Il mercato italiano dei droni – includendo tutte le sue tre dimensioni, cioè il comparto militare, quello civile professionale e quello consumer – ha sviluppato nel 2018 un valore di circa 100 milioni di euro. Protagonista assoluto è il settore militare, che copre più della metà del valore generato. La metà dei progetti civili censiti sono ancora in fase di sperimentazione, anche se gli utilizzi iniziano a interessare tanti settori differenti, dalle utility alla logistica, dall’agricoltura alla sanità. Sono i dati resi noti dall’Osservatorio Droni della School of Management del Politecnico di Milano.
Le aziende italiane che compongono il mercato professionale dei droni, includendo sia produttori di beni sia fornitori di servizi, sono circa 700. Il 55% ha sede nel Nord Italia, innanzitutto in Lombardia. E il 93% del totale è composto da aziende di piccola o piccolissima dimensione, di cui il 77% ha meno di 10 dipendenti.
Mentre secondo Goldman Sachs il mercato mondiale dei droni tra il 2016 e il 2020 ha fatturato circa 100 miliardi di dollari, di cui 70 sono rappresentati dal mercato militare, 17 da quello Consumer e i restanti 13 dal mercato professionale.
Dalla consegna a domicilio alle ispezioni in ambito industriale, dal soccorso al trasporto di persone, sono stati censiti 258 progetti di applicazione industriale di droni a livello mondiale nel 2019, di cui solo il 19% in fase operativa, mentre il 50% sono sperimentazioni.
Gli esperti del settore fanno notare che il mercato dei multirotori classici (così gli addetti ai lavori chiamano i droni di prima generazione) è “pressoché saturo, e caratterizzato da diversi limiti tecnologici a livello di durata delle batterie e raggio d’azione. Si stanno però sviluppando configurazioni alternative, caratterizzate da prestazioni interessanti”, come i droni che decollano e atterrano in verticale come un elicottero, ma volano come un aereo, e altri in grado di cambiare assetto e propulsione.
Allo stesso tempo, in questo scenario, due aziende su tre valutano il settore come in forte crescita entro i prossimi 3 anni, anche se circa il 20% di queste imprese pensa che il mercato resterà comunque di nicchia.
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Aeromobili a pilotaggio remoto
Anche la regolamentazione del settore è in fase di cambiamento, con tante novità che riguarderanno l’operatività di tutti i Paesi europei. A fine 2013 è stata rilasciata dall’Ente Nazionale per l’Aviazione Civile (Enac) la prima regolamentazione per operatori professionali, che ha spinto diversi imprenditori – attratti dalle potenzialità che la tecnologia può avere non solo in ambito ricreativo, ma anche e soprattutto in ambito industriale – a investire nel settore.
Le macchine che comunemente chiamiamo ‘droni’ andrebbero in realtà indicate come Unmanned aerial vehicles (Uav) o Aeromobili a pilotaggio remoto (Apr). E più in generale, per indicare l’insieme dei sistemi associati all’applicazione di Uav/Apr si usano i termini Unmanned aerial systems (Uas) o Sistemi aeromobili a pilotaggio remoto (Sapr) che indicano l’insieme di piattaforma, stazione di terra, pilota e sistema di gestione dei dati. Circa 650 aziende hanno chiesto un’autorizzazione all’Enac per svolgere attività con i droni sul territorio italiano da gennaio 2016 a fine 2019. I settori più rappresentati sono Media (19% delle registrazioni) e grandi opere (13%).
Un mercato in evoluzione
Si possono distinguere due tipi di realtà e attività: grandi aziende, con un fatturato superiore ai 50 milioni di euro, che possiedono diversi droni, formano personale interno e si occupano prevalentemente di svolgere rilievi, mappature, ispezioni e monitoraggio in ambito Utility o grandi opere. E, oppure, aziende più piccole (anche individuali) che possiedono tendenzialmente un solo drone con cui realizzano foto e video a scopi promozionali.
Secondo le analisi del settore realizzate dall’Osservatorio della School of Management del Politecnico di Milano, oltre la metà delle imprese della filiera (55%) risiede nel Nord Italia, e in particolare nel Nord-Ovest (32%), con la Lombardia che fa da padrona (il 20% delle aziende censite ha sede in questa regione), seguita da Lazio (12%) ed Emilia-Romagna (9%). Nel Lazio e in Emilia-Romagna stanno proliferando centri di addestramento per operatori e zone di volo dedicate alle attività di testing e sperimentazione, che incentivano la nascita di nuove di imprese.
In Italia, l’86% delle aziende della filiera è un operatore: questo ruolo è quello più facilmente accessibile nel mercato, in quanto non richiede forte competenza tecnica o ingenti investimenti, necessari invece per tutte le tipologie di produttori. Gli operatori sono in genere piccole aziende (il 94% di essi ha meno di 50 dipendenti), che si occupano prevalentemente di riprese aeree (64% degli operatori).
Il 5% delle imprese della filiera è rappresentato invece da produttori di piattaforma tecnologica: questi, escludendo i grandi colossi che operano a livello internazionale e realizzano macchine anche di grandi dimensioni e con configurazioni alternative, sono principalmente specializzati sulla realizzazione di multirotori, in particolare quadricotteri (per l’89% dei produttori), Seguono i produttori di software, che rappresentano il 4% delle imprese della filiera.
“Siamo in una fase di forte discontinuità”, rimarca Laurent Sissmann, senior vice president Unmanned systems di Leonardo. Che spiega: “Da un lato, il settore civile sta entrando nelle fasi più calde della sua crescita, con tecnologia e struttura industriale che stanno evolvendo rapidamente. Dall’altro, il mercato dell’hardware è dominato da produttori stranieri e il mercato delle applicazioni più tradizionali si sta avviando a saturazione. È quindi più che mai importante investire in ricerca e sviluppo, per non farsi trovare impreparati di fronte alle nuove sfide tecnologiche e applicative che aspettano il settore nei prossimi anni”.
Investimenti e ricerca non decollano
Investire in attività di Ricerca e Sviluppo (R&S) è fondamentale in ogni settore industriale per garantire la sostenibilità di lungo periodo e cogliere le opportunità offerte dallo sviluppo delle tecnologie digitali. Ma attualmente nella filiera dei droni gli investimenti dedicati sono ancora limitati: il 23% delle aziende non investe in R&S, il 38% investe nel settore meno del 20% della propria quota di R&S e il 14% investe meno del 40%. È evidente come queste imprese stiano finanziando le attività e le spese correnti, ma non il proprio sviluppo futuro.
Tutti coloro che investono una quota della propria spesa in R&S nel settore dei droni utilizzano del tutto o in parte risorse proprie e nell’88% dei casi svolgono le attività di R&S solo internamente.
Occorre più Open innovation
“Questo non è un aspetto positivo”, osserva Stefano Giovannini, project manager del progetto Diode presso l’Enav, “in quanto da un lato riduce drasticamente il budget destinabile agli investimenti, che potrebbe invece essere molto più cospicuo se queste imprese si aprissero al mercato, e dall’altro limita la capacità innovativa delle imprese, che sarebbe molto maggiore se lavorassero in ottica di Open innovation”, e si affidassero a Università e centri di ricerca (a cui attualmente si appoggia solo il 27% delle aziende).
“Quello dei droni professionali in Italia è un settore nascente con un mercato ancora piccolo, ma con un grande potenziale”, sottolinea Paola Olivares, project manager dell’Osservatorio Droni: “nella filiera italiana, però, è da sottolineare come ben il 23% delle aziende dell’offerta non investa in ricerca e sviluppo, che rappresenta un elemento fondamentale per garantire la sostenibilità di lungo periodo e cogliere tutte le opportunità offerte dallo sviluppo delle tecnologie digitali”.