Modelli di business

Il 25% dei ricavi dei costruttori di macchine deriva dai servizi, ma solo le grandi aziende stanno iniziando ad affrontare seriamente la sfida della servitizzazione

Dai dati dell’Osservatorio “Digital Servitization nel settore machinery”, promosso da Digital Industries World in collaborazione con ASAP Service Management Forum, Acimac, Acimall, Acimit, Aita, Amafond, Amaplast, Siri, Ucima e Fondazione Ucimu, emerge uno scenario che vede solo i grandi costruttori di macchinari impegnati concretamente a diversificare le fonti di ricavi. E sono comunque pochi quelli che si spingono nell’adozione e nell’integrazione delle tecnologie digitali nei modelli di business: un processo che richiede non solo investimenti in nuove competenze ma anche una riconsiderazione della propria strategia di mercato. Secondo Giuliano Busetto “Urge incentivare le PMI nell’adozione di modelli di business innovativi e nell’utilizzo strategico dei dati”.

Pubblicato il 10 Apr 2024

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I servizi rappresentano una quota non marginale nei ricavi dei costruttori di macchine, arrivando a toccare un quarto del fatturato complessivo, ma si tratta prevalentemente di servizi tradizionali, legati alla vendita del prodotto. I servizi digitali avanzati invece pesano appena per l’1%. Lo scenario che emerge leggendo i dati emersi dall’indagine dell’Osservatorio “Digital Servitization nel settore machinery”, promosso dall’associazione Digital Industries World in collaborazione con ASAP Service Management Forum, Acimac, Acimall, Acimit, Aita, Amafond, Amaplast, Siri, Ucima e Fondazione Ucimu, lascia più di qualche spunto di riflessione.

I numeri dell’indagine

Partendo dal dato numerico dell’indagine, che ha coinvolto 158 produttori di macchine in diversi comparti e 45 produttori di componenti e fornitori di servizi e software, emerge che ormai il 25% del fatturato dei costruttori di macchine è legato all’erogazione di servizi. Questa cifra nasconde però una realtà piuttosto diversificata, innanzitutto sul piano dimensionale: mentre  il dato supera il 30% nel caso delle grandi aziende, per le piccole imprese il service contribuisce per poco più del 20%.

Inoltre, come anticipato, la maggior parte di questi ricavi riguarda l’erogazione di servizi transazionali, cioè vendita di ricambi, consumabili e accessori, tutte attività di fatto riconducibili alla vendita di prodotti tradizionali e che rappresentano il 16% dei ricavi. I servizi post-vendita legati ad assistenza tecnica, formazione, upgrade e revamping rappresentano invece l’8% del fatturato totale, mentre i servizi relazionali e ricorrenti, come i contratti di manutenzione, incidono solo per il 3%. E i servizi digitali e connessi, quali ad esempio la vendita di software, dati e connessione macchinari, rappresentano una fetta ancora più piccola della torta: appena l’1% del totale dei ricavi. Cifra, quest’ultima, che anche nel caso delle grandi aziende non arriva a superare il 2%.

Prevale insomma un approccio piuttosto tradizionale al mercato, con le PMI decisamente indietro. Secondo Giuliano Busetto, presidente dell’associazione Digital Industries World, “è chiaro che vi è un urgente bisogno di incentivare l’adozione di modelli di business innovativi e l’utilizzo strategico dei dati. Le aziende, in particolare le PMI, devono essere supportate e motivate a intraprendere il percorso verso la digitalizzazione e la servitizzazione, sfruttando le tecnologie emergenti, per creare nuovo valore e aprirsi a nuove opportunità di mercato”.

Per Federico Adrodegari, ricercatore dell’Università degli Studi di Brescia e Vice Direttore del Centro di Ricerca Interuniversitario ASAP, “le analisi hanno mostrato come sia ancora difficile per le aziende comunicare e monetizzare servizi più avanzati e digitali. Sono molte infatti le dimensioni del cambiamento che oggi le imprese devono comprendere ed  affrontare. Ma, al tempo stesso, i risultati dell’indagine suggeriscono un percorso tracciato di crescita della rilevanza strategica e del peso organizzativo dei servizi, e dei servizi digitali”.

Adrodegari aggiunge che “le aziende, soprattutto di grandi dimensioni, hanno già iniziato a definire strategie dedicate allo sviluppo del Service e a comprendere il ruolo delle tecnologie digitali. La trasformazione e le sfide che le imprese devono vincere, come detto, sono molteplici ma, come dimostra anche questa iniziativa, il contesto nel quale le imprese oggi operano è maturo ed offre opportunità di accesso a partner esterni, comunità di esperti ed associazioni che possono – e devono – aiutare le aziende ad avere successo in questa trasformazione”.

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La servitizzazione necessaria

Del resto la cosiddetta servitizzazione offre diversi benefici sia a livello di impresa che di economia, come ha rileva il professor Andreas Schroeder, docente di Digital Strategy and Services Innovation at Lancaster University Management School. Benefici che vanno oltre la diversificazione dei ricavi e si allargano a temi molto più ampi come la resilienza e la differenziazione competitiva, cruciale per mantenere le produzioni nel mondo occidentale.

Il professor Marco Taisch sottolinea la “crescente consapevolezza che il modello di business deve evolvere da una semplice vendita di prodotti fisici a una più complessa offerta di servizi”. Questo però implica la necessità di ridefinire le strategie aziendali e di rivedere le strutture organizzative interne per includere competenze specifiche legate a questa nuova offerta.

Le aziende costruttrici di beni strumentali, dice Taisch, devono tener conto di tre fattori. Il primo è che il mercato e i comportamenti dei consumatori stanno cambiando rapidamente, con un’enfasi crescente sulla sostenibilità e sull’importanza del digitale. Le aziende devono quindi adattare la loro offerta non solo in termini di prodotto ma anche considerando questi nuovi valori e aspettative. Il secondo è che la digitalizzazione e l’adozione di nuove tecnologie come la blockchain sono fondamentali per garantire la qualità e l’affidabilità dei nuovi servizi offerti – e questo comporta una sfida significativa che riguarda la trasformazione culturale necessaria per abbracciare pienamente queste innovazioni. Il terzo punto è il “pericolo che le grandi piattaforme digitali possano disintermediare i produttori tradizionali, inserendosi tra loro e i consumatori finali, e appropriandosi di una porzione significativa del valore generato dalla servitizzazione”.

Progetti, aspettative e investimenti

A fronte di una certa resistenza ad abbandonare i modelli di business tradizionali, sul piano delle intenzioni e delle aspettative i costruttori sembrano invece avere le idee chiare. Ben più della metà dei produttori di macchinari (57%) ha infatti dichiarato di aver implementato una strategia mirata per lo sviluppo del business dei servizi (anche qui con una forbice tra piccoli e grandi: 83% delle grandi imprese contro il 48% delle PMI).

Inoltre, a testimonianza dell’importanza crescente che le aziende del machinery attribuiscono a questo business, il 53% delle imprese si attende che il fatturato del business dei servizi aumenterà significativamente nel futuro. Anche in questo caso sono le grandi aziende a credere maggiormente in questa affermazione (70%) rispetto alle PMI (47%).

Gli intervistati, poi, sono consapevoli che i servizi risulteranno determinanti nel prossimo futuro: quasi il 70% delle imprese che hanno risposto alla ricerca si è detta convinta che, entro tre anni, questi servizi saranno determinanti per le decisioni di acquisto di un bene strumentale. Questa considerazione è ancora più forte tra le grandi imprese (92%).

L’impegno concretamente profuso dalle aziende per mettere a terra strategie e buone intenzioni è però decisamente ridotto: solo il 41% delle imprese infatti ha definito ruoli dedicati alle attività correlate al business dei servizi. E appena un’0azienda su tre ha definito ruoli e responsabilità specifiche per lo sviluppo di nuovi servizi. Se poi parliamo di risorse specificamente dedicate allo scopo, solo il 29% dei rispondenti ha allocato un budget.

L’importanza del Digitale

Oltre la metà delle imprese riconosce l’importanza delle tecnologie digitali e delle relative competenze come fattori chiave per lo sviluppo del business dei servizi.

L’utilizzo di strumenti digitali trova ampio spazio nella gestione operativa, con il 73% delle aziende che adotta piattaforme e sistemi informativi per il monitoraggio da remoto dei macchinari e il 76% per la gestione di segnali di anomalie o allarmi. La gestione della richiesta di assistenza e customer care coinvolge il 62% delle aziende, mentre la manutenzione predittiva di componenti e prodotti il 57%. L’e-commerce di parti di ricambio, invece, è una prerogativa prevalentemente delle grandi aziende (37%).

Il 55% delle aziende evidenzia inoltre come le tecnologie digitali contribuiscano a migliorare l’erogazione dei servizi tradizionali, mentre il 53% afferma di essere impegnato nello sviluppo di nuovi servizi grazie al digitale. Inoltre, il 40% ha già definito una strategia per la crescita dei servizi digitali.

Le tecnologie digitali più diffuse per il service includono IoT, cybersecurity e cloud computing, seguite da digital twin, realtà aumentata, Big data analytics, Intelligenza Artificiale e additive manufacturing, con la blockchain che rimane notevolmente distanziata. Le grandi imprese risultano adottare in media 3,5 tipi di tecnologie digitali differenti, mentre le PMI si fermano a 1,5.

Nonostante l’entusiasmo, l’adozione delle tecnologie digitali per l’offerta di servizi rimane tuttavia limitata.

Infine c’è il nodo delle competenze: vista la difficoltà a reperirle in casa o sul mercato, oltre la metà delle imprese ha avviato partnership con realtà esterne. Anche su questo ambito le grandi aziende si mostrano più mature in questo ambito rispetto alle PMI, evidenziando una disparità nella capacità di adottare e sfruttare le opportunità offerte dal digitale.

Gozzi: “La monetizzazione degli investimenti digitali rimane una sfida”

I costruttori di macchinari si trovano dunque di fronte a sfide e opportunità uniche: nel percorso verso la servitizzazione la chiave del successo risiede nell’adozione e nell’integrazione delle tecnologie digitali nei modelli di business, un processo che richiede non solo investimenti in nuove competenze ma anche una riconsiderazione della propria strategia di mercato.

Secondo Andrea Gozzi, segretario generale di Digital Industries World, i dati emersi dall’osservatorio evidenziano che “la trasformazione digitale nel settore non si limita alla sola adozione tecnologica. Infatti, aspetti come la formazione del personale, l’organizzazione aziendale e la comprensione delle dinamiche di mercato emergono come fattori decisivi, spesso più rilevanti della tecnologia stessa, che è ampiamente disponibile a scaffale”.

Nonostante l’entusiasmo generale per la digitalizzazione, l’indagine – rimarca Gozzi – “mostra che la monetizzazione degli investimenti digitali rimane una sfida, spingendoci a riflettere sull’importanza di adottare approcci e modelli di business innovativi che valorizzino questi investimenti”.

Il punto di vista dei costruttori di macchine

Alla presentazione dei dati dell’osservatorio erano presenti anche diverse figure di vertice delle associazioni che rappresentano i costruttori di macchine, a partire da Federmacchine. Il presidente Bruno Bettelli ha evidenziato come il settore del machinery in Italia “sta cambiando pelle grazie alla diffusione del digitale”. La conseguenza è un “cambio di mentalità che sempre di più prevederà l’adozione di nuovi modelli di business alternativi a quello della vendita tradizionale”.

Anche Tiziana Tronci, membro del board di Amafond, “è solo questione tempo perché la servitization entri a far parte dei nostri modelli di business”.

Per Roberto Paltrinieri, vicepresidente di Ucima, “la servitization rappresenta al momento la prima frontiera per la competitività in ambito globale. Con tecnologie sempre più customizzate e d’avanguardia, i servizi rappresentano il nuovo ambito di business da esplorare e sfruttare. I risultati denotano d’altronde che il mercato richiede sempre più servizi digitali di post-vendita, come la manutenzione predittiva”.

Infine Riccardo Rosa, vicepresidente di Ucimu – Sistemi per Produrre, sottoninea che “le grandi dimensioni e la necessità di installare i sistemi in ambienti idonei e gli obblighi legati alla sicurezza degli addetti limitano decisamente l’adozione di modelli di business service oriented” nel settore. Tuttavia, aggiunge, “le nostre imprese sono in grado già oggi di offrire nuovi e interessanti servizi a beneficio degli utilizzatori ma anche del proprio business. Penso ad esempio alla manutenzione predittiva, fondamentale per i nostri clienti distribuiti in tutto il mondo ma interessante anche per le stesse aziende del comparto che possono affiancare alla vendita del macchinario un servizio di assistenza in grado di generare un flusso di cassa continuato nel tempo che assicuri un business parallelo a quello tradizionale”.

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Franco Canna
Franco Canna

Fondatore e direttore responsabile di Innovation Post. Grande appassionato di tecnologia, laureato in Economia, collabora dal 2001 con diverse testate B2B nel settore industriale scrivendo di automazione, elettronica, strumentazione, meccanica, ma anche economia e food & beverage, oltre che con organizzatori di eventi, fiere e aziende.

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