POLITICHE PER L'INDUSTRIA

Incentivi alle imprese, è giusto mettere sotto accusa il sistema dei crediti d’imposta?

A seguito dell’emergere di un vero e proprio “caso Superbonus”, ma anche di un possibile “caso Transizione 4.0”, l’Ufficio Parlamentare di Bilancio ha criticato aspramente il sistema dei crediti d’imposta e gli incentivi automatici, auspicando il ritorno di contributi alla spesa sottoposti ad autorizzazioni preventive e soggetti a un limite di spesa. Eppure nel resto del mondo le cose stanno diversamente…

Pubblicato il 08 Mag 2024

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L’impatto del Superbonus sui conti dello Stato ha spinto il Governo a varare il Decreto Legge 39 del 29 marzo 2024, un provvedimento emergenziale volto ad arginare l’effetto sulle casse dello Stato dei mancati introiti fiscali legati alla fruizione dei crediti d’imposta. Le preoccupazioni del Governo hanno finito per coinvolgere anche il piano Transizione 4.0, per il quale è stato introdotto un meccanismo di monitoraggio basato su comunicazioni obbligatorie. Più che la finalità delle singole misure, a finire sotto i riflettori è in realtà il meccanismo da esse utilizzato, quello dei crediti d’imposta.

Transizione 5.0

Prima di entrare nel merito della questione facciamo però un passo indietro e vediamo che cosa è successo a marzo di quest’anno, iniziando con il Decreto Legge 19 del 2 marzo 2024 che ha rimodulato il PNRR e ha introdotto il piano Transizione 5.0.

La normativa del nuovo piano prevede una procedura piuttosto complessa per la fruizione degli incentivi, con una serie di adempimenti “ex ante”, delle comunicazioni intermedie e una serie di adempimenti “ex post”. Una “densità” procedurale che è figlia dell’esigenza di tenere sotto controllo i flussi delle risorse disponibili per l’incentivo – ben 6,3 miliardi a valere sulle risorse del Piano RePower EU per il biennio 2024-2025.

Il meccanismo messo in campo è infatti finalizzato a tenere puntualmente traccia delle risorse prenotate e di quelle fruite, salvaguardando al contempo l’automatismo della misura perché il GSE, nel dare l’OK alla prenotazione e alla fruizione, non entra nel merito del progetto, ma si limita a verificare la completezza della documentazione fornita e la disponibilità delle risorse.

Transizione 4.0

Per quanto riguarda il piano Transizione 4.0 ricordiamo ancora tutti quando, sul finire del 2022, sembrava che dal biennio 2021-2022 ci fosse un avanzo di risorse di ben 4 miliardi di euro, che l’allora appena insediato ministro delle Imprese e del Made in Italy si era subito riproposto di utilizzare per ripotenziare le aliquote del piano che, dal 2023, sarebbero state dimezzate. Sappiamo tutti com’è andata a finire: non soltanto di quei 4 miliardi non era in realtà avanzato nulla, ma addirittura – stando ai recenti rilievi dell’Ufficio Parlamentare di Bilancio – sembrerebbe che la fruizione dei crediti legati a Piano finirà col risultare largamente superiore alle risorse stanziate.

Questi dati sono il motivo per cui il Governo si è mosso con la “stretta” del già citato Decreto Legge 39, che all’articolo 6 ha previsto l’introduzione di un sistema di monitoraggio per il Piano Transizione 4.0 e per il credito d’imposta per le attività di ricerca, sviluppo, innovazione tecnologica, design e ideazione estetica: per le attività pianificate dal 30 marzo 2024 è infatti obbligatorio comunicare “ex ante” i programmi di investimento e il piano relativo alla fruizione dei crediti maturandi ed “ex post” l’effettivo completamento degli investimenti.

La crisi dei crediti d’imposta

A finire sotto accusa – in maniera anche esplicita a sentire i recenti interventi del Ministro dell’Economia e delle Finanze e a leggere il documento recentemente prodotto dall’Ufficio Parlamentare di Bilancio (UPB) – è proprio il meccanismo dei crediti d’imposta, considerato non idoneo a misure d’incentivo generali che hanno potenzialmente un impatto rilevante sui conti dello stato.

Il problema – rilevano i critici – è che questo meccanismo prevede che la fruizione effettiva dell’incentivo emerga soltanto dall’analisi degli F24 in compensazione delle imprese, rendendo così difficile monitorare l’effettivo utilizzo delle risorse, sia per chiudere il rubinetto quando si sforano le risorse assegnate, sia anche per rafforzare o rimpiazzare quelle misure il cui tiraggio risulta inadeguato (ma in pochi si interrogano sul perché le stime di spesa siano state così sottodimensionate…)

Inoltre, come rileva più specificamente l’UPB,

non verrebbe meno il rischio che la misura produca effetti superiori alle attese dato che l’agevolazione è automatica, non essendo sottoposta ad autorizzazioni preventive e pertanto difficile da bloccare a fronte di diritti acquisiti dai beneficiari.

Il problema dunque per l’UPB è quell’automatismo delle misure tanto apprezzato dalle imprese.

Ma nel resto del mondo…

Eppure nel resto del mondo si continua ad utilizzare il sistema dei tax credit, in qualche caso anche accoppiato alla possibilità di cedere i crediti d’imposta, da noi messa al bando per via dell’impatto sul deficit.

È il caso per esempio dell’Earned Income Tax Credit (EITC), il credito d’imposta dedicato ai percettori di redditi “da basso a moderato” che serve per incentivare la crescita dei livelli occupazionali e salariali nel sistema lavorativo statunitense. Ma negli USA c’è spazio anche per il Child Tax Credit, per l’American Opportunity Tax Credit (AOTC) e il Lifetime Learning Credit (LLC) dedicato alla formazione.

Passando al vecchio continente, In tutta Europa gli investimenti finalizzati ad attività di ricerca e sviluppo sono incentivati con crediti d’imposta (Regno Unito, Francia, Spagna per citarne alcune).

In Francia, il recente “Crédit d’impôt pour l’industrie verte” offre un incentivo piuttosto rilevante, dal 20% al 40% e fino al 60% nel caso di alcune zone svantaggiate, alle imprese che intendono realizzare nuovi progetti industriali nei settori chiave della transizione energetica: produzione di batterie, energia eolica, pannelli solari e pompe di calore.

Quale futuro per gli incentivi alle imprese?

Qual è quindi il futuro?

Partiamo da una considerazione. Agevolazioni ben concepite, che spingono le imprese nella giusta direzione, rappresentano un investimento e non un costo per lo Stato perché offrono ritorni in termini di valore aggiunto, imposte, occupazione e competitività.

La memoria dell’UPB, con riferimento al Superbonus – ma la logica è estendibile anche ad altri incentivi –, si chiude con questa riflessione:

“In prospettiva, andrebbe valutata l’opportunità di sostituire un’agevolazione come quella attuale con un trasferimento monetario (un contributo diretto alla spesa) modulato in base alla condizione economica del nucleo familiare e alla classe energetica dell’edificio, sottoposto ad autorizzazioni preventive e soggetto a un limite di spesa. Ciò andrebbe affiancato sin da subito da un sistema di monitoraggio che consenta, da un lato, di valutare se la misura risulti efficace rispetto agli obiettivi perseguiti ed eventualmente poterla riorientare e, dall’altro, di verificare l’andamento delle risorse effettivamente impiegate”.

Se l’obiettivo di avere degli incentivi che siano sostenibili per le casse dello Stato non può non essere condiviso, qui si parla di un sistema che fa un passo in più, sacrificando l’automatismo sull’altare del controllo della spesa, tornando a proporre misure discrezionali e autorizzazioni preventive. Sull’altro piatto della bilancia si metterebbe qualche certezza in più per le imprese, dimenticando (o facendo finta di dimenticare) che, finora, la colpa delle incertezze non è stata certo delle imprese.

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Franco Canna
Franco Canna

Fondatore e direttore responsabile di Innovation Post. Grande appassionato di tecnologia, laureato in Economia, collabora dal 2001 con diverse testate B2B nel settore industriale scrivendo di automazione, elettronica, strumentazione, meccanica, ma anche economia e food & beverage, oltre che con organizzatori di eventi, fiere e aziende.

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