Nei primi 9 mesi del 2020 in Italia sono stati persi 470 mila posti di lavoro. Grazie al blocco dei licenziamenti, il calo dell’occupazione è stato trainato da contratti a termine e lavoro autonomo. A pagare la crisi provocata dalla pandemia mondiale in termini di lavoro e occupazione sono state innanzitutto, ma non solo, le categorie tradizionalmente più deboli: donne, giovani e stranieri.
È quanto emerge dal Rapporto annuale sul mercato del lavoro, realizzato con la collaborazione tra ministero del Lavoro e delle politiche sociali, Istat, Inps, Inail e Anpal.
Mentre un altro Rapporto sullo stesso scenario ma a livello internazionale, realizzato dall’Unctad (organismo per il commercio e lo sviluppo delle Nazioni Unite) rimarca che dalle nuove tecnologie e dall’innovazione possono arrivare opportunità per una ripresa inclusiva, a patto che politiche e attività di formazione e riqualificazione della forza lavoro siano adeguate a preparare e aggiornare al cambiamento, ai cambiamenti, in corso, ovunque.
Secondo l’analisi dell’Istat, a livello nazionale, nella media dei primi tre trimestri del 2020 gli occupati diminuiscono di 470 mila unità (-2% rispetto all’analogo periodo dell’anno precedente), tornando poco sopra ai livelli del 2016.
Allo stesso tempo, si registra un calo di 304 mila disoccupati e un deciso aumento di inattivi tra 15 e 64 anni (+621 mila). A ciò corrispondono diminuzioni del tasso di occupazione e di quello di disoccupazione (rispettivamente -1 e -0,9 punti percentuali in un anno) e un aumento del tasso di inattività (+1,8 punti), da parte di chi non ha e non cerca un nuovo lavoro.
“A subire maggiormente la crisi sono state le categorie più vulnerabili nel mercato del lavoro”, sottolinea l’analisi Istat: la caduta del tasso di occupazione è stata quasi il doppio tra le donne rispetto agli uomini (-1,3 contro -0,7 punti percentuali) e più forte per gli under 35 (-1,8 punti contro -0,8 dei 35-49enni e -0,3 punti per gli over50) e per gli stranieri, per i quali il valore dell’indicatore scende al di sotto di quello degli italiani.
Il forte calo del numero di occupati e disoccupati, spiega il rapporto, è dovuto soprattutto alla situazione che si è creata nel secondo trimestre scorso (-841 mila occupati e -647 mila disoccupati in un anno), quando “le misure restrittive di contrasto alla pandemia hanno inciso negativamente sia sull’avvio di nuovi lavori e sulla prosecuzione di quelli in scadenza, sia sulla ricerca attiva del lavoro”. L’allentamento di queste misure nel terzo trimestre ha portato poi a una riattivazione di una quota di non occupati, con l’aumento delle persone in cerca di lavoro (+202 mila), pur in presenza di un calo occupazionale ancora forte (-622 mila).
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Settori fermi e professioni non qualificate in crisi
A trainare il calo dell’occupazione sono stati il lavoro a termine (-394 mila, -13% nella media dei primi tre trimestri) e il lavoro autonomo (-162 mila, -3%), mentre quello a tempo indeterminato risulta in lieve aumento (+86 mila, +0,6%). Gli andamenti peggiori si riscontrano nel settore degli alberghi e ristorazione e nei servizi domestici, tra gli addetti al commercio e ai servizi e tra le professioni non qualificate.
Nei primi sei mesi del 2020, le persone che hanno iniziato un lavoro sono 436 mila in meno dell’analogo periodo del 2019 (-30%), mentre 490 mila persone in più hanno concluso un lavoro nello stesso periodo (+62%). Una situazione difficile da cui uscire e ripartire, con diversi settori economici o completamente fermi o fortemente penalizzati dalle conseguenze della pandemia, come turismo, accoglienza e ristorazione, cultura, mentre hanno retto meglio all’impatto l’industria, la manifattura, e in generale le attività collegate alle tecnologie e al digitale.
Tecnologie, tra sviluppo e nuove disuguaglianze
In questo quadro, un Rapporto dell’Unctad – l’agenzia dell’Onu che si occupa di commercio e sviluppo –, rileva che le tecnologie possono portare nuovo sviluppo e occupazione e allo stesso tempo nuove forme di disuguaglianza, come del resto è sempre accaduto nel lungo percorso dell’evoluzione tecnologica: l’innovazione apre nuove possibilità e rende obsoleto ciò che c’era prima, il fulcro della questione è restare al passo e non indietro.
“Oggi, le maggiori preoccupazioni sono legate al rischio che l’automazione sottragga posti di lavoro su larga scala, alla cosiddetta Gig economy e alla riduzione dei diritti del lavoro”, rileva Isabelle Durant, vice segretario generale dell’Unctad. Che sottolinea: “altre disuguaglianze sono quelle create dalla concentrazione dei mercati e dei profitti, l’aumento delle disuguaglianze trainate dall’intelligenza artificiale e l’ampliamento dei divari tecnologici”, ancora di più nei Paesi poveri e meno sviluppati.
“Le società e i settori produttivi devono essere ben preparati e costruire le competenze necessarie”, esorta l’agenzia dell’Onu, perché “mentre le tecnologie di frontiera hanno portato enormi benefici, i rapidi progressi potrebbero comportare seri rischi negativi, nel caso superino le capacità di adattamento delle società”.
Il Report rileva anche che i Paesi meglio preparati a utilizzare, adottare e adattare in maniera equa queste tecnologie si trovano principalmente in Nord America e in Europa, mentre quelli meno preparati sono nell’Africa sub-sahariana e in altre regioni in via di sviluppo. Ma anche qui in Italia ce ne sono di cose da fare per rendere il mercato del lavoro al passo e allineato con l’evoluzione tecnologica sempre più veloce e incontrovertibile.