50% delle macchine in vendita e l’altra metà a noleggio. Magda Pagetti, direttore del personale di CGT, azienda di commercializzazione di macchinari per l’edilizia, l’agricoltura e il settore estrattivo e rivenditore ufficiale in Italia di Caterpillar, ricorda che già a metà degli Novanta l’azienda si era data l’obiettivo di avere la metà del business legato ai servizi. “Siamo passati da una società commerciale a una di servizi”, spiega la responsabile di risorse. “Delle nostre 940 persone, 400 sono tecnici di assistenza, che riparano in officina o da cliente. Li abbiamo dovuti preparare dal punto di vista relazionale, abbiamo fatto formazione a iosa”, aggiunge.
La storia di CGT è l’esempio di quello che sta succedendo a molte aziende in Italia: la servitizzazione. Ossia, per tradurre il neologismo per nulla poetico, la trasformazione dei servizi e la trasformazione in società di servizi di aziende, come quelle manifatturiere, che finora di questa branca si occupavano poco o per niente. E questa evoluzione – secondo alcuni uno dei tratti caratterizzanti di Industria 4.0 – comporta un cambiamento sia del “business model” dell’azienda sia delle competenze di chi ci lavora.
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Nuovi mestieri
Asap Service Management Forum, la comunità italiana che studia la servitizzazione, ha individuato i mestieri che meglio si prestano a sostenere la spinta dei nuovi servizi. Mario Rapaccini, dell’università di Firenze, indica che questi lavori devono corrispondere a quattro pilastri della trasformazione digitale: analisi e gestione dei dati; contenuti digitali, coding e pensiero creativo; soft skills; appetito per l’innovazione. Le otto figure di cui in futuro le aziende non potranno fare a meno in taluni casi sono note, come i data scientist, il direttore tecnologico, quello per l’innovazione o quello per la comunicazione digitale. Ma serviranno anche architetti dei servizi, direttori cyber security, esperti della gestione del lavoro agile e manager del successo.
Come trasformarsi
Per tutte le aziende è arrivato il momento di fare un upgrade ai propri dipendenti. Ida Sirolli è responsabile formazione e comunicazione della divisione risorse umane di Tim: “In Italia abbiamo 50mila dipendenti, dobbiamo capire come fare un aggiornamento di dipendenti con un’età media di 50 anni e come ripensare il loro lavoro, in un modo che ancora non è stato definito”. Mauro Trucchia, direttore risorse umane di Canon, spiega che “la trasformazione si fa in parte con l’acquisizione di nuovi talenti. Abbiamo in azienda un’età media di 46 anni, nativi digitali ne abbiamo ma non tantissimi. C’è poi la massima delega sulla formazione”.
Insegnamento inverso
Cgt ha avviato da poco una sperimentazione denominata reverse mentoring. Coinvolge sedici studenti dell’academy e altrettante figure tra manager e tutor, avviati a un percorso comune in cui i primi imparano dai secondi e in cambio restituiscono le proprie nozioni più aggiornate ai colleghi più anziani.
Per Francesco Turrini, amministratore delegato di Men at work, agenzia interinale bresciana specializzata nel settore industriale, “il tema centrale sono le figure. Oggi mancano profili tecnici e di operai specializzati rispetto alle richieste delle aziende. Sui profili medio-alti abbiamo un 15% di richieste che non riusciamo a evadere”.