Puntare sulla formazione dei lavoratori (sia nuovi che in organico), valorizzare il ruolo dei capofiliera come promotori d’innovazione e creare quadri regolatori efficaci, stabili, in grado di promuovere l’innovazione e creare un ecosistema tra istituzioni, università e aziende: sono queste le direttive su cui policy maker e imprese devono concentrarsi per accelerare l’evoluzione 5.0 del sistema-Italia, secondo una ricerca condotta dal The European House – Ambrosetti in collaborazione con Philip Morris Italia.
La ricerca – dal titolo “Italia 5.0, le competenze del futuro per lo sviluppo dell’innovazione nell’epoca dell’Intelligenza Artificiale in Italia e Ue” – si è posta l’obiettivo di definire gli elementi di un New Deal delle competenze per permettere all’Italia di cogliere da protagonista tutti i benefici derivanti da innovazione, digitalizzazione e nuove tecnologie.
E per farlo, sottolineano gli autori del documento, tra cui Giorgio Metta (Direttore Scientifico dell’Istituto Italiano di Tecnologia) nel ruolo di Advisor scientifico, è necessario colmare il divario che separa l’Italia dal resto d’Europa in materia di competenze, digitalizzazione delle PMI, spesa in R&D e politiche a supporto dell’innovazione.
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La sfida della transizione 5.0 per un Paese poco digitalizzato e in crisi demografica
L’Italia si trova in ritardo nel processo di trasformazione digitale, come dimostrato dal suo posizionamento nel Digital Economy and Society Index (DESI) della Commissione Europea, dove il Paese occupa complessivamente il 18º posto.
Questo ritardo è principalmente imputabile alla mancanza di competenze digitali diffuse e alla lenta digitalizzazione dei servizi pubblici, componenti che risultano drammaticamente arretrate rispetto alle altre economie avanzate.
Tuttavia, se si considera esclusivamente l’infrastruttura digitale, l’Italia mostra un quadro decisamente più positivo, raggiungendo il 7º posto in Europa. Questa discrepanza evidenzia un significativo divario tra l’infrastruttura esistente e l’effettiva adozione delle tecnologie digitali nel tessuto sociale ed economico del Paese.
Nonostante queste difficoltà, la componente rappresentante il processo di digitalizzazione delle imprese, nella quale l’Italia ricopre l’8º posto, segnala una volontà e una capacità presenti nel Paese per ridurre il divario digitale e aprire prospettive di maggiore competitività e innovazione.
In questo contesto, l’Intelligenza Artificiale (AI) generativa emerge come una potenziale forza propulsiva per l’economia italiana. Un modello econometrico sviluppato dai ricercatori stima che l’adozione dell’AI generativa potrebbe incrementare significativamente la produttività del Sistema-Italia, generando fino a 312 miliardi di euro di valore aggiunto annuo, equivalente al 18% del PIL, a parità di ore lavorate.
In alternativa, mantenendo costante il valore aggiunto, l’utilizzo dell’AI generativa potrebbe liberare fino a 5,4 miliardi di ore lavorative, pari al totale delle ore lavorate in un anno da 3,2 milioni di persone.
Per sfruttare appieno le opportunità offerte dalla rivoluzione digitale, però, è indispensabile che l’Italia investa sui fattori abilitanti della digitalizzazione, quali le competenze digitali di base e avanzate, e acceleri la digitalizzazione delle imprese.
E questo è ancora più importante in un Paese che si trova ad affrontare una crisi demografica: negli ultimi quindici anni, l’Italia ha perso circa 2,5 milioni di cittadini, principalmente nella fascia di popolazione con meno di 45 anni.
Questa tendenza prevede una riduzione della popolazione studentesca di circa il 25% nei prossimi 30 anni, con implicazioni drammatiche per il sistema scolastico e il mercato del lavoro, dove si rischia di perdere circa 3,7 milioni di lavoratori entro il 2040.
Oltre alla sfida della trasformazione digitale, l’Italia deve affrontare con urgenza la questione della sostenibilità ambientale e della transizione verde.
Attualmente, l’Europa è in ritardo rispetto agli obiettivi di decarbonizzazione previsti per il 2030. Le previsioni indicano una riduzione delle emissioni di gas serra solo del 27% rispetto al 1990, ben al di sotto del target del Green Deal (55%). Lo scenario italiano è ancora più pessimista, con una previsione di riduzione delle emissioni del 24%. L’Italia, inoltre, ha una penetrazione delle fonti rinnovabili inferiore e più lenta rispetto alla media europea, con il 37% dell’elettricità consumata proveniente da fonti rinnovabili, contro il 39,5% della media UE.
Nel settore agricolo, l’Italia è il quinto Paese europeo per emissioni di CO2, generando 41,0 milioni di tonnellate di CO2, pari all’8,8% delle emissioni totali dell’UE. Tuttavia, in termini di intensità di emissione, l’Italia si posiziona al terzultimo posto, emettendo 1,09 kt di CO2 per ogni milione di euro di valore aggiunto. Analogamente, nel settore manifatturiero, l’Italia è al secondo posto tra i maggiori emettitori di CO2, ma risulta tra i Paesi con una minore intensità di emissioni per valore aggiunto generato.
Per affrontare queste sfide, l’Italia deve accelerare l’adozione delle fonti rinnovabili e implementare politiche mirate per ridurre le emissioni di CO2.
La frammentazione del tessuto economico italiano, dominato dalle PMI, rappresenta una sfida aggiuntiva, poiché queste imprese spesso dispongono di risorse limitate per affrontare le transizioni verso la digitalizzazione e la sostenibilità. Le PMI italiane, che costituiscono il 98% del totale delle imprese, impiegano il 57% della forza lavoro e contribuiscono al 48% del valore aggiunto complessivo, risultano meno produttive e meno digitalizzate rispetto alle grandi aziende.
Più investimenti in innovazione e formazione per aziende più competitive
L’innovazione in Italia è strettamente legata al livello di digitalizzazione delle aziende, con una forte correlazione tra la capacità di innovare e il grado di adozione delle tecnologie digitali. Le aziende più digitalizzate sono quelle che riescono a generare maggiore innovazione e a mantenere una posizione competitiva sul mercato.
Nonostante il numero di brevetti in Italia sia cresciuto costantemente nell’ultimo decennio, il paese rimane indietro in termini di digitalizzazione. Questo ritardo limita il pieno potenziale innovativo delle aziende italiane e, di conseguenza, la loro competitività sul mercato globale.
Per assicurare una crescita sostenibile e duratura, sottolinea la ricerca, è essenziale che l’Italia continui a investire significativamente in Ricerca e Sviluppo (R&D), migliorando il suo livello di digitalizzazione e supportando le aziende nel loro percorso di innovazione.
Attualmente, l’Italia investe in R&D una percentuale del PIL inferiore rispetto alla media europea e a paesi come Germania e Francia. Secondo i dati Eurostat, l’Italia investe circa l’1,4% del PIL in R&D, mentre la media europea si attesta intorno al 2,1%. La Germania, in particolare, investe circa il 3% del PIL, evidenziando un gap significativo rispetto all’Italia.
Il vero ritardo riguarda però gli Istituti Tecnologici Superiori (ITS), con solo 31.011 studenti iscritti nel 2022, una cifra nettamente inferiore rispetto a paesi come Germania, Francia e Spagna. In Germania, il numero di studenti iscritti agli ITS è 23 volte superiore a quello italiano.
Per quanto riguarda le discipline STEM, solo il 19% dei giovani italiani è laureato in queste aree fondamentali per lo sviluppo di competenze digitali, ben al di sotto della media europea del 23%. Inoltre, solo il 14,8% degli studenti universitari in Italia è iscritto a corsi di ingegneria, con un divario significativo rispetto alla Germania, che conta 316.529 studenti di ingegneria in più rispetto all’Italia. Per colmare questo gap, l’Italia avrebbe bisogno di aumentare di 87.000 il numero degli iscritti ai corsi di laurea in ingegneria.
La formazione permanente presenta un deficit significativo, con solo un lavoratore su tre che partecipa a corsi di formazione continua. Questo dato è inferiore rispetto alla maggior parte degli altri paesi europei. La necessità di colmare il ritardo nella formazione permanente è ulteriormente evidenziata dalle competenze digitali di base: meno della metà della popolazione adulta italiana possiede competenze digitali di base, posizionando il paese al quintultimo posto tra i paesi dell’Unione Europea.
Il ruolo dei capofiliera nel promuovere innovazione e sostenibilità
In questo contesto di accelerato cambiamento, la pressione competitiva è sempre più di natura ecosistemica, rendendo la cooperazione tra i diversi attori coinvolti un fattore strategico per il successo sui mercati.
Il coordinamento e la valorizzazione del ruolo dei capofiliera, delle PMI e delle istituzioni sono cruciali per affrontare le tre sfide fondamentali che influenzeranno profondamente lo sviluppo economico e sociale del Paese.
I capofiliera, in particolare, rivestono un ruolo essenziale all’interno delle catene del valore, guidando la transizione verso pratiche sostenibili e innovative, e favorendo la collaborazione tra tutti i partecipanti della filiera.
Secondo una survey realizzata nell’ambito di questa ricerca, che ha coinvolto 400 aziende dei settori manifatturiero e agricolo in Italia e nei principali Paesi concorrenti europei, il 44,9% delle PMI manifatturiere italiane ritiene che i capofiliera siano fondamentali per favorire la formazione continua e lo sviluppo delle competenze digitali.
Questo dato è in linea con il 40,4% delle PMI degli altri Paesi benchmark UE. Tuttavia, in altri Paesi UE c’è una maggiore percezione del ruolo dei capofiliera nell’adozione di pratiche sostenibili e digitali lungo tutta la filiera (42,4% vs 28,6% in Italia) e nella promozione della collaborazione e condivisione di best practice (35,8% vs 24,5% in Italia).
Un ruolo chiave riguarda anche la formazione: i capofiliera sono essenziali per lo sviluppo delle competenze, il reskilling e l’upskilling a livello aziendale e lungo tutta la filiera. Questo impegno è fondamentale per stimolare la competitività, mantenere il passo con i tempi e garantire che la filiera sia pronta, flessibile e resiliente ai cambiamenti.
Nel sostenere il processo di transizione lungo la filiera, i capofiliera hanno a disposizione tre strumenti principali:
- le piattaforme per la sostenibilità della filiera, che fungono da punto di riferimento per l’intera filiera, imponendo standard di sostenibilità
- le academy aziendali, che sono fondamentali per i processi di formazione, lo sviluppo delle competenze e l’aggiornamento continuo e permanente
- l’open innovation, che rappresenta uno strumento chiave per stimolare l’innovazione lungo tutta la filiera, coinvolgendo anche i player e gli attori di dimensioni più piccole
Le PMI della manifattura italiana sono in forte ritardo sull’adozione delle tecnologie di Intelligent Manufacturing
La survey ha anche approfondito la situazione delle PMI manifatturiere italiane rispetto agli altri paesi analizzati, evidenziando importanti differenze nell’adozione delle tecnologie di Intelligent Manufacturing.
In Italia, solo il 18,3% delle PMI ha già integrato tali tecnologie, mentre il 40,0% prevede di farlo in futuro. Tuttavia un preoccupante 41,7% delle PMI italiane non ha previsto l’adozione di queste tecnologie, un valore significativamente più alto rispetto a Spagna (16,2%), Francia (32,3%) e Germania (13,8%).
Per le aziende italiane che hanno già avviato o prevedono di avviare progetti di Intelligent Manufacturing, le tecnologie più rilevanti sono il Cloud, l’Intelligenza Artificiale e la robotica. Il Cloud è al primo posto per le imprese italiane, mentre l’Intelligenza Artificiale è al primo posto nei Paesi benchmark. La robotica è considerata una tecnologia chiave sia in Italia che negli altri Paesi europei. Tuttavia, tecnologie avanzate come la realtà aumentata e le simulazioni in digital twin sono ancora poco diffuse, specialmente in Italia.
Differenze rispetto agli altri paesi analizzati si ritrovano anche nella percezione delle skill necessarie e nelle strategie adottate per svilupparle. Nel dettaglio, le competenze più rilevanti per implementare l’Intelligent Manufacturing nelle PMI italiane sono quelle specifiche del settore (57,2%) e le competenze informatiche (44,9%). Le competenze ingegneristiche e di project management sono considerate meno significative. Nei Paesi benchmark, invece, le competenze informatiche sono al primo posto (53,8%), seguite dalle competenze specifiche del settore e da quelle ingegneristiche.
Guardando al futuro, le aziende italiane identificano le competenze digitali e le soft skills come fondamentali per il reskilling e l’upskilling nei prossimi cinque anni. Le competenze di problem solving (44,0%) e di pensiero critico (30,2%) sono considerate cruciali, mentre le competenze di vendita/sales e di prompt engineering sono meno rilevanti.
Per acquisire le competenze necessarie, le PMI italiane si affidano principalmente a canali esterni, come l’assunzione di giovani diplomati o laureati (38,8%) e di figure con esperienza (36,7%). Nei Paesi benchmark, invece, il canale principale è lo sviluppo interno delle competenze (54,2%).
Il confronto con le politiche dei vicini europei
Un’analisi delle politiche adottate dai principali Paesi europei, quali Francia, Germania e Spagna, permette di comprendere come questi competitor stiano affrontando le sfide della rivoluzione digitale e offre spunti preziosi per rafforzare la posizione dell’Italia nel panorama digitale.
Francia
La Francia ha messo in atto una serie di iniziative strategiche per promuovere la digitalizzazione e lo sviluppo delle competenze. Tra queste spicca il piano France 2030, che con 54 miliardi di euro stanziati in 5 anni, mira a sviluppare la competitività industriale e le tecnologie del futuro attraverso sei leve principali: accesso alle materie prime, componenti strategici, potenziamento dell’offerta formativa, padronanza delle tecnologie digitali, eccellenza degli ecosistemi di istruzione superiore, ricerca e innovazione, e industrializzazione delle startup.
La Francia dedica il 42% dei fondi sociali del Recovery and Resilience Facility (RRF) ad azioni volte a supportare l’occupazione e il rafforzamento delle competenze, una percentuale significativamente superiore rispetto al 16% dell’Italia.
Un esempio di successo è France Num, un’iniziativa governativa per la trasformazione digitale delle PMI e delle piccolissime imprese (VSE), che coinvolge 70 partner e oltre 2.500 esperti di trasformazione digitale. Il programma offre diagnosi digitali e formazione gratuita, promuovendo lo sviluppo di best practices e facilitando l’accesso a benefici finanziari per la digitalizzazione.
La Strategia Nazionale per l’AI della Francia, denominata AI for Humanity, ha visto l’utilizzo di 1,5 miliardi di euro per strutturare l’ecosistema di ricerca nazionale e la fase 2, lanciata nel 2022, mira a diffondere l’AI nell’economia con un ulteriore miliardo di euro. Questa strategia include incentivi finanziari per istituti di istruzione superiore e di ricerca per aumentare l’offerta di formazione e un laboratorio pubblico per supportare le transizioni professionali.
Germania
La Germania è all’avanguardia per la digitalizzazione e lo sviluppo delle competenze, come evidenziato dal numero di studenti ITS, laureati in discipline STEM e studenti ICT.
La Germania dedica il 52% dei fondi RRF alla transizione digitale, con progetti chiave come lo Spazio Educativo Digitale e il Programma per la Digitalizzazione dell’Economia, che riceve 3,2 miliardi di euro. Il Mittelstand-Digital offre supporto alle PMI per la digitalizzazione, con 26 centri di eccellenza Mittelstand 4.0 che forniscono informazioni e supporto specifico.
Il Digital Now – funding for the digitalization of SMEs (Digital Jetzt) è un programma di finanziamento che offre sovvenzioni per la digitalizzazione delle PMI e la qualificazione delle competenze digitali dei dipendenti. Al 2023, il programma ha superato i 175 milioni di euro di investimenti, con ulteriori 250 milioni di euro previsti.
La Strategia Nazionale per l’AI della Germania, con 5 miliardi di euro stanziati fino al 2025, mira a fare del paese un leader europeo nell’IA, con iniziative per l’innovazione del settore privato e pubblico, la formazione e la creazione di nuovi centri di eccellenza.
Spagna
La Spagna si distingue per un alto livello di digitalizzazione e competenze digitali, con il 66% degli adulti che possiede competenze digitali di base.
Tra le politiche rivolte alla digitalizzazione troviamo:
- il Digital Spain 2026, una roadmap per la digitalizzazione del paese, con piani specifici per le infrastrutture digitali, la promozione del 5G, l’AI, le competenze digitali, la digitalizzazione delle PMI e della pubblica amministrazione, l’audiovisivo e la cybersecurity
- il Piano di Digitalizzazione delle PMI, che prevede un investimento di 4,656 miliardi di euro tra il 2021 e il 2025, con iniziative come Activa Industria 4.0 e Acelera pyme
- il Progetto Strategico per la Ripresa e la Trasformazione Economica (PERTE) nel settore agroalimentare che, con un investimento di 1 miliardo di euro, mira a digitalizzare la catena del valore agroalimentare e a sviluppare le competenze digitali degli stakeholder del settore
- la National AI Strategy della Spagna, con 600 milioni di euro stanziati per il periodo 2021-2023. Questa strategia adotta un approccio multidisciplinare per affrontare le sfide dell’AI, promuovendo lo sviluppo del capitale umano e garantendo eticità e inclusione
Le 5 proposte per un’Italia 5.0
A partire da queste analisi e dal confronto con molti stakeholder italiani ed europei, gli autori della ricerca hanno individuato cinque proposte per accelerare la transizione dell’Italia in ottica 5.0, affrontando le criticità emerse nella ricerca.
Gli interventi dei policy maker e delle aziende, secondo gli autori della ricerca, dovrebbero quindi concentrarsi su:
- Formazione in ingresso. Proporre un Piano Marshall delle competenze per colmare i gap esistenti e trasformare l’Italia in un hub di talenti per il paradigma 5.0. Questo include l’alfabetizzazione digitale di 15 milioni di cittadini per raggiungere l’obiettivo UE del Digital Compass (80% degli adulti con competenze digitali di base) e un significativo incremento dei laureati ICT, ingegneri e iscritti agli ITS, sfruttando i fondi del PNRR
- Formazione permanente. Implementare percorsi di reskilling e upskilling per l’attuale forza lavoro, coinvolgendo almeno 2,8 milioni di lavoratori per allinearsi alla media UE in termini di partecipazione a formazione e istruzione continua. Ciò richiede strumenti normativi adeguati che supportino la transizione digitale del mercato del lavoro italiano
- Digitalizzazione delle PMI. Creare un piano nazionale specifico per la digitalizzazione delle PMI, in particolare nelle filiere manifatturiere e agricole, per rendere l’adozione di nuove tecnologie più accessibile e raggiungere il target UE del Digital Compass (90% delle PMI con livello digitale di base). Questo è fondamentale dato che le PMI costituiscono la spina dorsale dell’economia italiana
- Valorizzazione del ruolo delle imprese capofiliera, che sono cruciali per la digitalizzazione e la sostenibilità delle filiere produttive
- Collaborazione pubblico-privato. Stabilire quadri regolatori efficaci e stabili che promuovano l’innovazione e facilitino la creazione di un ecosistema collaborativo tra istituzioni, università e aziende. Questo è fondamentale per recuperare competitività a livello globale, e richiede un impegno congiunto del legislatore europeo per garantire condizioni favorevoli.
“Il paradigma 5.0 è essenziale per il futuro dell’Europa e dell’Italia e per il successo delle transizioni e dei percorsi trasformativi di lungo periodo messi in campo dall’Unione Europa. In questo senso, due sono le leve strategiche principali per una transizione di successo: l’innovazione e le competenze, senza le quali ogni azione di dispiegamento tecnologico è destinata, se non a fallire, a non massimizzarne i benefici”, commenta Valerio De Molli, Managing Partner & CEO, The European House – Ambrosetti e TEHA Group.
Le proposte individuate e esposte nel paper, sono elementi preziosi per disegnare un nuovo paradigma a favore del rilancio della competitività, la spinta all’innovazione e la creazione di valore aggiunto incentrato sulla qualità del lavoro e sulle nuove competenze. Ritengo che l’approccio delineato sia in grado di favorire nuove opportunità di crescita e sviluppo futuro per le nostre filiere agricole e industriali, creando modelli di eccellenza, e sviluppare le condizioni per attrarre investimenti ad alto valore aggiunto assicurando, di conseguenza, la competitività su scala internazionale”, aggiunge Marco Hannappel Presidente e Amministratore Delegato Philip Morris Italia, Presidente Europa Sud occidentale Philip Morris International.