Le situazioni contingenti e le prospettive che riguardano Italia, Brexit e Cina sono, secondo il Fondo Monetario Internazionale (Fmi), tra i principali fattori di incertezza e rischio per l’andamento economico a livello internazionale e globale.
L’allarme del Fmi è contenuto nel World Economic Outlook, il suo bollettino trimestrale sullo scenario mondiale, il cui ultimo aggiornamento è stato presentato oggi a Davos, come sorta di introduzione e prologo del consueto appuntamento con il World Economic Forum, l’evento che chiama a raccolta il Gotha politico ed economico del mondo, che si apre domani nella località svizzera e prosegue fino a venerdì prossimo.
Quattro giorni di convegni, Summit e relazioni, per un appuntamento che come di consueto vedrà anche la presenza di diversi rappresentanti della finanza e impresa italiani, da Claudio Descalzi ed Emma Marcegaglia (Eni) a Francesco Starace (Enel), da Carlo Messina, Ceo di Intesa Sanpaolo, ad Alberto Nagel (Mediobanca) e Massimo Tononi (Cdp), dai vertici di Generali a Carlo Cimbri di Unipol.
Con la partecipazione, nei prossimi giorni, insieme a numerosi altri politici e Leader dei diversi Paesi, anche del Presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, e dei ministri degli Esteri, Enzo Moavero Milanesi, e dell’Economia, Giovanni Tria, che interverrà durante una sessione dedicata alle “prospettive economiche strategiche” europee.
Indice degli argomenti
Per l’Italia Davos parte in salita
Per l’Italia un inizio non dei migliori, e in salita, visto il giudizio espresso del Fondo Monetario Internazionale, che taglia allo 0,6%, dall’1% dell’ultimo Outlook dello scorso ottobre, la previsione di crescita per il Belpaese nel 2019, mantenendola allo 0,9% per il 2020. Non solo. L’intreccio tra rischi sovrani e rischi finanziari in Italia, “rimane una minaccia”, sottolineano gli analisti del Fmi, guidato da Christine Lagarde, mentre gli Spread italiani sono scesi dal picco di ottobre-novembre ma restano alti. Un periodo prolungato di rendimenti elevati metterebbe sotto ulteriore pressione le banche italiane, peserebbe sull’attività economica e peggiorerebbe la dinamica del debito, che è il grande fardello (circa 2.200 miliardi di euro di debito pubblico) dell’economia Made in Italy.
E, insieme alla Germania, l’Italia è individuata come uno dei fattori la cui frenata a fine 2018 ha fatto rivedere in peggio le stime di crescita per l’Eurozona, e comportato un calo dell’euro del 2% fra ottobre e gennaio.
Brexit e altre incertezze all’orizzonte
La “mano pesante” del Fondo Monetario Internazionale si fa sentire anche per quanto riguarda la Brexit, e il rischio sempre più concreto di un’uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea senza un accordo tra le parti: “è fondamentale risolvere immediatamente lo stallo in corso, se non si vuole continuare a creare incertezze che pesano sulla crescita internazionale”.
Il quadro delineato dall’aggiornamento del World Economic Outlook del Fmi continua poi prevedendo meno crescita per l’economia globale nel 2019 e 2020, e con più incognite da fronteggiare, tra cui una possibile Escalation nello scontro Cina-Usa sui dazi e un “atterraggio duro” dell’economia cinese, che ha rallentato in maniera significativa. Le nuove stime del Fmi prevedono una crescita globale del 3,7% nel 2018, come tre mesi fa, ma peggiorano il 2019 (3,5% da 3,7%) e il 2020 (3,6% da 3,7%).
Cooperazione per evitare nuove crisi
L’economia globale deve mettere in conto “rischi più alti rispetto al periodo precedente, alcuni dovuti alle politiche intraprese dai governi di alcuni Paesi”, sottolinea il direttore generale del Fmi, Christine Lagarde, che fa notare: “significa che una recessione globale è dietro l’angolo? No”. Ma Lagarde sprona a “risolvere con la cooperazione, e velocemente, le dispute commerciali”, e invita le autorità, tra cui le Banche Centrali, a “tenersi pronte se rischi dovessero materializzarsi”. E sottolinea: “Bisogna agire con inclusione e solidarietà. Perché, in questo scenario di globalizzazione, fare solidarietà significa anche fare i propri interessi”.
La Cina, dal canto suo, ha fatto registrare un Pil del 2018 ai minimi dal 1990: pesa la guerra dei dazi con gli Usa. Nell’ultimo trimestre del 2018 l’economia cinese è cresciuta del 6,4%, il passo più lento dal 2009, epoca di grande crisi globale. Per l’intero anno va in archivio un più 6,6%, non si viaggiava a marce così basse addirittura dal 1990. Ma se la locomotiva cinese rallenta, confermando la sua transizione verso una “nuova normalità”, per il momento non deraglia. Alcuni analisti temevano un responso peggiore, vista la lunga serie di indicazioni negative che nelle scorse settimane erano arrivate da consumi, vendite di auto o iPhone, immobiliare, commercio con l’estero.
Nel frattempo l’economia cinese rimarrà fragile e esposta agli shock esterni, a cominciare dalle bordate di una eventuale guerra tariffaria. Per questo Pechino ha bisogno di trovare un accordo, almeno temporaneo, con gli Stati Uniti, prima della scadenza della tregua sui dazi fissata al prossimo primo marzo.