Nello scorso autunno la protesta dei fattorini di Foodora, la piattaforma di consegna a domicilio del cibo, ha sollevato un velo sulle condizioni di lavoro degli impiegati della nuova economia, quella dei lavoretti. La cosiddetta gig economy. E mentre il governo italiano sta spingendo sulla rivoluzione industria 4.0 con il piano di incentivi, da più parti si sollevano gli interrogativi di chi dubita che l’attuale sistema sociale possa stare in piedi se non si tassano i robot che sostituiscono operai e impiegati per svolgere le medesime mansioni. Bill Gates stesso, il patron di Microsoft, ha dichiarato di essere d’accordo con l’idea. Una domanda assilla l’economia: che ne sarà del lavoro nel futuro mondo digitale? Nel 1995 l’economista statunitense Jeremy Rifkin preconizzava la fine del lavoro: siamo arrivati alla resa dei conti?
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I rischi all’orizzonte
“Nel suo ultimo rapporto sulla competitività, l’Istat osserva che dal 2014 al 2017 l’Italia ha recuperato competitività nei prezzi a fronte di una riduzione del costo del lavoro pari all’1,3%, molto più accentuata rispetto a Spagna, Francia e Germania. Solo nel settore della manifattura, l’Italia ha ridotto il costo del lavoro del 2,2%”, ha osservato Francesca Coin, ricercatrice in Sociologia all’Università Ca’ Foscari di Venezia, intervenendo al convegno Dove va il lavoro?, organizzato dalla Fondazione Aurora a Milano. Il recupero di competitività, insomma, è passato da tagli ai costi del lavoro, garantiti dall’evoluzione tecnologica che ha sostituito la manodopera.
Per Andrea Fumagalli, economista, professore universitario a Bologna e Pavia ed esperto di precariato, “ci stiamo avvicinando alla definizione di un nuovo paradigma tecnologico, che supera quello dell’ICT degli anni Ottanta. La disoccupazione tecnologica non inciderà sui settori tradizionali, ma sul polmone dei servizi: magazzinaggio, trasporto, distribuzione”. Per il docente, “la gig economy ti dà da campare, ma non c’è realizzazione individuale”.
Il treno dell’innovazione
Alessio Gramolati, responsabile delle politiche industriali della CGIL, ha osservato che “l’Italia ha già perso il 30% della capacità produttiva e c’è un altro pezzo a rischio, perché non ha fatto i conti con l’innovazione e non se n’è dotato”. Per il sindacalista, la rivoluzione digitale è un treno che l’Italia non può perdere. Pena rimanere al palo e finire in una retrocessione economica irreversibile. “La rivoluzione digitale segnerà il nostro futuro più delle altre rivoluzioni industriali”, ha osservato. D’altronde, con i salari delle economie emergenti che crescono a vista d’occhio e le tecnologie informatiche divise tra la primazia della Silicon Valley nei software e il business dell’hardware a Oriente, l’Europa assume i contorni di “un non luogo”.
La questione, per Gramolati, è formare i lavoratori. “L’Ocse ritiene che le persone affette da analfabetismo digitale in Italia siano il 70%”. In un mondo che va verso il digitale sempre più spinto, l’Italia rischia di farsi trovare impreparata. “La Germania, insieme al piano industria 4.0, ha stilato un libro bianco sul lavoro 4.0”, l’affondo del sindacalista.
I sindacati in campo, CGIL in testa
La questione industria 4.0 è scoppiata in mano ai sindacati italiani, non sempre avvertiti sui temi del digitale. Ora la CGIL sta cercando di recuperare il tempo perduto con una piattaforma online, Idea diffusa, uno spazio di confronto per “giocare un ruolo attivo in questa fase di cambiamento, per riuscire a governarlo. L’innovazione tecnologica, infatti, se non viene adeguatamente gestita, può produrre nuove forme di sfruttamento e meno tutele per i lavoratori”.
La piattaforma sarà un luogo di confronto tra i componenti della Consulta industriale del sindacato, ma produrrà anche informazione verso gli utenti esterni e i lavoratori sui temi dell’innovazione. Idea diffusa fa parte del progetto lavoro 4.0 della CGIL, con cui il sindacato vuole tracciare le prospettive di impiego di alcuni settori da qui al 2030: industria, logistica, formazione, servizi pubblici e finanza. Da questa analisi la CGIL trarrà le conclusioni per formulare la sua proposta sul lavoro 4.0 in termini di orari, ammortizzatori sociali, welfare, istruzione, formazione, rappresentazione sindacale e squilibri tra uomo e macchina.