Italy, nonché del settore farmaceutico e degli altri mezzi di trasporto.
Non ci sono sorprese invece sulla distribuzione territoriale delle aziende beneficiarie. Gli investimenti agevolati sia nel 2017 sia nel 2018 sono provenuti in larga parte da società di capitali con sede legale nel Nord Italia. La Lombardia è saldamente in cima alla classifica (29,5% la quota sul totale nazionale al 2018), seguita da Emilia-Romagna (17,8%), Veneto (17,0%) e Piemonte (9,4%). Su livelli molto più bassi tutte le altre regioni italiane, a partire da quelle del Mezzogiorno che scontano anche la scarsa presenza di tessuto industriale nei rispettivi territori.
Escludendo le micro imprese fino a 10 dipendenti, l’analisi mostra che la quasi totalità delle imprese, l’84,7%, non aveva effettuato investimenti in tecnologie 4.0 prima del 2017. Inoltre, in un terzo dei casi ad essere coinvolte sono state imprese appartenenti proprio alla parte più digitalmente arretrata del sistema produttivo, quella che appariva in ritardo anche rispetto all’adozione di tecnologie ICT più tradizionali.
“Se ne può quindi ragionevolmente desumere – scrivono gli autori del rapporto – che una quota rilevante degli investimenti in tecnologie 4.0 avviati nel 2017 (e a seguire) sia stata attivata in risposta all’introduzione dell’iper ammortamento proprio in quell’anno, e che non si sarebbe quindi realizzata in assenza dell’incentivo fiscale previsto dal Governo”.
Gli effetti dell’iper ammortamento sull’occupazione: +7%
Integrando i dati fiscali con quelli relativi ai flussi di assunzioni e di cessazioni di posti di lavoro dipendente CSC e MEF hanno potuto stimare i primi effetti occupazionali prodotti in Italia dagli investimenti agevolati in tecnologie 4.0 nell’anno d’imposta 2017, isolandoli dall’influenza esercitata sempre sull’occupazione da altri fattori quali il ciclo economico, le dimensioni aziendali, la localizzazione delle imprese o il loro settore di appartenenza. Per farlo, si è confrontata la crescita di assunzioni e cessazioni rispetto al 2016 delle imprese agevolate dall’iper ammortamento nel 2017 con quella di un campione selezionato di imprese non agevolate quell’anno, scelte in modo da rappresentare, con un ragionevole grado di approssimazione, cosa sarebbe accaduto alle imprese che hanno investito in tecnologie 4.0 in assenza dell’investimento stesso.
L’analisi indica che l’investimento in tecnologie 4.0 nel 2017 ha avuto un effetto occupazionale positivo nel periodo compreso tra gennaio 2017 e marzo 2019 (ultimo mese disponibile per l’analisi). Si stima che il numero di dipendenti sia cresciuto dell’11,3% tra la fine del 2016 e marzo 2019 nelle imprese beneficiarie dell’iper ammortamento nel 2017, contro una crescita del 4,4% per imprese ex-ante simili, ma che non avevano utilizzato l’agevolazione fiscale in quell’anno.
Ne deriva che l’investimento agevolato in tecnologie 4.0 abbia prodotto una maggiore crescita occupazionale di circa 7 punti percentuali nel periodo considerato. Ciò è dipeso da una dinamica delle assunzioni migliore di quella che si sarebbe registrata se le imprese non avessero investito in tecnologie digitali, mentre la dinamica delle cessazioni non risulta, nella media di periodo, essere stata influenzata in misura sistematica dalla decisione d’investimento.
L’effetto positivo sulle assunzioni si riscontra in tutte le classi dimensionali, dalle micro alle grandi imprese. L’impatto è particolarmente rilevante per queste ultime: nella media di periodo si stimano +10,9 punti percentuali di maggiori assunzioni rispetto a quanto si sarebbe registrato in assenza di investimenti in tecnologie digitali avanzate.
Le assunzioni sono cresciute sia al Nord sia al Sud. L’effetto maggiore si registra per quelle con sede legale nel Mezzogiorno: nella media di periodo si stima un effetto differenziale pari a +4,0 punti percentuali sulle assunzioni mensili rispetto a quanto si sarebbe registrato in assenza di investimenti in tecnologie digitali avanzate. L’effetto occupazionale positivo per le imprese con sede legale nel Centro Italia, invece, non si traduce in maggiori assunzioni bensì in minori cessazioni: -2,0 punti rispetto allo scenario base di assenza di investimenti in tecnologie 4.0.
Quanto all’età dei nuovi assunti, l’impatto positivo degli investimenti in tecnologie 4.0 si registra innanzitutto tra i giovani lavoratori (con meno di 35 anni di età), un risultato coerente con il loro maggior grado di competenze digitali rispetto alla forza lavoro più anziana: +2,4 punti percentuali la stima della maggiore crescita mensile delle assunzioni nel periodo compreso tra gennaio 2017 e marzo 2019, rispetto a +1,4 stimato per i lavoratori over 35. Questi ultimi però hanno potuto beneficiare non solo di una maggiore domanda di lavoro per nuovi assunti, ma anche di minori cessazioni di rapporti di lavoro rispetto a quanto si sarebbe verificato in assenza di investimenti agevolati in tecnologie 4.0.
La maggiore domanda di lavoro da parte delle imprese che hanno acquistato beni strumentali 4.0 nel 2017 ha interessato tutti i livelli di qualifica professionale, anche se con intensità differenti. L’effetto maggiore in termini di assunzioni si riscontra tra gli operai specializzati e i conduttori di impianti e macchinari, che beneficiano nel periodo compreso tra gennaio 2017 e marzo 2019 di una crescita aggiuntiva di 2,2 punti percentuali in media mensile delle posizioni di lavoro dipendente rispetto a quanto si sarebbe verificato in assenza degli investimenti. Seguono, al secondo posto, gli impiegati (+0,7 p.p.) e le professioni ad alta qualifica dedicate a mansioni scientifiche (+0,7 p.p.), davanti a quelle ad alta qualifica ma con mansioni non scientifiche (+0,4 p.p.), e alle professioni non qualificate (+0,4 p.p.). Si tratta di andamenti coerenti con il quadro complessivo delle assunzioni che in Italia, negli stessi anni considerati dall’analisi, sono cresciute maggiormente proprio tra le “tute blu” e gli impiegati, e molto meno sia per le professioni ad alta qualifica sia per quelle non qualificate. In altre parole, l’effetto sulle assunzioni indotto dagli investimenti in tecnologie 4.0 è stato complessivamente quello di aver accentuato dinamiche già in atto nel mercato del lavoro italiano.
Secondo gli autori del rapporto, “i risultati modesti prodotti dagli investimenti in tecnologie 4.0 sulla domanda di figure professionali ad alta qualifica, le cui mansioni cognitive non routinarie dovrebbero essere tra quelle maggiormente richieste in un contesto di automazione crescente dei processi produttivi, sono dovuti allo scarso ricorso a queste figure professionali da parte di realtà produttive di dimensioni ridotte: l’effetto sulle assunzioni è infatti stimato nullo o del tutto marginale non solo per le micro-imprese, ma anche per le piccole e medie aziende italiane che hanno investito in tecnologie 4.0. Di contro, il ricorso a queste figure professionali è cresciuto, e in modo molto rilevante, tra le grandi imprese che hanno abbracciato la trasformazione digitale: +8,0 punti percentuali in media mensile l’effetto sulle assunzioni per i lavoratori qualificati con mansioni scientifiche, +5,0 punti per le restanti professioni intellettuali”.
Uno sguardo al futuro
Sintetizzando, l’iper ammortamento ha avuto un impatto positivo sulla trasformazione digitale del sistema produttivo italiano e ha contribuito in maniera significativa alla crescita dell’occupazione nelle imprese coinvolte dalla misura.
Di conseguenza, concludono gli autori, “supportare la trasformazione in chiave 4.0 delle imprese deve quindi restare una priorità, perché la digitalizzazione del sistema produttivo, insieme a una trasformazione per garantirne la sostenibilità ambientale, rappresenta il più importante driver di crescita delle imprese per i prossimi decenni”.
Questa è dunque la base fattuale sulla quale poggiano le richieste di Confindustria al Governo:
- stabilizzazione degli incentivi per almeno un triennio
- immediata fruibilità del credito d’imposta sugli investimenti 4.0 (con il meccanismo dello sconto in fattura e della cedibilità del credito al sistema finanziario)
- innalzamento delle aliquote
Tutte misure di immediata implementazione che darebbero un forte segnale positivo alle imprese in un momento di forte incertezza e di crisi di liquidità come quello attuale, che deprime gli investimenti. “Ciò contribuirebbe a far ripartire il processo strutturale di rinnovamento della dotazione tecnologica del sistema produttivo italiano”, concludono gli autori del rapporto.
Oltre al lavoro sugli incentivi per l’acquisto di beni strumentali, tuttavia, Confindustria è convinta che occorra lavorare (meglio) anche sulle competenze: “Poiché non può esservi un vero cambiamento di paradigma senza un rinnovamento anche delle competenze umane detenute all’interno delle imprese, per una piena transizione al digitale sono cruciali le politiche formative”.
La politica dovrebbe quindi rafforzare i legami, ancora oggi troppo deboli, tra sistema educativo e sistema produttivo, per esempio investendo maggiormente in percorsi di istruzione tecnico-scientifica orientati al mondo produttivo (Istituti Tecnici Superiori, in primis); ma anche fare diventare la formazione “una dimensione permanente della vita delle persone in età di lavoro”.
Indispensabile, infine, anche lavorare sulle infrastrutture come presupposto necessario per garantire l’utilizzo su larga scala delle tecnologie digitali avanzate. Il riferimento è al Piano Strategico Nazionale per la Banda ultralarga, al quale “serve dare pronta e completa attuazione velocizzando gli investimenti”.