“È ovvio che Governo e Parlamento si dovranno occupare di questo tema”. Il “tema” a cui si riferisce il Ministro dello Sviluppo Economico Stefano Patuanelli, intervenuto ai microfoni di Radio 24, è quello della responsabilità penale del datore di lavoro nel caso in cui un lavoratore contragga il Covid-19: un punto su cui gli imprenditori chiedono a gran voce da giorni di intervenire e su cui l’Inail è intervenuta successivamente con una nota, chiarendo che “dal riconoscimento del contagio come infortunio sul lavoro non deriva automaticamente una responsabilità del datore di lavoro”.
Il Decreto Cura Italia, infatti, all’articolo 42 ha equiparato l’infezione da Covid-19 del lavoratore all’infortunio sul lavoro (e non alla malattia). Si tratta certamente di una norma che garantisce una tutela maggiore a quest’ultimo, a cui sono assicurate così le prestazioni dell’Inail. D’altro canto, però, il tema evidenziato dagli imprenditori è la connessa responsabilità penale a cui sarebbero sottoposti anche alla luce del fatto che, dato il sistema attuale di monitoraggio della diffusione del virus, pare alquanto complicato dimostrare che il contagio sia avvenuto effettivamente sul luogo di lavoro o nel tragitto tra domicilio e azienda, a maggior ragione se il datore di lavoro rispetta i Protocolli di sicurezza concordati e che si devono applicare in ciascuna attività.
Come ha ricordato Alvise Biffi, Presidente di Piccola Industria Confindustria Lombardia, “se il contagio da Covid-19 viene trattato in questi termini rientra in quanto previsto agli articolo 589 e 590 del Codice Penale, ovvero lesioni personali colpose o omicidio colposo”. Biffi evidenzia infatti che, in caso di prognosi superiore ai 40 giorni, l’imprenditore risponde penalmente per lesioni gravi (che diventano omicidio colposo nel caso infausto di morte del lavoratore o dei suoi congiunti).
Proprio l’Inail, con la circolare n. 13 dello scorso 3 aprile, ha chiarito che “la causa virulenta è equiparata a quella violenta”. Se la “presunzione semplice di origine professionale” del contagio/infortunio si applica con facilità ai lavoratori del settore sanitario (per l’elevato rischio della mansione), la circolare chiarisce che lo stesso principio vale per “altre attività lavorative che comportano il costante contatto con il pubblico e l’utenza”: si fanno gli esempi dei front-office, delle casse, gli addetti alle vendite, alle pulizie. Infine, in riferimento ai casi “nei quali manca l’indicazione o la prova di specifici episodi contagianti o comunque di indizi gravi precisi e concordanti”, la circolare precisa che la tutela riguarda anche la circostanza in cui “l’identificazione delle precise cause e modalità lavorative del contagio si presenti problematica”. L’accertamento medico-legale dovrà seguire la procedura ordinaria privilegiando gli elementi “epidemiologico, clinico, anamnestico e circostanziale”.
Ciò che ha scatenato le preoccupazioni degli imprenditori (tanto da mettere in discussione l’opportunità di una riapertura), come si è detto, è la annessa responsabilità penale di questi ultimi di fronte a casi di contagio tra i dipendenti, anche nel caso in cui si dimostri che l’azienda ha rispettato al 100% il Protocollo per la sicurezza dei lavoratori. Un risultato già prevedibile di questa disposizione è che comporterebbe l’avvio automatico di innumerevoli procedimenti penali, il cui esito finale varierebbe caso per caso.
“Quella degli imprenditori è una preoccupazione giusta”, ha detto Patuanelli. “Le imprese che rispettano il Protocollo e consentono ai lavoratori di lavorare in sicurezza non possono rispondere di contagi che non si possa dimostrare essere avvenuti all’interno dell’azienda. Credo che sia un principio sacrosanto”. Quelle arrivate dal Ministro sono quindi parole distensive, avendo appunto confermato che sulla questione si metteranno al lavoro Governo e Parlamento. Sul tema però, stando all’ultima bozza, non dovrebbe intervenire il Decreto Rilancio, per cui bisognerà probabilmente aspettare un nuovo provvedimento chiarificatore. “È giusto che l’impresa metta in condizioni di sicurezza i propri dipendenti”, ha detto Patuanelli, che però ha anche aggiunto: “è il massimo che possiamo chiedere agli imprenditori”.
Come si è detto, la stessa Inail è intervenuta sull’argomento dando la propria interpretazione della norma. Nello specifico, nella nota pubblicata sul proprio sito web si chiarisce che “dal riconoscimento del contagio come infortunio sul lavoro non deriva automaticamente una responsabilità del datore di lavoro”. Sarebbero infatti diversi i criteri usati dall’Istituto per riconoscere l’indennizzo al lavoratore infortunato e quelli per giudicare la responsabilità connessa del datore di lavoro che, in sede penale e civile, devono provare il dolo o la colpa di quest’ultimo.
Nel chiarimento dell’Inail si sostiene quindi che l’ammissione alla tutela dell’Istituto per l’infortunio non ha rilievo in sede penale e civile (e quindi non avvalorerebbe un’ipotetica accusa verso il datore di lavoro in sede penale). Bisognerebbe quindi provare che questi abbia determinato l’infortunio attraverso dolo o colpa (per esempio non rispettando i Protocolli di sicurezza).