Sono ormai 305 mila i lavoratori che quest’anno, in Italia, stanno sfruttando i benefici offerti dallo smart working, organizzando in maniera flessibile, autonoma e responsabile luogo, orari e strumenti di lavoro. È una cifra che è in forte crescita rispetto al 2016 (+14%) e che fa il paio con l’altro dato interessante che emerge dai dati presentati dall’Osservatorio Smart Working della School of Management del Politecnico di Milano: oltre un terzo delle aziende italiane (36%) ha già lanciato progetti strutturati e una su due ha avviato o sta per avviare un progetto.
Il fenomeno riguarda per ora principalmente la grande impresa, ma anche tra le PMI cresce l’interesse, benché con approcci non strutturati: il 22% ha progetti di Smart Working, ma di queste solo il 7% lo ha fatto con iniziative strutturate; un altro 7% di PMI non conosce il fenomeno e ben il 40% si dichiara “non interessato” in particolare per la limitata applicabilità nella propria realtà aziendale.
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I benefici
I benefici economico-sociali potenziali derivanti dall’introduzione dello smart working in azienda sono, secondo la ricerca, enormi: un modello “maturo” di Smart Working può produrre un incremento di produttività pari a circa il 15% per lavoratore, che a livello di sistema Paese significano 13,7 miliardi di euro di benefici complessivi. Per i lavoratori, anche una sola giornata a settimana di remote working può far risparmiare in media 40 ore all’anno di spostamenti; per l’ambiente, invece, determina una riduzione di emissioni pari a 135 kg di CO2 all’anno.
“Sotto la superficie dello Smart Working così come oggi lo conosciamo c’è una grande opportunità di contribuire a ripensare il lavoro del futuro per rendere imprese e pubbliche amministrazioni più produttive e intelligenti, lavoratori più motivati e capaci di sviluppare talento e passioni, una società più giusta, sostenibile e inclusiva” ha detto afferma Mariano Corso, Responsabile scientifico dell’Osservatorio Smart Working. “I benefici dello Smart Working per imprese, lavoratori e società sono troppo importanti per potersi permettere di non sviluppare immediatamente un piano di interventi volto ad accompagnare e incentivare un fenomeno in grado di dare nuovo slancio al sistema Paese”.
Il profilo dello Smart Worker
Lo Smart Worker trascorre mediamente solo il 67% del tempo lavorativo in azienda, contro l’86% degli altri, ed è sempre meno legato alla “postazione”, che occupa solo per il 39% del suo tempo.
Rispetto alla media dei lavoratori gli Smart Worker sono più soddisfatti del proprio lavoro: soltanto l’1% è insoddisfatto, mentre il 50% è pienamente soddisfatto delle modalità di organizzare il proprio lavoro (22% per gli altri), il 34% ha un buon rapporto con i colleghi e con il capo (16% per gli altri).
Inoltre, gli Smart Worker ritengono di avere una più adeguata padronanza di competenze soft relazionali e comportamentali legate al digitale (Digital Soft Skills), che consentono alle persone di utilizzare efficacemente i nuovi strumenti digitali per migliorare produttività e qualità delle attività lavorative. In particolare, gli Smart Worker hanno una superiore capacità di collaborare efficacemente in team virtuali esercitando una leadership: solo l’1% ritiene di non avere sviluppato in maniera soddisfacente questo tipo di skill, a fronte del 27% degli altri lavoratori.
Il ruolo delle tecnologie digitali
La disponibilità di tecnologie digitali è una condizione necessaria per permettere alle persone di svolgere il proprio lavoro anche da remoto. Nelle grandi organizzazioni, a prescindere dalla presenza di un progetto di Smart Working, le tecnologie che supportano il lavoro da remoto sono già diffuse: in modo particolare le soluzioni a supporto della sicurezza e dell’accessibilità dei dati da remoto e da diversi device (95%) e device mobili e mobile business app (82%). Molto spesso sono presenti servizi di social collaboration integrati a supporto della collaborazione e della condivisione della conoscenza (61%), mentre meno diffuse sono le workspace technology che permettono un utilizzo più flessibile degli ambienti, agevolando il lavoro in mobilità all’interno delle sedi aziendali (36%).
“Resta inadeguata invece la capacità di utilizzo delle tecnologie tra i lavoratori”, sottolinea Fiorella Crespi, Direttore dell’Osservatorio Smart Working. “Per questa ragione oltre che sull’introduzione degli strumenti digitali è fondamentale agire sullo sviluppo di Digital Skills, comprese quelle di natura soft e non legate ai singoli strumenti. I CIO e gli IT executive evidenziano come la competenza prioritaria da sviluppare sia la capacità di ripensare prodotti, processi e attività lavorative utilizzando nuovi strumenti e canali digitali, insieme alla capacità di collaborare in team virtuali, esercitando una leadership adeguata al contesto digitale”.