Innovazione industriale

Come raggiungere il “nirvana” della digitalizzazione dei processi industriali

Il percorso verso la produzione digitale richiede rigore progettuale e disciplina nel seguire, nella corretta successione, precise tappe di avvicinamento, riassumibili in cinque punti

Aggiornato il 18 Mar 2021

Marino Crippa

ingegnere, esperto di industria 4.0

event-driven architecture


Si dibatte di industria 4.0, di digital factory, di fabbrica intelligente da diversi anni, per la precisione dal 2011. In questi dieci anni, nonostante importanti esempi di riferimento, diversi progetti pilota e qualche sussulto indotto da vantaggi fiscali, non si apprezza ancora una diffusa consapevolezza che la digitalizzazione dei processi industriali non sia più una opzione ma una necessità per assicurare competitività, sostenibilità e resilienza nei mercati in continua evoluzione e con visibilità sempre più ridotte.

La tecnologia, variabile indipendente in questo caso, continua a mettere sempre più a fuoco l’evoluzione degli scenari. 5G, edge Vs. cloud computing per una connettività di macchina e tra macchine sempre più spinta. Il machine learning e gli algoritmi di intelligenza artificiale in genere, per abilitare un livello di autonomia nello shopfloor quasi totale.

digitalizzazione processi industriali

La digitalizzazione dei processi industriali

È quindi evidente che adeguati investimenti, supporto fiscale e accesso alle tecnologie abilitanti non sono sufficienti perché la trasformazione digitale nel manufacturing sia un tema pervasivo nel tessuto industriale italiano. Il percorso verso la digitalizzazione dei processi industriali richiede rigore progettuale e disciplina nel seguire, nella corretta successione, precise tappe di avvicinamento.

Possiamo riassumerle in cinque punti.

1. Rendere i processi snelli

Come si dice, a volte in modo più prosaico, immondizia dentro, immondizia fuori. Una produzione con processi inconsistenti o inefficaci, che producono sprechi in termini di risorse non può che produrre inconsistenza anche in digitale. Digitalizzare senza partire da una revisione dei processi non porterebbe alcun vantaggio in termini di produttività e l’impatto di questo approccio verrebbe meno.

Per questo motivo è necessario partire con un approccio lean ai processi: Pratiche 5S sono note da decenni ma forse non abbastanza diffuse.

L’analisi end-to-end dei processi, includendo l’intera value chain interna ed esterna non richiede sofisticate raccolte di dati che, anzi, potrebbero portare a conclusioni errate data l’inconsistenza dei processi. I produttori non sono pagati per quanto tempo le macchine sono attive, piuttosto per quanto veloce è il flusso dalla materia prima al prodotto finito, consegnato al cliente.

Per questo, prima di concentrarsi nel raccogliere dati dalle macchine e calcolarne, per esempio, l’OEE (Overall Equipment Effectiveness), è necessario che queste macchine insistano su un processo pulito e snello.

2. Connettere e digitalizzare

Ottimizzata la catena del valore e minimizzati gli sprechi è tempo di iniziare a connettere le macchine e raccogliere i dati.

In questo caso la strategia di quali dati raccogliere e da quali macchine è specifica di ogni processo produttivo e ruota attorno al concetto di OEE. È prassi consolidata tener traccia, attraverso i diversi sensori della macchina quando questa si ferma inaspettatamente, meglio ancora se è la macchina a fornire automaticamente l’informazione.

Disegnare, però, una misura di OEE corretta, parte ancora una volta dal processo e ogni singola macchina deve offrire la possibilità, attraverso i propri punti di misura, di suddividere lo specifico processo produttivo nei suoi componenti costitutivi, compresi quelli ausiliari come, per esempio, il carico e scarico automatico del materiale (la macchina potrebbe essere ferma per motivi derivanti dall’approvvigionamento logistico).

Una seconda valutazione è la frequenza con cui un sensore (o l’operatore) raccoglie e rende disponibili i dati.

I dati sono a bassa (fine turno: ore), media (fine ciclo macchina: minuti) e alta (durante la lavorazione: millisecondi) frequenza di raccolta. È evidente come questa frequenza debba essere in linea con le altre variabili di processo in maniera da eseguirne una analisi coerente; il rischio di confrontare mele con pere è sempre in agguato.

Per dare un senso alla quantità di dati raccolti serve poi definirne il contesto. È perciò necessario correlarli al ciclo macchina. Quale pezzo sto producendo? Quali informazioni mi sono arrivate da chi sovraintende la produzione, sia esso un software (MES: Manufacturing Execution System) o semplicemente un ordine di produzione cartaceo? Qual è il framework temporale dell’evento (time stamp o marca temporale)?

Questo livello è strettamente legato alla connettività.

La macchina è solo un pezzo del puzzle produttivo ed è necessario collegare i diversi sottosistemi utilizzando protocolli aperti come, per esempio, OPC. Risulta fondamentale avere una fotografia dell’evento e dello stato di ogni sottosistema coinvolto così che l’analisi avvenga nei termini corretti. Arrivare a gestire dati a diverse frequenze è un percorso che parte dal raccogliere quelli a più bassa frequenza evitando di essere sommersi da dati che non sono, o non lo sono ancora, utili.

La tecnologia non dovrebbe essere, come sempre in questo contesto, un ostacolo. LAN e WLAN cablate posso magari offrire qualche limitazione per estendere in maniera flessibile la raccolta dati necessari, ma i protocolli Ethernet deterministici e il supporto wireless del 5G rimuoveranno gli ultimi ostacoli.

3. Distillare l’informazione dal dato

Il semplice dato non porta miglioramento. Questo arriva solo dopo che il dato è stato analizzato, messo nel contesto corretto e tradotto in informazioni utili a generare azioni.

A questo punto potremmo avere, ad esempio, dati da una macchina che produce pezzi buoni, pezzi da scartare e pezzi non classificabili e che richiedono ulteriore verifica. L’obiettivo è eliminare i non classificati, massimizzare i buoni e minimizzare gli scarti. L’analisi del dato può ora correlare gli scarti e le parti buone con le informazioni del processo.

All’inizio potrà essere una correlazione “manuale” analizzando le caratteristiche di materiale, come lavora la macchina o le condizioni ambientali. Va tenuto presente che l’esperienza degli operatori è elemento fondante del percorso verso la fabbrica intelligente e una volta arrivati al nirvana.

Integrando il know-how degli operatori con i dati raccolti si va a costituire quella base di dati che consentirà il continuo miglioramento del processo, unico vero obiettivo del percorso di digitalizzazione, attraverso la “retroazione” delle informazioni.

Effetto collaterale, da non sottovalutare: quanto robusta sarà questa fase, tanto più facile sarà poter abilitare scenari di intelligenza artificiale a supporto delle diverse fasi produttive.

4. Trasformare le informazioni in conoscenza

Una volta correlate le informazioni e utilizzate per derivarne azioni di miglioramento, abbiamo generato conoscenza. Essa può essere documentata e utilizzata attraverso opportuni database e piattaforme che ne consentano la condivisione tra gli operatori. La conoscenza diffusa e il facile accesso ad essa può fare la differenza in termini di produttività e resilienza.

E come nel livello 3, la raccolta delle informazioni diventa col tempo sempre più automatica, la conoscenza ricavata al livello 4 dapprima manuale, può automatizzarsi attraverso l’introduzione del machine learning su alcune fasi che potranno diventare autonome come, per esempio, il controllo qualità.

A partire da questa fase iniziano a giocare un ruolo importante architetture di edge e cloud computing.

Molti processi produttivi sono “time sensitive”, da qui la necessità di mettere in campo la marca temporale e una elaborazione veloce, mentre altri insistono su cicli meno pressanti, per i quali ci si può permettere tempi di latenza più elevati.

Se si basa il controllo di qualità di un pezzo su un sistema di visione con l’eventuale scarto in linea, difficilmente si riuscirà a implementare il processo attraverso il cloud. Si dovrà pensare l’ispezione attraverso l’algoritmo di machine learning su un dispositivo edge direttamente connesso alla videocamera invece di un flusso video in tempo reale analizzato in cloud.

Gli operatori lavoreranno con i dati del sistema di visione per migliorare il risultato degli algoritmi di intelligenza artificiale, incrementando i dati disponibili.

5. Anticipare gli eventi

Poste le basi e introdotta l’intelligenza artificiale, si è in grado di fare il grande salto dal prendere decisioni guardando i dati nello specchietto retrovisore al predire la traiettoria. Siamo in grado di prevedere quando le condizioni deriveranno in maniera tale che il processo produttivo sia fuori tolleranza.

Come a livello 4 le previsioni iniziano manualmente, con i tecnici ad analizzare i dati attraverso software che permettono di interpolarli per predire le performance future.

Con l’evoluzione verso il machine learning, la raccolta e l’analisi dei dati in tempo reale, gli stessi sistemi possono elaborare direttamente gli andamenti futuri e mettere in campo azioni correttive prima che il problema si manifesti.

Il nirvana della digitalizzazione dei processi industriali: orchestrare l’ecosistema

Arrivati qui possiamo immaginare la fabbrica intelligente ideale. Al netto dell’evoluzione della tecnologia, sempre disponibile, abbiamo posto le basi per un ecosistema connesso dove processi e dati consentono la massima flessibilità operativa.

Da un lato, attraverso protocolli Ethernet real-time, possiamo pensare ad architetture distribuite dove le informazioni sono scambiate attraverso le macchine, o centralizzate dove il MES riveste il ruolo di “cervello” dell’intero impianto produttivo.

Possiamo, ad esempio, pensare a processi di approvvigionamento comandati dalla singola macchina o con un MES che pilota AGV in un milk-run i cui percorsi sono ottimizzati attraverso metodi di machine learning, rispetto al reale fabbisogno o rispetto al pezzo da produrre che fornisce esso stesso informazioni sul suo stato.

Dall’altro, credo, che il nirvana della digitalizzazione dei processi industriali si raggiunga solo quando nello scenario evolutivo siano parte integrante le persone. L’ ecosistema produttivo è fatto di macchine, dati e persone, interne ed esterne all’azienda.

Se lo scopo è rendere efficiente e flessibile l’intero sistema è necessario che tutti gli elementi siano orchestrati in maniera opportuna. Per fare questo bisogna andare oltre ai dati, agli algoritmi, ai MES che si limitano alla parte esecutiva del processo.

La conoscenza è strumentale al continuo miglioramento e va quindi resa automaticamente disponibile e fruibile attraverso una piattaforma di servizi che si estende su più stabilimenti, reparti e aziende. Una tale piattaforma dovrebbe consentire a livello centrale lo scambio di know-how tra i tecnici con il giusto mix di documenti di servizio e dati dai sensori.

Le persone non potranno essere sostituite, piuttosto ricopriranno ruoli diversi nel contesto sopra descritto a patto di sviluppare nuove competenze per una diversa e ottimizzata interazione uomo-macchina.

Articolo originariamente pubblicato il 18 Mar 2021

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Marino Crippa
ingegnere, esperto di industria 4.0

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