L’ultima ricerca di McKinsey sullo stato di salute della digital transformation nel mondo riporta che solo il 14% delle iniziative digitali genera un qualche ritorno d’investimento e addirittura solo il 3% dei programmi si configura come una trasformazione riuscita. Questo significa qualcosa come 1.200 miliardi di dollari sprecati solo nell’ultimo anno e l’aspetto più grave è la ricaduta sulle persone e la cultura organizzativa: il fallimento di un’iniziativa fortemente spinta dall’alto provoca frustrazione e rafforza l’idea di chi era ostile al cambiamento.
Che fare quindi? Ha ragione forse quella maggioranza di aziende che ancora non ha affrontato il tema in modo strutturato, tenendo la testa sotto la sabbia del tempo come struzzi che si fingono rocce per ingannare i predatori? Chiaramente no, nessuno resiste ai cambiamenti del mondo. Panta rei, diceva Eraclito, tutto cambia, così che “non si può discendere due volte nel medesimo fiume”, perché il fiume scorre ogni attimo con nuova acqua. Aggrapparsi a un tempo passato, senza poterlo riavvolgere, è un atto di nostalgia disperato che ci estranea dal coinvolgimento al presente, unica condizione per realizzare un futuro.
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Digital transformation: il consiglio è di copiare chi ce l’ha fatta
Che fare, dicevamo. La ricerca McKinsey suggerisce di copiare chi ce l’ha fatta. L’atteggiamento è quello dell’entomologo che categorizza ogni aspetto degli insetti che osserva: anatomia, comportamento, rapporto con l’ambiente. La consulenza teorizza la tecnica e la prescrive: ecco il manuale per perdere 5 kg in soli 10 giorni! Ho avuto il privilegio di lavorare con molte top firm della consulenza nella multinazionale dove mi occupavo di digital transformation. Si ingaggia un corpo d’élite armato dal consiglio d’amministrazione e si agisce senza esitazioni né discussioni. Date le tariffe non c’è tempo per ripetere a chi è meno pronto, nè per ascoltare le peculiarità dell’ambiente dove si opera. Proibitiva e a volte esclusa a priori la possibilità di coinvolgerli nel lungo processo di implementazione.
Immaginate di essere nell’oceano e dover imparare a surfare. È senz’altro utile guardare qualche tutorial sulla tecnica giusta, ma non basterà ad acquisire la destrezza di un professionista. Farlo richiede una pratica costante, grande motivazione per riprovare sempre dopo i fallimenti, feedback continui da una guida che valuti la tua esecuzione adattandosi alla persona e alle condizioni delle onde in quel momento. Non è un lavoro da consulente ma da coach che ti segue in un percorso d’apprendimento che ci cambia. È questa l’essenza della digital transformation. Citando l’alpinista e guida Jim Whittaker: “non puoi mai conquistare la montagna. Puoi solo conquistare te stesso”. Cercate quindi partner che condividano il rischio, sherpa che portino i vostri pesi e vi aiutino nel sentiero dopo averlo indicato.
L’approccio alle previsioni può essere un errore
Un altro errore incredibilmente diffuso nei tentativi di trasformazione che osservo (dopo l’esperienza corporate ho aperto una mia attività che mi ha permesso di esaminare molti casi) è l’approccio alle previsioni. A nessuno piace l’incertezza e in un’azienda tradizionale, basata su comando e controllo, è considerata sintomo di scarsa professionalità. Ma la pianificazione con budget, roi e gantt, è funzionale solo a situazioni che già conosci. Organizzi e modellizzi ciò che si ripresenta quasi uguale a ogni iterazione (la commessa di un macchinario, un processo amministrativo ripetuto). L’innovazione però segue altre regole, è un paradigma diverso di esplorazione dell’ignoto, dove sai solo ciò che testi e lo conosci nei limiti dell’esperimento.
Mischiare queste modalità è come mandare un finanziere di Shanghai a interagire con un indio in Amazzonia. Lo sforzo è enorme e i risultati deludenti, sono mondi paralleli. Per risolvere il problema, condivido questa bussola concettuale creata in IBM nel 2001, che riprende le macro-categorie in cui la scienza divide tutti i sistemi naturali. Uno strumento di navigazione per capire dove ci troviamo e quindi come comportarsi. Le situazioni (i progetti) possono essere di quattro tipi: semplici, complicate, complesse o caotiche.
Nel semplice l’azione è immediata e la leadership verticale: discutere non aggiunge valore perché ognuno giungerebbe alla stessa conclusione, tanto meglio fare subito. Nel complicato la soluzione non è così evidente (pensate alla parametrizzazione di un software complesso, o alla ristrutturazione di un layout industriale) ma rimane possibile avvalersi di esperti che ti aiutano ad analizzare lo scenario, i suoi pro e i contro. È questo l’ambito dove la consulenza strategica trionfa: l’altissima qualità delle persone e dei processi coinvolti assicura una valutazione accurata su scenari probabili. Ecco la chiave: nel semplice e nel complesso è possibile pre-vedere le cose, ed è quindi giusto farlo. Si pianifica ogni passaggio in un piano strutturato che riduce le inefficienze.
Quando la realtà è complessa serve una gestione “agile”
Ma quando la realtà è complessa, cioè cambia velocemente per effetto di tante variabili che non riusciamo a pesare o a identificare, allora si richiede una gestione “agile”. Tipicamente in questi casi si ha a che fare con le persone e i loro comportamenti, magari persone di età, provenienza e culture delle più disparate. Nessun esperto può dire a priori se un’idea funzionerà o meno. Né può sapere quale filo tirare per avere successo.
Airbnb dopo due anni di tentativi, decide di provare a ingaggiare fotografi professionisti per le sue case in affitto. Dopo solo una settimana il fatturato raddoppia e triplicano le visite, così una storia di crescita stagnante si avvia a diventare un successo planetario che oggi vale più di ogni catena di hotel al mondo pur non avendo alcun immobile. Eccoci di nuovo davanti a un cambio di paradigma: per molti scettici le scale-up sono una bolla speculativa (ma dove ci sono soldi veri, tanti), il che mostra una volta in più come il mondo sia diviso tra chi crede e quindi crea il futuro e chi protegge il passato che conosce.
Sappiamo che la realtà è sempre più complessa, il mutare di Eraclito era nulla confronto al nostro. Le cosiddette tecnologie esponenziali accelerano in modo esplosivo il cambiamento, perché rendono possibili cose che poco prima non lo erano, a velocità crescenti.
Affrontare i cambiamenti di un secolo in dieci anni
Peter Diamandis (fondatore di X prize e Singularity University, un grande visionario con una buona credibilità) sostiene che il mondo nei prossimi 10 anni cambierà tanto quanto è cambiato negli scorsi 100 anni! Se anche sbagliasse di molto e il tempo necessario fosse più del doppio, vorrebbe dire che la prossima generazione (la società, il mercato) sarà distante da noi oggi come noi lo siamo dal nonno di nostro nonno!
A poco servono le previsioni degli esperti quando tutto cambia così velocemente, a nulla servono pianificazioni di budget ipertrofiche con previsioni pluriennali che i CFO chiedono per finanziare progetti di innovazione. Si crea un lavoro frustrante e ridicolo che introduce storture pericolose. Se si è cauti e si annunciano risultati modesti, il progetto non viene considerato importante e non riceve risorse nè attenzione. Se si fanno previsioni aggressive, si generano aspettative molto difficili da soddisfare.
Così dopo aver spinto con molto denaro poche idee, sviluppate goffamente da chi sta imparando il nuovo mestiere, viene tolto il finanziamento al progetto o all’intero programma perché i risultati non arrivano. Usando invece un approccio continuo e graduale al budgeting si possono fare tanti piccoli test veloci ed economici su molte idee, capendo cosa meriti maggiori risorse e gestendo la situazione un passo alla volta. In questo modo si genera conoscenza su aspetti nuovi del mercato scoprendo opportunità impreviste e si sviluppa la destrezza in chi impara il nuovo approccio, vero tesoro della trasformazione.
Conclusioni
Per due secoli il business è stato una gara all’efficienza, una corsa di Formula 1 spinta al miglioramento incrementale per ottimizzare l’esistente. Ora che viviamo il passaggio a una nuova epoca, in questa frattura del tempo in cui ogni prodotto, azienda e istituzione va ridisegnata per trovare nuovo senso, la corsa è diventata una gara di rally dove a contare sono la capacità d’adattamento e l’efficacia nel raggiungere nuovi traguardi. Chi persevera nel cercare e impara a tracciare nuove strade, vincerà, travolgendo struzzi e macchine da corsa lungo il percorso.