Industria 4.0, le opportunità per le Pmi dall’Open Innovation

Le piccole e medie imprese italiane non hanno ancora saputo sfruttare appieno le possibilità offerte dai piani Industria 4.0 e Impresa 4.0. Fare rete potrebbe contribuire a ridurre il gap

Pubblicato il 18 Feb 2020

Michele Monaco

Open Innovation Consultant

pmi


L’innovazione sta avanzando a grande velocità anche in Italia. Nonostante gli sforzi pubblici e le metodologie messe a punto da molti istituzioni e operatori “illuminati”,  però, le Pmi italiane rimangono al margine di questo cambiamento non riuscendo a cogliere appieno le opportunità offerte dall’avvento dell’Industria 4.0 e dalle tecnologie IoT più in generale. Il motivo è subito spiegato con la carenza di management e di figure interne alle aziende in grado di misurarsi con i temi della digital transformation, e quindi con l’impossibilità di mettere in piedi in autonomia programmi mirati di R&D.

Come possono fare le Pmi per ovviare a queste carenze interne?  La risposta è: facendo rete o aderendo a programmi di open innovation sempre più presenti e sviluppati a loro misura.

L’open innovation, però, non si realizza per magia o in modo automatico. Gli imprenditori devono abbandonare “i propri campanili” e aprirsi alla creazione di network locali, o anche a scala più ampia, in modo da fare massa critica. Devono in sostanza affidarsi a competenze esterne in grado di colmare i loro gap a tutti i livelli: economico, finanziario, informatico, gestionale, organizzativo e tecnico.

Il processo di cambiamento parte proprio dal concepire le reti di imprese come una occasione strategica per rivedere la propria organizzazione a partire dai processi produttivi, e dove poter replicare le esperienze collaudate nella grande impresa e rese disponibili grazie proprio all’open innovation.

A fronte delle nuove modalità “agevolative” poste alla base del piano di Impresa 4.0, diventa urgente scegliere una modalità che consenta alle Pmi di: ridurre il tempo per innovare, condividere il rischio e ridurre i costi.

In questo contesto, crediamo sia utile sintetizzare i benefici previsti dalla nuova manovra finanziaria.

I benefici di Impresa 4.0, trasformati in credito d’imposta, si applicano agli investimenti effettuati nel 2020, oppure entro il 30 giugno 2021, solo però a condizione che l’ordine sia stato accettato dal venditore entro il 31 dicembre 2020 con pagamento di almeno il 20%. Le aliquote si suddividono come segue:

  • acquisto beni strumentali nuovi (ex superammortamento: credito d’imposta al 6%, tetto a 2 milioni di euro;
  • acquisto beni strumentali nuovi per la transizione digitale (ex iperammortamento Industria 4.0): aliquota al 40% per investimenti fino a 2,5 milioni di euro, al 20% fra i 2,5 e i 10 milioni di euro. Si applica ai beni elencati nell’allegato A della Legge di Bilancio 2017;
  • acquisto software Industria 4.0: credito d’imposta al 15%, fino a un tetto di spesa di 700mila euro.

Incentivare l’interazione delle Pmi con le start-up

Un’altra strada percorribile, e a mio modesto giudizio molto efficace, è incentivare l’interazione delle Pmi con il mondo delle start-up. Ci sono incubatori di imprese italiani che rendono disponibili programmi molto interessanti e che permettono alle Pmi la creazione di start-up dedicate a colmare i gap presenti internamente alle aziende e quindi di fatto sopperiscono alle difficoltà di creare team interni alle Pmi dedicati alla R&D o all’innovazione più in generale.

Come funziona? Un po come l’asta al contrario. La Pmi, sulla base delle agevolazioni fiscali a cui potrebbe accedere, ha a disposizione un “tesoretto” da investire. l’incubatore analizza la situazione organizzativa, competitiva etc. e propone un concept sul come si potrebbe fare innovazione. La Pmi viene chiamata a condividere il concept e con tecniche contrattuali snelle e flessibili si stabiliscono le modalità per la creazione della start-up in cui l’incubatore si ritaglia la propria partecipazione lasciando, di solito, la maggioranza alla Pmi.

L’incubatore si prende quindi in carico, avendo le competenze per farlo, tutta la parte di creazione della start-up trovando anche le competenze e le tecnologie necessarie. Uno dei maggiori vantaggi nel seguire questa modalità consiste nel fatto che gli asset riguardanti la proprietà intellettuale all’interno di questo scenario di open innovation diventa un vantaggio e non una barriera (es. messa a punto di un brevetto da poter proporre al mercato) e quindi un’opportunità e non più un costo.

Come sfruttare i paradigmi della conoscenza condivisa

Già in un documento dell’European IPR Helpdesk del dicembre 2014 si enunciavano modalità di open innovation che consentono benefici oggettivi, soprattutto alle Pmi, e che garantiscono e valorizzano proprio la proprietà intellettuale.

Le Pmi potrebbero prendere spunto da questo interessante documento per iniziare a comprendere le modalità, in parte già citate sopra, per avvicinarsi ai processi di open innovation:

Networking e crowdsourcing, nuove modalità di “collaborazione virtuale” sfruttando le opportunità offerte dai social media in modo da attuare i paradigmi della conoscenza condivisa;

– Collaborazione e alleanze per R&S sotto forma di ricerca congiunta (reti di imprese e/o reti di professionisti);

– Creazione di spin-off e/o start-up dedicate allo sviluppo di un progetto innovativo;

– Costituzione o partecipazione a un Patent Pool tramite lo scambio di licenze brevettuali tra Pmi.

Nei casi menzionati sopra, solo indicativi, il trasferimento di conoscenza permette di mantenere il controllo della proprietà intellettuale e allo stesso tempo di massimizzare i risultati di crescita in modo condiviso tra Pmi.

Conclusioni

In questi anni, grazie anche alla sperimentazione diretta di alcune aziende dedicate all’incubazione e/o acceleration di imprese, e sulla spinta dei benefici previsti dalle norme dedicate all’Industria 4.0, sono nati sistemi gestionali in grado di guidare con metodologie consolidate le Pmi nell’approccio all’open innovation. Questi sistemi gestionali, basati sulla condivisione delle informazioni tra team interni ed esterni all’azienda, garantiscono di monitorare la creazione di asset e di conseguenza l’ownership a chi effettivamente apporta valore in termini di proprietà intellettuale.

L’equa appropriazione dei risultati, in base agli effettivi investimenti effettuati da ogni singolo in un processo di open innovation è fondamentale. L’investimento non è da considerarsi solo quello finanziario, ma in senso più stretto quello legato alle “idee”, alle competenze che ogni attore coinvolto apporta al risultato raggiunto.

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Michele Monaco
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