Sostenibilità, integrazione, credibilità e attenzione alle persone: sono questi i trend che trasformeranno il settore dei servizi professionali e personali. A suggerirlo sono i risultati dall’indagine “IDC Consumers, Users and Citizens Survey 2021” commissionata da SAP e condotta da IDC Italia, presentati nel corso del secondo appuntamento di “Digital Leaders on the Rise”, il ciclo di incontri dedicato alle sfide sollevate dalla trasformazione digitale.
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Dal prodotto al servizio: come sta cambiando l’interesse dei consumatori
Trasformazione che ha spostato l’attenzione delle aziende e dei consumatori dal prodotto fisico al servizio, anche sotto la spinta della pandemia che ha rivoluzionato stili di vita, priorità ed esigenze. Cambiamenti che le aziende che si trovavano avanti nel loro percorso di trasformazione digitale hanno saputo cogliere al meglio, grazie anche alla disponibilità sempre maggiore di dati e delle tecnologie necessarie per ricavarne valore aggiunto (dai sensori IoT, all’Edge Computing, agli algoritmi di apprendimento automatico).
“Non stiamo assistendo soltanto all’emergere di nuovi business model incentrati sui servizi, ma è anche il prodotto fisico che viene arricchito con dei servizi, si servitizza”, spiega Bertha Bazzoffia, Financial Manufacturing and Consumer Industries Sales Director SAP.
Ed è ciò che rileva la fotografia realizzata dall’indagine di IDC: una società sempre più interessata a sperimentare servizi integrati (il 33% dei 3.000 intervistati ha indicato che incrementerà l’utilizzo dei servizi integrati), personalizzati e sostenibili. Sostenibilità che guiderà sempre di più le scelte dei consumatori: per il 58% dei consumatori che hanno partecipato all’indagine, è infatti un fattore decisivo per valutare il proprio fornitore di servizi di utility.
Tra i servizi che attirano maggiore interesse da parte dei consumatori vi sono i servizi a tutela della salute e della sicurezza personale (58%), quelli relativi alla qualità del territorio e dell’ambiente (35%), alle pratiche di riuso e smaltimento dei materiali (33%) e i servizi relativi alla mobilità e ai trasporti 26%.
A chi decidono di affidarsi i consumatori nella scelta di questi servizi? L’indagine mostra una situazione eterogenea: i consumatori (soprattutto i più giovani) sono aperti a fidarsi dei nuovi operatori, senza però rinunciare ai fornitori fidati, specialmente in alcune tipologie di servizi, come quelli finanziari.
“Questi aspetti sono importanti per le aziende che operano nei settori dei servizi perché questi profili di utenti più aperti verso i servizi innovativi tendono anche a mostrare correlazioni importanti con altri aspetti della vita personale, ma anche che impattano direttamente sulla catena del valore delle imprese“, spiega Fabio Rizzotto, Direttore della divisione Research and Consulting di IDC Italia.
L’importanza della brand reputation nella catena del valore delle imprese
Una catena nella quale la brand reputation (reputazione aziendale) e la credibilità agli occhi del cliente costituiscono anelli fondamentali, come spiega Paola Cozzi, Responsabile Marketing presso Generali Italia. “L’immagine del brand e la sua credibilità sono due asset fondamentali per le imprese e dipendono dalla loro capacità di intercettare i bisogni dei consumatori e soddisfarli”.
Un ascolto attivo, che non finisce nel momento in cui il prodotto è immesso sul mercato: in uno scenario dove le catene di fornitura saranno sempre più connesse, le aziende avranno accesso a un numero di informazioni relative ai feedback del cliente sempre maggiore.
“Informazioni che devono guidare le aziende nel prendere scelte coraggiose – spiega Luca Rainero, Head of Business Marketing & Supply Market Italy Enel – la credibilità si costruisce anche rimodellando le soluzioni sui feedback forniti dai clienti. Dobbiamo avere il coraggio di ritirare dal mercato quei prodotti che non servono ai nostri clienti”.
Dall’employee experience all’employee caring: la persona al centro dell’azienda
L’ascolto diventa, quindi, un elemento importante per la catena del valore delle aziende. Un elemento che guida il cambiamento non solo delle modalità di concepire e progettare i servizi, ma anche del modo in cui l’organizzazione funziona.
Un cambiamento che riguarda sia il fronte esterno dell’azienda, quindi tutto quello che è inerente alla customer experience, ma anche il fronte interno e quindi l’employee experience.
Parlando di quest’ultima, la tendenza che è emersa nel corso del dibattito con alcune delle più importanti aziende italiane che operano nel campo dei servizi (come Autostrade per l’Italia, Generali, Intesa San Paolo, Tim e molte altre) è quella di riportare la persona al centro dei processi aziendali.
Persona che non è intesa più nell’accezione di individuo, ma che diventa importante in quanto membro di una comunità. A cambiare deve essere, quindi, tutta l’organizzazione dell’impresa e i paradigmi con i quali ha operato prima dello shock provocato dalla pandemia.
Uno shock che ha cambiato definitivamente il mondo del lavoro, sostiene Marco Gallo, Managing Director di HRC Community. “Sento già alcune aziende ragionare su quanti giorni di smart working a settimana concederanno ai propri dipendenti. Quello che molte aziende non hanno capito è che il paradigma del lavoro è cambiato, l’importanza si è spostata su un modello di lavoro ad obiettivi, dove è il dipendente che dovrà dire all’azienda quale combinazione di lavoro da remoto e in presenza è più efficiente per il raggiungimento dei propri obiettivi”, spiega.
Per poter passare a questo nuovo paradigma c’è bisogno degli strumenti adeguati (quindi le giuste tecnologie) di metodologie di progettazione diverse, ma soprattutto di una nuova leadership. Una “leadership gentile”, in grado di delegare, attenta ai bisogni dei propri dipendenti e in grado di ascoltarli.
Una leadership formata da leader che forniscono feedback continui al lavoratore (basati anche sui dati delle performance, grazie alle tecnologie digitali) e non più una tantum come avveniva nella consueta review annuale, ma in un’ottica di formazione continua. E così si passa dall’employee experience all’employee caring (letteralmente, prendersi cura degli impiegati).
Ma i leader sono pronti a questo cambiamento? Non ancora, spiega Antonio Di Micco, Head of Organization and Development per Autostrade per l’Italia. “Uno dei temi chiave che dobbiamo affrontare è proprio questo: siamo in grado di lavorare sul ‘modello delega’? Possiamo rendere l’organizzazione davvero flessibile”, commenta. La formazione gioca un ruolo cruciale in questo ambito, anche alla luce dell’accelerazione della trasformazione digitale, che richiede ai lavoratori, ma anche ai leader, di tenersi sempre aggiornati sulle tecnologie e le innovazioni che modellano i processi produttivi.
In questo ambito la tecnologia gioca un duplice ruolo: di spinta al cambiamento e di strumento che rende le aziende e i lavoratori in grado di affrontarlo. Accanto all’ufficio fisico, il workplace digitale diventa lo strumento che agisce da collante per i dipendenti, mantenendoli focalizzati sugli obiettivi del business, ma anche per l’azienda, che può servirsene per offrire tutti i benefit di employee caring.
Una soluzione già adottata da Intesa San Paolo, come spiega Cristiano Chiadò Piat, Head of Employee Experience, Data and Solutions. “Abbiamo scelto di servirci di una piattaforma per offrire servizi alla persona a 360 gradi, che è uno spazio dedicato alla formazione e al feedback continui, a una palestra digitale, a servizi virtuali di palestra e di coach alimentari e molto altro”, spiega.
Le sfide che attendono i digital leader
Quali sono le sfide con cui dovranno confrontarsi le aziende in questo complesso processo di cambiamento? Uno dei rischi che la pandemia ha sollevato è quello dell’omologazione: molte aziende hanno infatti iniziato o accelerato il processo di digital transformation come risposta all’emergenza.
“Durante la pandemia le aziende hanno imparato a reagire al cambiamento, ma se tutte le aziende vivessero di reazione e ragionassero allo stesso modo, si porrebbe il problema della competitività dell’azienda stessa. Cosa la renderebbe più attrattiva di un’altra agli occhi dei talenti? E cosa dissuaderebbe un dipendente ad abbandonarla?”, aggiunge Marco Gallo.
La soluzione, spiega, è quella di affrontare il futuro con uno sguardo alle origini: alla mission dell’azienda, al suo scopo originario e in base a quello sviluppare le strategie future.
Non più un approccio reattivo ed emergenziale, dunque, ma un approccio strategico, che tenga conto della brand reputation, dei trend di cambiamento del mercato e dei bisogni dei consumatori, intesi sia come risposta ai valori che per loro sono importanti (come la sostenibilità), sia alle loro esigenze (come prodotti e servizi sempre più personalizzati).
Cruciale, per questa strategia, è il ruolo del procurement: l’azienda deve dotarsi di quegli asset strategici di cui necessita per rispondere alle esigenze dei consumatori, per efficientare il processo produttivo, ridurre i costi e il time to market dei prodotti e dei servizi.
Per seguire questa direzione occorrerà anche creare un nuovo rapporto di fiducia con il consumatore: persiste, infatti, una certa diffidenza da parte dei consumatori nel condividere i propri dati con i fornitori di servizi. Ma in una catena di fornitura connessa i dati devono poter fluire in entrambe le direzioni, dal fornitore al consumatore e viceversa.
Una diffidenza che si può sconfiggere con la trasparenza, spiega Rainero. “Soltanto se i clienti ci percepiscono come azienda autentica, allora abbasseranno la maschera e supereranno queste titubanze”, conclude.