Analisi

Digitalizzazione e proprietà dei dati industriali

Come affrontare i temi della digitalizzazione dei processi industriali, in termini di generazione, di elaborazione e di scambio dati tra diverse parti dal punto di vista della governance del dato in relazione ai framework normativi di riferimento

Pubblicato il 06 Ago 2020

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Mariangela Balestra, LexIBC

La digitalizzazione dei processi industriali, indicata anche come Industria 4.0 – comporta la generazione, l’elaborazione e lo scambio tra diverse parti, di una enorme quantità di dati industriali orientati, in prima battuta, all’ottimizzazione delle macchine e dei processi. Oltre agli aspetti legati all’innovazione tecnologica e digitale che stanno alla base di questo importante processo ci sono aspetti specificamente legati al rispetto e alla compliance nei confronto del framework normativo. A questo proposito ospitiamo un contributo dell’avvocato Mariangela Balestra LexIBC.

La prima e fondamentale domanda che ci si deve porre: chi è il proprietario dei dati industriali generati?

A livello giuridico, la domanda della proprietà del dato non trova una risposta univoca. A dire il vero, dal Giappone agli Usa, passando per l’Europa, da aziende come Microsoft alle Università, non c’è neanche una definizione condivisa di cosa sia un dato. Inoltre, si discute se i “dati” possano essere oggetto di proprietà, in senso giuridico, dal momento che possono essere generati, riprodotti ed usati simultaneamente da una serie indefinita di persone. Per contro, storicamente il proprietario di una cosa può di diritto e di fatto escludere gli altri dal possesso e dall’uso di quella cosa.

Detto altrimenti: mentre è facile, in base alle norme e alla situazione di fatto, stabilire chi sia il proprietario di un bene fisico, non è altrettanto facile, in assenza di  regole chiare, determinare la proprietà  dei dati, specialmente se più soggetti abbiano concorso, in qualche misura, alla loro generazione. Inoltre, a differenza di altri beni immateriali, non sempre i dati costituiscono proprietà intellettuale o industriale e possono beneficiare di tali specifiche tutele (ad es. diritto d’autore, brevetti, disegni industriali, diritti su banche dati).

Come impostare gli accordi per lo scambio dei dati

Pertanto, prima dell’avvio di un progetto di digitalizzazione o di collaborazione tecnologica, diventa fondamentale specificare nei contratti:

  1. chi controlla i dati che vengono scambiati e generati nell’ambito o a seguito del progetto,
  2. cosa può fare ciascuna parte e per quale finalità

Le esigenze di fornitore e cliente possono essere infatti opposte. Il cliente industriale vuole mantenere solo per sé i dati acquisiti tramite il processo di digitalizzazione, ad esempio quelli di produzione associati alla macchina connessa acquistata, ritenendo che tali dati costituiscano un know-how dell’azienda. Il partner tecnologico, d’altro canto, vuole mantenere la visibilità ed il controllo dei dati per migliorare i propri prodotti; e ciò anche per un tempo più lungo di quello contrattuale di fornitura, garanzia o assistenza sulla macchina o, addirittura, per sempre. E potrebbe anche inserire nei propri modelli di contratto e di licenza, clausole che prevedano che i dati generati dalle macchine vendute possano essere liberamente trasferiti a terzi, senza limitazioni.

Come e perché stabilire i diritti sull’uso dei dati, all’inizio della collaborazione

La soluzione sta nel cercare di comprendere e conciliare due opposte visioni, attraverso la negoziazione del contratto, già in fase di progetto. Purtroppo, questo non sempre viene fatto, perché spesso questo tipo di operazioni all’interno delle aziende sono gestite con procedure e competenze che si concentrano sugli aspetti “tecnologici”, trascurando  eventuali effetti e conseguenze a lungo termine.

Alcune volte, ciò avviene perché si presume erroneamente di rimanere gli unici proprietari dei dati e che, esattamente come per la propria auto o le macchine precedentemente acquistate in azienda, con i dati si possa fare quello che si vuole, escludendo gli altri dall’uso.

Inoltre, le aziende possono nutrire nei confronti di consulenti e fornitori di tecnologia la convinzione che questi ultimi non potranno usare per altri fini i dati che si generano dalla collaborazione. Purtroppo, non è così e, contrariamente a quanto comunemente si ritiene, non basta firmare un accordo di riservatezza (NDA), all’inizio della collaborazione per superare ogni problema. Con l’accordo di riservatezza, infatti, si possono tutelare le informazioni espressamente indicate come confidenziali che una parte fornisce all’altra.

Anche le clausole standard dei contratti rischiano di essere in genere insufficienti perché concepite in funzione della protezione della proprietà industriale classica (marchi, brevetti) o della tutela della confidenzialità legata alla materialità di certi documenti, peraltro espressamente indicati come “confidenziali”.

Pertanto, è necessario prevedere specifiche tutele contrattuali per i flussi di dati che si generano dalla collaborazione e/o per le successive elaborazioni, specie se questi dati sono ottenuti e raccolti  in continuo e da remoto, anche dalla controparte o da terzi incaricati da quest’ultima, quali consulenti e fornitori.

La conseguenza è che rivendicare il controllo esclusivo sui dati, a posteriori, dando per scontato di esserne i soli “proprietari”, diventa molto difficile per un’azienda che non ha precisato contrattualmente dall’inizio, a suo favore, il tipo di controllo sui dati e sulle elaborazioni e non ha disciplinato gli usi ammissibili sui dati generati e/o derivati dal progetto tecnologico.

 

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