Digitalizzazione, innovazione, industria 4.0 (o la sua variante impresa 4.0): ormai tutti i movimenti politici riempiono i propri programmi di queste parole, nella (fondata) convinzione che “per il sistema produttivo italiano le parole chiave sono innovazione e digitalizzazione”.
Dopo il piano Colao e il piano per il Rilancio messo a punto dal Governo, arriva anche la proposta programmatica del Partito Democratico guidato da Nicola Zingaretti, che ha appena reso noto il suo documento intitolato “Per una nuova politica industriale”.
“Il tempo di agire è oggi”, scrivono dimostrando consapevolezza dell’urgenza della questione. Anche perché “le risorse messe a disposizione sono e saranno ingenti”, con riferimento ai cospicui (speriamo) fondi del programma europeo Next Generation EU. Il paese deve quindi avere “una chiara direzione di politica industriale”.
Quale deve essere questa direzione? Deve collocare “saldamente l’Italia in un mondo sempre più caratterizzato dalla ridefinizione delle catene del valore, da grandi blocchi regionali in cui l’Europa è chiamata ad avere un ruolo centrale”. E poi: “una direzione che faccia leva sulle capacità dell’Italia, a partire dal suo capitale umano, che sia fondata sulla modernizzazione del suo apparato produttivo, a partire dall’innovazione digitale e dalla transizione energetica”. Siamo tutti d’accordo.
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Le proposte del Partito Democratico
Le proposte del PD puntano su cinque dimensioni strategiche e tre temi trasversali. Le dimensioni strategiche sono: innovazione e digitalizzazione nelle imprese, la transizione green, la patrimonializzazione delle imprese con il risparmio dei privati, “costruire un‘Italia ‘per‘ gli investimenti” e “trasformare il Mezzogiorno in un‘opportunità di crescita”. I tre temi trasversali: le crisi di impresa, la modernizzazione della Pubblica amministrazione e una governance che consenta di sfruttare al meglio le risorse disponibili.
Soffermandoci solo sul primo capitolo (per gli altri vi rimandiamo al documento integrale che trovate in fondo all’articolo), si intitola “Innovare, digitalizzare, ripartire”. Qui ci viene spiegato che “per il sistema produttivo italiano le parole chiave sono innovazione e digitalizzazione”, che “tutte le aziende, da quella familiare alla multinazionale, e tutti i settori devono muovere in questa direzione. Tutti debbono entrare nella ‘rivoluzione digitale’ e accrescere la propria capacità competitiva”.
Si puntualizza che l’innovazione deve partire dalle scuole e arrivare alle imprese, “passando per le Università, per i centri di ricerca, per un dialogo diverso tra grande e piccola impresa, per la realizzazione di eccellenze nei settori del futuro”.
Poi le proposte concrete. La prima: rafforzare le agevolazioni legate al programma Industria 4.0. In particolare:
- triennalizzare le misure a sostegno di Industria 4.0
- innalzare le aliquote per l’acquisto di beni strumentali materiali, per le spese in Ricerca e sviluppo, in Innovazione Green e in design
- Voucher per le imprese che utilizzano i servizi relativi alla transizione digitale messi a disposizione dai Competence Center 4.0 e dai Digital Innovation Hub
- Potenziare la rete di supercalcolo scientifico a base pubblica, per rafforzare servizi di intelligenza artificiale e big data a tutte le imprese.
A seguire gli altri ingredienti della ricetta del PD, con progetti per favorire la formazione, dal potenziamento degli ITS a un “piano straordinario di formazione di tutto il personale del sistema industriale, per affrontare la riorganizzazione delle imprese verso il digitale e l’automazione”, e politiche a sostegno di ricerca e innovazione tra cui l’istituzione di “un’agenzia per la diffusione della ricerca applicata alle imprese, in particolare al sistema delle PMI, sul modello della Fraunhofer-Gesellschaft in Germania” e l’aumento in 4 anni delle spese per istruzione e ricerca (oggi il 3,6% del Pil) ai livelli della media Ocse (5%).
È il momento dei fatti
Sono tutte proposte ampiamente condivisibili, che vi invitiamo a leggere in dettaglio nel documento in PDF che trovate in fondo all’articolo. Però, permetteteci di dirlo, se da una parte è bello che si torni a discutere di politica industriale, dall’altra parte la sensazione è che sia l’ennesimo elenco di buone intenzioni a cui poi non si dà seguito. E quest’anno ne abbiamo raccolte tante, forse troppe.
La proposta del PD sembra quella di una forza di opposizione che vuole comunicare al Paese la sua linea politica, non avendo le leve per trasformarla in azione politica. Come, cioè, se il PD non avesse al Governo, oggi, dei ministri come Roberto Gualtieri all’Economia e alle Finanze, e sottosegretari come Gianpaolo Manzella e Alessia Morani allo Sviluppo Economico. Gente, cioè, che invece ha tutti gli strumenti per trasformare le intenzioni in fatti.
È arrivato il momento in cui le buone intenzioni devono essere messe a terra in disegni di legge, altrimenti non ha senso continuare a confondere le idee alle imprese. Perché la storia ci dice che a gennaio è entrato in vigore un piano Transizione 4.0 con aliquote non del tutto attraenti; che doveva avere un respiro triennale e invece è finanziato per un anno; che nel decreto rilancio dovevano entrare proroga e rafforzamento e invece sono caduti; che ora si parla di un prossimo rafforzamento del piano e anche di un nuovo “Impresa 4.0 Plus” che però nessuno sa cosa sia, a parte una mirabile raccolta di parole chiave come intelligenza artificiale, blockchain e transizione green.
È il momento, insomma, dei fatti, perché con i proclami non si finanziano investimenti e programmi di innovazione.
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