Il governo non è contrario all’imposizione di dazi, ma pensa a una strada selettiva. Lo rivela il sottosegretario allo Sviluppo economico Michele Geraci, una delega al commercio estero che dovrebbe essere ufficializzata nei prossimi giorni, che in un colloquio con il Sole 24 Ore spiega come ci sia bisogno di un approccio diverso in tema di protezionismo.
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L’analisi costi-benefici
“Il mio primo atto – racconta – sarà far elaborare uno studio di impatto su base produttiva e territoriale dei settori del made in Italy. Valutati i numeri, potremmo lasciare tutto così com’è o potremmo andare a Bruxelles a battere i pugni con la Ue per chiedere ad esempio di proteggere determinati settori che soffrono di più per occupazione e competitività. Magari in alcune aree specifiche, il Nord-Est o il Sud, una regione piuttosto che un’altra, magari per un tempo limitato. Ad esempio un anno. Faremo un’analisi costi-benefici anche per capire se in alcuni casi una parziale perdita di Pil può essere compensata in termini di maggiore equità e posti di lavoro”.
Questa analisi potrebbe portare alla proposta di “dazi selettivi per obiettivi specifici e in alcuni casi anche di breve termine. Senza dogmi”. E’ la strada già seguita da Trump che riguardo ai dazi ha annunciato disponibilità verso gli alleati pronti a trattare. Ma se nel caso del presidente Usa c’è una lettura anche politica delle sue mosse, la visione di Geraci, docente di finanza in tre università nell’area di Shanghai, la visione è prettamente economica e si inquadra nella visione del ministro dello Sviluppo economico Luigi Di Maio che contemporaneamente in un’audizione al Senato ha dichiarato di avere una visione molto aperta sul tema. “Il dazio non è per forza una porta che chiude tutto, soprattutto se in alcuni casi una determinata importazione rischia di danneggiare il made in Italy”.
L’export vitale per le imprese italiane
Resta il fatto che negli ultimi anni l’industria italiana ha sterzato in direzione delle esportazioni che riguardano soprattutto settori come automotive, meccanico, chimico e al settore agroalimentare. Con una domanda interna debole le imprese italiane, spinte anche dalla loro appartenenza a supply chain internazionali, nel 2017 hanno esportato merci per un valore record di 550 miliardi di dollari. Il surplus commerciale europeo, come riporta una nota dell’Ispi, vale 380 miliardi di dollari, il 4% del Pil, un valore superiore a quello cinese che secondo le previsioni del Fmi dovrebbe trovare un equilibrio entro il 2022, mentre quello europeo dovrebbe continuare la sua marcia.
L’Italia ha quindi bisogno di mercati aperti che Geraci cerca soprattutto in Cina dove, facendo con buoni margini di ragione l’esempio del mondo del vino, “l’Italia spesso non riesce a fare sistema”. In Cina infatti i produttori vinicoli italiani sono solo quinti nella classifica dei consumi ben dietro gli storici rivali francesi. “Ma lo sguardo in futuro dovrà andare molto di più al Sud-est asiatico, finora trascurato, e anche al Mercosur in cui potremmo guadagnare quote grazie alla trade diversion innescata dai dazi di Trump”. E per quanto riguarda gli investimenti esteri in Italia propone di porre qualche ostacolo alle operazioni di merger and acquisition con la possibilità di raggiungere il 100% del capitale solo con gradualità.