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EY – Ipsos: italiani più fiduciosi sulla digital transformation e sulle imprese

Da Donato Iacovone e Nando Pagnoncelli le anticipazioni della ricerca sul rapporto tra cittadini e imprese nei confronti della trasformazione digitale che sarà discussa al prossimo Digital Summit di Capri. Dalla survey esce il riitratto di una Italia più attenta all’innovazione, con una fiducia crescente nelle imprese, ma con un forte gap con l’Europa

Pubblicato il 12 Set 2018

Donato Iacovone e Nando Pagnoncelli


Per attuare una vera trasformazione digitale servono primariamente fiducia e cultura. A tutti i livelli: dai cittadini alle imprese, perché la diffusione di sensibilità, conoscenze, competenze (e dunque cultura) genera attenzione, partecipazione, collaborazione (e dunque fiducia), che permettono alle persone di investire in conoscenza e alle imprese di investire in sviluppo.

Tastare il polso al “paese” per capire a che punto siamo in termini di propensione o paura nei confronti della trasformazione digitale è fondamentale per capire che atteggiamento avranno consumatori e imprese. Oggi possiamo dire, grazie alla ricerca di EY – Ipsos che il “il polso dell’Italia” batte con il ritmo degli “ottimisti”. E lo dice in particolare Nando Pagnoncelli, presidente di Ipsos Italia presentando, insieme a Donato iacovone, AD di EY in Italia e Managing Partner dell’Area Mediterranea, le anticipazioni dell’indagine condotta sul rapporto con la trasformazione digitale che verrà presentata e discussa in versione integrale in occasione dell’EY Capri Digital Summit dal 3 al 5 ottobre .

Donato iacovone, AD di EY in Italia e Managing Partner dell’Area Mediterranea

Da Pagnoncelli arriva un messaggio di ottimismo. “Migliora la propensione e l’atteggiamento dei cittadini e delle imprese verso il digitale. Gli italiani sono più ottimisti, con un 38% della popolazione fiduciosa che supera tutti coloro (a quota 36%) che al contrario temono il peggio e che nel passato stavano in “maggioranza”. E’ una bella base per per creare un clima di fiducia, ma da sola non basta. In effetti Pagnoncelli rileva che la fiducia dei consumatori resta stabile sul dato registrato nella prima parte dell’anno. E comunque anche questa stabilità non è certo una cattiva notizia. Soprattutto se fa la si legge in relazione al sentiment della popolazione verso le imprese.

Diminuiscono i dubbi e aumenta la fiducia. Dalla ricerca EY – Ipsos – Fonte: banca dati Ipsos 2018 (popolazione italiana)

Fiducia nelle imprese e nelle PMI in particolare

Un dato che porta una sorpresa (bella) fatta di italiani che mentre guardano con dubbi e perplessità al mondo delle istituzioni (e, aggiungiamo noi, della politica) posa lo sguardo con molta più fiducia verso le imprese e per la precisione, come evidenzia Pagnoncelli, in modo particolare verso le PMI. E’ un trend, nota ancora Pagnoncelli che arriva da lontano, che ha portato il tasso di fiducia verso le PMI al 72% staccando il “trust” verso le grandi imprese che pure a sua volta mostra una crescita invidiabile, passando dal 48% del maggio 2018 all’attuale 55%.

Italiani, giudici severi nei confronti degli… italiani

Nando Pagnoncelli, presidente di Ipsos Italia

Inutile dire che possiamo fare di più, certamente è così, ma dire che dobbiamo aumentare la nostra considerazione come italiani non è così scontato. Pagnoncelli osserva che l’immagine del nostro paese è migliore all’estero di quanto non sia nella penisola. I cittadini di altri paesi sanno apprezzare i nostri pregi più di quanto non sappiamo fare noi. Stiamo pagando il prezzo di uno storytelling negativo del nostro paese dal quale non sappiamo liberarci e che ci accompagna da lungo tempo. Per fortuna al di là delle Alpi non è questo l’atteggiamento dominante, al contrario, ma la propensione italiana a portare l’attenzione su difetti e criticità lascia il segno anche nel fatto che il clima economico, frutto comunque di sforzi importanti, non ha quell’effetto di trascinamento nella fiducia dei consumatori che aiuterebbe a “correre di più e meglio“.

Il clima economico che supera la fiducia dei consumatori non riesce a trascinare il clima personale. Fonte Istat

Come e quando si utilizza la rete internet

Che dire del fatto che due terzi della popolazione nel 2017 hanno utilizzato la rete e che il 50% la utilizza quotidianamente? Bene, possiamo osservare, ma è ancora poco per una trasformazione digitale veramente vera e comunque, come appare dalla ricerca, è un percorso di digitalizzazione che perde per strada un 30% circa delle famiglie che risulta ancora privo di connessione web.

In ogni caso aumenta la relazione tra rete e eCommerce e crescono infatti gli acquisti online, con la metà della popolazione che compra prodotti e servizi in rete.

Per Donato Iacovone siamo davanti a sfide strategiche per la crescita del paese sulle quali costruire una vera trasformazione digitale. Lo sguardo e l’attenzione devono essere orientati verso innovazioni infrastrutturali, di sistema, su tecnologie che possano incidere sui valori dell’economia digitale, che rappresentino la base per le imprese per accedere a risorse alimentate con un cultura del digitale. Per sostenere nel tempo progetti basati su blockchain, Intelligenza Artificiale, Internet of Things, Big Data servono strutture fatte di persone con forti competenze e che siano in grado di valorizzare queste opportunità in tutte le dimensioni delle imprese.

E questo è uno dei punti chiave di questo passaggio. E’ infatti indispensabile anche fare uno sforzo culturale e formativo, destinato soprattutto alle aziende di piccole e medie dimensioni, per facilitare e accelerare l’ingresso nelle strutture produttive di servizi del mondo digitale.

Al lavoro per colmare il gap con l’Europa

Gli italiani sono si più digitali e hanno più fiducia, ma l’Europa corre con un altro passo e rischiamo di allontanarci. Donato Iacovone sottolinea i benefici e i vantaggi di iniziative come il Piano Industria 4.0 ma nello stesso tempo rileva che ha portato benefici più a livello di “agiornamento” del parco macchine che nei processi. Una innovazione, senza dubbio positiva, ma che per incidere veramente a livello di digital transformation ha bisogno di soluzioni, applicazioni e soprattutto di tante nuove competenze. E il tema degli skill è un po’ il comun denominatore dei ragionamenti che portano a inquadrare la percezione di ottimismo in uno scenario di possibili azioni e di sviluppo. Perché questo ottimismo è figlio anche degli investimenti delle imprese che negli ultimi tre anni hanno aumentato gli investimenti nel digitale ad esempio puntando su soluzioni web e mobile (al 28%) e cercando di affrontare la Cybersecurity con una quota del 45%. Ma la ricerca mostra anche che questi sforzi per quanto importanti si calano su un realtà con un tasso di digitalizzazione ancora troppo basso (a livelli dell’89%) per la stragrande maggioranza delle piccole imprese. La situazione migliora con l’aumento delle dimensioni delle imprese che nel 48% riesce nello sforzo di collocarsi all’interno delle fasce di digitalizzazione alta e molto alta.

Se si cercano le ragioni del divario con l’Europa si scopre che non è un problema di tecnologia quello che ci rallenta. Le nostre infrastrutture si “avvicinano” a quelle europee in particolare se si guarda al tema delle reti. Nello specifico il volume degli investimenti ICT cresce a un ritmo superiore rispetto alle risorse indirizzate all’industria a differenza della media europea dove ICT e industria viaggiano a braccetto.

L’Italia resta lontana dalla media europea. Fonte Eurostat

Digitalizzazione come effetto positivo

Dalla ricerca arriva anche un messaggio chiaro indirizzato a chi adombrava un “rischio-lavoro” associato alla digitalizzazione, ovvero nella diffusione di una percezione che i fenomeni del digitale, come ad esempio robotica e intelligenza artificiale, possano portare a una riduzione dei posti di lavoro. Il dibattito resta aperto, tuttavia Pagnoncelli porta l’attenzione sulla parte della ricerca dalla quale emerge che il 78% dei cittadini interpreta la digitalizzazione come un effetto comunque positivo anche per quanto riguarda la possibilità di migliorare, genericamente, il mondo del lavoro. Nello stesso tempo, anche chi mette in relazione il digitale con la propria attività professionale, ovvero il 72% di coloro che esprimono questa opinione in qualità di “lavoratori”, vede prevalentemente effetti positivi.

Il tema del gap con l’Europa non è il solo dato rilevante dal punto di vista “geografico”, all’interno dei confini del nostro paese la digitalizzazione non si muove con lo stesso passo, prendendo come KPI lo sviluppo di progetti di digital transformation il Nord Est, la Lombardia e l’Emilia Romagna crescono del 42%, ma la media scende al 38% nel resto del paese.

La trasformazione nelle professioni

La trasformazione digitale non si esaurisce nella digitalizzazione di fabbriche e uffici. Fenomeni come Intelligenza artificiale e blockchain, solo per citarne due dei motori di questa trasformazione, avvengono solo si creano le condizioni perché ci siano soggetti con skill adeguati in grado, come abbiamo visto, di realizzare e portare queste soluzioni nei processi aziendali. E’ in corso uno skill shift che ha bisogno di essere alimentato con l’arrivo di nuove figure sostenute da forti competenze. E non è solo una questione di tecnologia, anzi, si vede crescere e si fa sentire anche la necessità di portare in azienda figure con competenze più legate alla dimensione sociale e relazionale.

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Mauro Bellini

Ha seguito la ideazione e il lancio di ESG360 e Agrifood.Tech di cui è attualmente Direttore Responsabile. Si occupa di innovazione digitale, di sostenibilità, ESG e agrifood e dei temi legati alla trasformazione industriale, energetica e sociale.

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