Competenze digitali, l’Istat certifica un divario enorme tra PMI e grandi imprese

L’indagine Istat sulle competenze digitali presenti nel nostro Paese fotografa la situazione di ritardo dell’Italia rispetto al resto d’Europa. Per quanto riguarda le imprese, solo il 12,2% delle PMI si serve di esperti ICT interni, mentre la quota sale al 75% nelle grandi imprese. Per quanto riguarda le competenze digitali dei cittadini, l’Italia resta terzultima in Europa, con forti differenze a seconda di età, sesso, professione e titolo di studio.

Pubblicato il 23 Giu 2023

competenze digitali

Le imprese italiane sono indietro rispetto al resto d’Europa per quanto riguarda le competenze digitali e l’impiego di specialisti ICT: nel 2022 la quota di imprese con almeno 10 addetti che ha impiegato specialisti ICT ammontava appena al 13,4% del totale, contro una media europea del 21%. Il divario è particolarmente accentuato rispetto alla Germania (22,2%), alla Francia (17,6%) e alla Spagna (16,3%).

A sottolinearlo è un’indagine Istat, “Cittadini e competenze digitali”, che mette in risalto il divario tra grandi imprese e PMI rispetto alle competenze digitali. Infatti se si considerano le sole imprese con 10-249 addetti (PMI) l’adozione di specialisti scende al 12,2%, mentre nelle grandi imprese sale al 75,0%.

Le PMI italiane del resto sono tra le prime in Europa a esternalizzare la gestione delle funzioni ICT (il 57,2% utilizza solo consulenti esterni).

Come vedremo il quadro relativo alle imprese non è l’unica nota negativa: infatti anche il quadro delineato rispetto alle competenze digitali dei cittadini è desolante, con l’Italia quartultima in Europa.

Limitate le competenze digitali specializzate nelle piccole e medie imprese

Nel 2022, dicevamo, solo il 13,4% delle imprese con almeno 10 addetti impiega esperti ICT, il 4,9% ha provato ad assumere questo tipo di esperti o li ha assunti nell’anno precedente e il 19,3% ha organizzato nell’anno precedente corsi di formazione per sviluppare o aggiornare le competenze ICT dei propri addetti.

L’impiego di specialisti ICT rimane stabile rispetto al 2020, confermandone l’impiego ridotto da parte delle aziende italiane rispetto alla media europea (21%) e in particolare, rispetto a Germania (22,2%), Francia (17,6%) e Spagna (16,3%).

A livello dimensionale si registrano importanti divari tra imprese con 10-249 addetti (PMI) e quelle di maggiore dimensione (con almeno 250 addetti) sia per l’adozione di specialisti (rispettivamente 12,2% e 75,0%) sia per la decisione di investire in formazione ICT nel corso dell’anno precedente (18,4% contro il 65,4%).

Del resto, il 57,2% delle PMI italiane ha dichiarato di utilizzare esclusivamente fornitori esterni all’impresa per la gestione delle funzioni ICT (45,6 la media EU27), contro il 14,2% delle grandi imprese (10,9% EU27).

Come atteso, gli indicatori di adozione di specialisti ICT e di formazione informatica per i propri addetti non sono neutrali rispetto alle attività economiche svolte dalle imprese: le migliori performance vengono registrate dalle imprese appartenenti al settore della domanda di ICT specializzata e strategica: i servizi di telecomunicazione (72,4% nell’impiego di addetti e 60,4% nell’organizzazione di formazione) e l’informatica (65,2% e 56,0%) si distinguono su tutti, seguono le attività di fabbricazione di computer (39,5% e 32,8%) e quelle editoriali (35,3% e 32,8%).

Rientrano tra le attività interessate al coinvolgimento di almeno una impresa su quattro: i servizi postali, la fabbricazione di mezzi di trasporto e di apparecchiature elettriche nella adozione di specialisti ICT e quelle delle attività professionali, della fabbricazione di coke e della fornitura di energia e gestione dei rifiuti per la formazione ICT.

Competenze digitali dei cittadini, Italia terzultima Europa

Il quadro non migliora se si prende in analisi la differenza tra il nostro Paese e il resto dell’Europa per quanto riguarda le competenze digitali dei cittadini.

L’ultimo rapporto Desi (l’indice con cui la Commissione europea misura la digitalizzazione all’interno degli Stati membri) ha infatti posizionato il nostro Paese al terzultimo posto della classifica per questo indicatore.

L’obiettivo target fissato dall’Ue per il 2030 è l’80% di cittadini (utenti di Internet negli ultimi tre mesi e tra i 16 e i 74 anni) con competenze digitali almeno di base per tutti i cinque domini individuati dal framework 2.0, ossia:

  • alfabetizzazione all’informazione e ai dati
  • comunicazione e collaborazione
  • creazione di contenuti digitali
  • sicurezza
  • risoluzione dei problemi

Nel 2021 tale quota a livello europeo era pari al 53,9% . Per raggiungere il medesimo obiettivo il nostro Paese dovrà far registrare nei prossimi anni un incremento medio annuo di 3,8 punti percentuali.

Si tratterebbe di un incremento piuttosto elevato in un lasso di tempo limitato, che si è finora registrato per l’indicatore sull’uso regolare della rete durante gli anni della pandemia (2020-2021), dove la quota è passata dal 76,4% al 80,1%.

Un’accelerazione, questa, che ha consentito all’Italia di ridurre considerevolmente il gap con gli altri Paesi europei in riferimento al divario digitale di primo livello.

Più competenze digitali per “Comunicazione e collaborazione” meno per “Sicurezza”

Dall’esame delle cinque dimensioni che compongono l’indicatore sulle competenze digitali è possibile tracciare una mappa degli elementi di forza oltre che dei ritardi nei livelli di competenza dei cittadini residenti in Italia rispetto al quadro europeo.

I divari rispetto alla media EU27 sono minimi per il dominio “comunicazione e collaborazione”, dimensione legata all’interazione via Internet e all’uso dei social media (75,8% rispetto al 77,5% EU27).

I divari si presentano già significativi invece per il dominio “creazione di contenuti digitali”, dominio legato all’utilizzo di applicativi per la creazione o la modifica di contenuti digitali (41% contro il 45,2% EU27) e alla “risoluzione di problemi”, area legata all’utilizzo dei servizi online e di alcune abilità di gestione software (47% contro il 52,7% EU27).

Si evidenzia, infine, un netto ritardo per “alfabetizzazione su informazioni e dati”, dominio legato alla ricerca di informazioni, di dati e alla capacità di giudicare la rilevanza della fonte (-9,8 punti percentuali rispetto alla media EU27), seguito da quello relativo alla “sicurezza”, ovvero l’area legata alla protezione dei dispositivi e dei dati personali negli ambienti digitali (-7,6 punti rispetto alla media EU27).

Sul territorio italiano, per ciascuno dei cinque domini si confermano i divari registrati per l’indicatore complessivo delle competenze, ossia quelli legati al genere, all’età, al titolo di studio e all’occupazione. Va tuttavia evidenziato che nel dominio “Comunicazione e collaborazione” i divari relativi al genere risultano pressoché inesistenti.

Le differenze tra Centro-nord e Mezzogiorno

Dall’analisi delle singole regioni italiane emerge un forte gradiente tra Centro-nord e Mezzogiorno, con l’eccezione della Sardegna che si attesta sul valore medio.

Se alcune regioni come il Lazio (52,9%), il Friuli-Venezia Giulia (52,3%) e la Provincia Autonoma di Trento (51,7%) per raggiungere l’obiettivo target del 2030 dovranno registrare un incremento medio annuo attorno ai 3 punti percentuali, altre – come la Calabria (33,8%), la Sicilia (34%) e la Campania (34,2%) – necessiterebbero di un incremento medio annuo di circa 5 punti percentuali.

È importante sottolineare, inoltre, che le regioni che presentano i tassi più bassi di persone con competenze digitali almeno di base sono anche quelle ancora caratterizzate da una quota più contenuta di utenti di internet rispetto al valore medio nazionale.

Età e titolo di studio i principali fattori discriminanti

Nel 2021 il 61,7% dei ragazzi di 20-24 residenti in Italia che ha usato internet negli ultimi tre mesi ha competenze digitali almeno di base. Tale quota decresce rapidamente con l’età per arrivare al 41,9% tra i 55-59enni e attestarsi al 17,7% tra le persone di 65-74 anni.

Tra i giovani di 16-19 anni si riscontra una distanza del 10,5% rispetto alla media europea, mentre tra i 20-24enni si sale a 11 punti di differenza.

Questo livello di competenze risulta caratterizzato da una forte disparità a favore degli uomini, che nel nostro Paese è di 5,1 punti percentuali mentre è più contenuta a livello europeo (3,3 punti percentuali).

Va però evidenziato che tali diseguaglianze sono proprie delle classi di età più anziane. In particolare, in Italia fino a 44 anni di età il divario di genere è nullo e in alcune classi di età inverte il segno, come ad esempio tra i 20 e i 24, dove le ragazze registrano un vantaggio di 9 punti percentuali sui ragazzi.

Le competenze digitali sono ancora una prerogativa delle persone con titoli di studio elevati: l’80,3% delle persone di 25-54 anni con istruzione terziaria ha competenze digitali almeno di base, valore quasi in linea con quello medio EU27.

La quota cala al 25% (sempre in riferimento alle persone della stessa coorte) ma con titolo di studio basso (fino alla licenza media), che presentano una distanza di circa 8 punti percentuali rispetto al valore medio EU27.

Differenze sensibili si riscontrano anche considerando la condizione occupazionale. In Italia il divario tra gli occupati che hanno usato internet negli ultimi tre mesi e che hanno competenze digitali almeno di base rispetto a chi è in cerca di occupazione è di 17,8 punti percentuali.

Inoltre, osservando la posizione professionale degli occupati, emerge come gli operai presentino i livelli più bassi di competenza digitale, con una distanza di 34,8 punti percentuali rispetto a quella riscontrata tra direttivi, quadri e impiegati (75,2% contro 36,7%).

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Michelle Crisantemi

Giornalista bilingue laureata presso la Kingston University di Londra. Da sempre appassionata di politica internazionale, ho vissuto, lavorato e studiato in Spagna, Regno Unito e Belgio, dove ho avuto diverse esperienze nella gestione di redazioni multimediali e nella correzione di contenuti per il Web. Nel 2018 ho lavorato come addetta stampa presso il Parlamento europeo, occupandomi di diritti umani e affari esteri. Rientrata in Italia nel 2019, ora scrivo prevalentemente di tecnologia e innovazione.

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