Nella gara per la competitività sui mercati internazionali le aziende italiane restano frenate da diversi ostacoli, molti dei quali di natura strutturale. In particolare, uno dei principali punti deboli, una vera e propria zavorra alle velleità di crescita della manifattura italiana, resta la bassa produttività del lavoro che, tra il 2000 e il 2016, è aumentata dello 0,4% in Italia. In pratica la produttività è rimasta ferma, mentre è balzata in avanti di oltre il 15% in Francia, Regno Unito e Spagna, e del 18% in Germania. Un divario enorme che pesa come un macigno sulla nostra manifattura, come evidenziano le 102 pagine della settima edizione del Rapporto sulla competitività dei settori produttivi, realizzato dall’Istat, che fornisce un quadro dettagliato sulla struttura, la performance e la dinamica del sistema produttivo italiano, in un quadro per settori di attività.
I settori economici e produttivi italiani più competitivi a livello internazionale restano quelli di farmaceutica, apparecchiature elettriche, macchinari e bevande. Mentre per le attività con una debole dinamica di performance, vale a dire quasi tutti i principali settori del Made in Italy, come alimentare, tessile, abbigliamento, prodotti in metallo, mobili, la competitività rimane debole.
In media, e a livello di scenario, tra le aziende italiane il fatturato continua a crescere: nel 2018 il giro d’affari manifatturiero è aumentato del 3,2% in dodici mesi, ma in frenata rispetto al risultato del 2017, quando il miglioramento sull’anno precedente era stato del +5%.
E rallenta anche il valore dell’Export, innanzitutto sui mercati extra-Ue, mentre incombe un’incertezza diffusa su prospettive e andamenti delle attività per il prossimo futuro. Insomma, tanto per cambiare, se non si naviga a vista, poco ci manca.
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Settori che avanzano a buon ritmo, altri frenano
All’incremento del fatturato manifatturiero nel 2018 hanno contribuito sia la componente esportata sia quella interna, e quasi tutte le attività del comparto, a eccezione degli autoveicoli e degli altri mezzi di trasporto, che hanno subito riduzioni dei ricavi soprattutto sul mercato interno.
Per i prodotti petroliferi, le riparazioni e manutenzioni di macchinari e la metallurgia, la crescita del fatturato è stata in media di oltre il 5%, guidata da entrambe le componenti di domanda. Mentre per bevande, abbigliamento, articoli in pelle, alimentari, il fattore trainante è stato la sola domanda estera.
“La rete di relazioni del sistema produttivo italiano non favorisce una trasmissione rapida e intensa della crescita internazionale, e dunque l’aggancio al ciclo economico di Paesi in espansione, di Spillover tecnologici o di aumenti di produttività. Solo le relazioni con la Germania sembrano garantire un’efficiente trasmissione di Shock tra i due Paesi. L’assenza di elevata connettività dei settori meno centrali negli scambi internazionali riduce inoltre la possibilità per l’Italia di beneficiare di Shock positivi provenienti da Cina e Stati Uniti”, rileva l’analisi di scenario sulla competitività realizzata dall’Istat.
La reattività delle imprese italiane
Una stima sulla reattività delle imprese italiane al ciclo economico dei principali 10 Paesi partner industriali e commerciali evidenzia che, negli anni della recessione e della successiva ripresa (tra 2010 e 2016), le nostre imprese avrebbero tratto maggiore beneficio da un aumento del tasso di crescita degli Stati Uniti, oltre che di Regno Unito e Francia. Gli effetti di eventuali accelerazioni della crescita di Germania, Spagna e Belgio sarebbero stati invece limitati.
Questi risultati appaiono legati alla volatilità dei cicli economici dei diversi Paesi: negli anni della recessione e della successiva ripresa, le nostre imprese avrebbero tratto più beneficio dal legame con Paesi che, nello stesso periodo, hanno sperimentato una crescita non necessariamente vigorosa, ma più stabile.
Venendo ai risultati del 2018, la crescita complessiva dell’economia italiana è rallentata, con un +0,9% del Prodotto interno lordo dal +1,6% del 2017. Il divario nei confronti dell’area euro, cresciuta in media dell’1,8%, è tornato così ad ampliarsi dopo essersi ridotto nel biennio precedente.
“La debolezza della crescita dell’Italia rispetto a quella delle altre grandi economie dell’area euro non sembra essere originata tanto dal lato del costo del lavoro che, nel terzo trimestre 2018, è aumentato del 2,4% su base annua, compensando parzialmente la dinamica molto moderata registrata dal 2014. Nel 2017 e nel 2018 i prezzi alla produzione sono tornati a crescere, ma l’aumento è stato meno ampio che in Germania, e a ritmi simili a quelli spagnoli”, rimarca l’Istituto italiano di statistica.
Slanci e ostacoli per il manifatturiero
A giudizio degli imprenditori, nel corso del 2018 la domanda è stata l’elemento più rilevante a sostegno del fatturato manifatturiero, soprattutto per macchinari, farmaceutica e apparecchi elettrici. “Tuttavia, tra i settori che segnalano difficoltà, come quelli di abbigliamento, articoli in pelle, automobili, autoveicoli e altri mezzi di trasporto, ci sono attività che hanno ruoli centrali nella rete di relazioni commerciali con l’estero e nella trasmissione di Shock al sistema produttivo italiano”, fanno notare le analisi dell’Istat.
Che sottolineano: “i settori più avanzati, e produttivi, dell’industria e dei servizi ricoprono un ruolo di centralità sia nelle relazioni con l’estero sia in quelle interne, soprattutto nel caso delle esportazioni verso Germania e Stati Uniti. La manifattura a medio-alta tecnologia è molto connessa con tutti i comparti esteri, incluso il terziario avanzato, quella a medio-bassa tecnologia ha invece una minore capacità di trasmissione con i settori esteri a crescita sostenuta”.
Le esportazioni non trainano più la crescita
Nel 2018 le esportazioni, in valore e in volume, hanno rallentato in tutti i principali Paesi europei, determinando un contributo negativo alla domanda estera netta, con l’unica eccezione rappresentata dalla Francia. L’Export italiano nel 2018 in valore totale ha segnato un rallentamento, che è stato più marcato per gli scambi con i Paesi extra-Ue (+1,7%, dal +8% del 2017) rispetto a quelli con i Paesi dell’Unione europea (+4%, dal +7% dell’anno precedente). Tuttavia, nel complesso, la performance dell’Italia è piuttosto simile a quella dei principali Paesi europei.
“L’Export ha risentito della concorrenza proveniente da imprese estere, che ha inciso molto sul fatturato estero di almeno un terzo delle imprese, mentre poco o nulla hanno influito la concorrenza di altre imprese italiane e ostacoli come i dazi commerciali, introdotti nel 2018, sebbene con rilevanti differenze per settore”, rileva il Rapporto sulla competitività dell’Istat.
Più nel dettaglio, la domanda del mercato e della clientela è indicata come principale elemento di traino per la crescita dell’Export dal 42% delle imprese manifatturiere, sono invece ritenuti irrilevanti i fattori di costo (come cambio, prezzi di materie prime e di beni intermedi), e la disponibilità di risorse finanziarie.
La capacità di intercettare la domanda estera ha portato a fenomeni di diffusa crescita del fatturato estero in comparti, come ad esempio quello dei mezzi di trasporto diversi dalle automobili, nei quali si registrano invece segnali di sofferenza sul mercato interno. In altri settori, come quelle delle bevande, la maggior parte delle imprese ha subito perdite sui mercati internazionali e ha aumentato i ricavi su quello interno.
“Tendenze preoccupanti, in relazione alla recente competitività delle nostre imprese manifatturiere sui mercati internazionali, si segnalano per le apparecchiature elettriche e l’abbigliamento”, rimarca l’Istat. La dinamica degli investimenti fissi lordi in Italia è stata invece più accentuata di quella registrata nelle principali economie dell’area euro, anche se rimane il divario accumulato negli anni precedenti: la crescita degli investimenti fissi lordi italiani (+3,4%), seppure in rallentamento, è stata più ampia di quella registrata in Germania (+2,6%) e Francia (+2,9%), ma inferiore alla dinamica della Spagna (+5,2%).
Le aziende ‘vincenti’ e quelle in difficoltà
Sulla base della combinazione degli andamenti del fatturato sul mercato interno ed estero, le imprese manifatturiere sono state ripartite dal Rapporto Istat in quattro gruppi: ‘Vincenti‘, ovvero le aziende che hanno aumentato nell’ultimo anno sia il fatturato interno sia il fatturato estero; ‘In ripiegamento‘ le imprese che hanno avuto una flessione in entrambi i mercati; ‘Crescenti in Italia‘, quelle che hanno incrementato il fatturato in Italia ma ridotto il fatturato estero; e ‘Crescenti all’estero‘, le imprese che hanno diminuito il fatturato in Italia ma aumentato l’Export.
Le ‘Vincenti‘ rappresentano il 24% del totale, in forte calo dal 34% del 2017. Si tratta di realtà che si caratterizzano per livelli superiori alla media di produttività, intensità di capitale, diversificazione dei prodotti esportati e dei mercati di destinazione. Appartengono soprattutto ai settori dei prodotti petroliferi, della metallurgia, dei mezzi di trasporto, dei mobili e della farmaceutica, ma eccellenze e risultati di spicco sono presenti anche nel tessile e nei macchinari.
Le imprese ‘In ripiegamento‘ sono circa un terzo del totale (32%) e nel 2018 hanno subito perdite in entrambi i mercati. Sono realtà poco esposte sui mercati esteri, a bassa intensità di capitale, presenti soprattutto nei settori dell’abbigliamento, degli autoveicoli e delle apparecchiature elettriche. Il restante 44% del totale comprende invece le aziende che stanno andando meglio sul mercato interno ma arretrano all’estero, e, viceversa, quelle più forti nell’Export e meno sul fronte interno.