“La sfida è aperta e non abbiamo un piano B”. Le parole di Carlo Bagnoli, consigliere del Comitato di gestione di Smact, il Competence Center che raggruppa le università del Triveneto, riassume meglio di ogni altra immagine l’importanza della sfida dei centri di competenza, gli strumenti creati all’interno del piano Industria 4.0 – Impresa 4.0 per dare una scossa alle piccole e medie imprese e per canalizzarle nel mondo del digitale.
Per raccontare al meglio i dettagli di questa sfida Italia 4.0, la trasmissione di Class Cnbc, ha iniziato un vero e proprio viaggio tra gli otto centri italiani che diventa l’occasione per capire lo stato dell’arte di questi punti di eccellenza. Al tema saranno dedicate in tutto due serate, ciascuna delle quali suddivisa in due incontri con due Competence Center (quattro a serata, quindi).
Mercoledì 10 luglio alle 21 Andrea Cabrini ha incontrato i primi quattro Competence Center, quelli di Milano, Torino, Genova e Triveneto, spiegandone le strategie e i progetti. In studio, nella prima parte, Marco Taisch, presidente di Made 4.0, e Paolo Fino, presidente di CIM 4.0 di Torino (potete rivederla QUI); mentre nella seconda parte (disponibile QUI) sono ospiti Paola Girdinio, presidente di Start 4.0 di Genova, e Carlo Bagnoli, consigliere di Smact, il Competence Center del Nord Est.
La seconda parte con i Competence del Centro Sud è andata in onda mercoledì 17 luglio (sul nostro sito trovate l’anteprima).
Indice degli argomenti
I tempi sono stretti entro fine estate i primi bandi
Al di là delle peculiarità dei vari centri, ognuno dei quali ha caratteristiche specifiche molto particolari, tutti sembrano essere concordi su un tema, quello della necessità di “fare presto“. Le pratiche più prettamente burocratiche di avviamento dei centri sono ormai ultimate e il cronometro ha iniziato a correre. Entro tre anni, infatti, i centri dovranno portare i primi risultati e dimostrare di sapersi reggere sulle proprie gambe e per questo motivo non c’è tempo da perdere.
Ricordiamo che i Competence Center riceveranno nell’insieme una dote di denaro pubblico di oltre 70 milioni di euro, dei quali una parte destinata all’avvio delle strutture e un’altra al finanziamento dei progetti che saranno portati avanti con le imprese. Questi progetti saranno avviati sulla base di bandi pubblici.
“I primi bandi devono partire il prima possibile – sottolinea Fino (CIM 4.0) – e nell’arco dell’estate, al massimo entro ottobre, faremo il possibile perché possano0 essere pronti. Ovviamente per un Competence Center come il nostro bisogna essere sicuri che le linee pilota attraverso le quali fare il trasferimento tecnologico, legate ai bandi, siano pronte. Questa è una corsa anche perché i centri non hanno ancora ottenuto gli anticipi per gli investimenti, ma non ci sono alternative. Bisogna partire con queste tempistiche perché il tempo dedicato al progetto è di tre anni e il timer è già partito”.
La sfida dei Competence Center
I Competence Center, otto in tutta italia, sono dei poli volti a incentivare le attività innovative promuovendo la condivisione di strutture e lo scambio di conoscenze e competenze. A differenza dei DIH, i digital Innovation Hub, che hanno distribuzione territoriale, i Competence Center, benché abbiano a capofila otto realtà territorialmente distinte, operano su tutto il territorio nazionale e hanno una connotazione tecnologica di specializzazione per “temi”.
A raccontare la nascita dei centri Marco Taisch, presidente del centro di competenza Made 4.0, che ha partecipato a tutto il processo di gestazione di queste strutture.
“L’idea messa a punto quando abbiamo progettato i Competence Center è stata quella di puntare su tre grandi attività: l’orientamento, perché molte imprese fanno ancora fatica a capire cosa è il 4.0 e a capire come utilizzarlo, la formazione, perché il training è fondamentale sopratutto per i lavoratori attuali che devono avere aggiornate le loro competenze, e poi il terzo pilastro, quello legato al trasferimento tecnologico“.
Ricerca e impresa, ma senza sovrapposizioni
In quest’ottica, però, resta fondamentale differenziare tra la ricerca universitaria e il Competence Center, che non si devono sovrapporre. “Non faremo ricerca, è anche scritto nel nostro statuto”, dice Fino. “E la differenza tra ricerca e maturazione tecnologica, che è quello che facciamo noi, è sostanziale. Quando si sviluppa un nuovo componente con la tecnologia additiva avere un prototipo funzionante e metterlo in un ambiente di lavoro è ricerca. Essere in grado di replicarlo ai costi più efficaci per il mercato per arrivare alla produzione industriale è maturazione tecnologica. Questo è un passaggio molto lungo che le Pmi non sempre riescono a fare, il Competence Center sarà il posto dove si potrà ridurre, grazie alle sharing delle tecnologie, il costo dello sviluppo”.
“La sfida è quella di far capire che non si tratta di iniziative universitarie – aggiunge Taisch – e questo deve essere ben chiaro. Le università sono state chiamate perché possono essere punti di aggregazione di imprese che sono anche in competizione tra di loro e hanno una funzione di soggetti terza parte. Sono iniziative fatte dalle imprese per le imprese. Basti pensare che in Made su 9 posti nel consiglio di amministrazione 6 sono da statuto per le imprese. La governance è privata e questo ê molto importante perché gli utenti devono sentire i Competence Center come uno strumento loro, che hanno a disposizione”.
Fare rete per essere competitivi
Un tema peculiare di questi centri di competenza è quello della collaborazione, del fare rete tra i vari centri mettendo a sistema le proprie esperienze. “Noi già ci vediamo regolarmente, come Competence Center, per tenere uno strettissimo coordinamento – spiega Taisch – e creare tutte quelle sinergie possibili, che sono necessarie per aiutare il paese”.
“Sono convinta che i Competence Center possono vincere la sfida e dare qualcosa al sistema Italia – sottolinea Girdinio – solo se collaborano tra loro. Se riusciamo a fare squadra, a essere complementari e a mettere a sistema le cose comuni possiamo avere successo. Noi dobbiamo lavorare per il nostro paese e ci riusciamo solo se riusciamo a collaborare e a mettere in rete tutto quello che impariamo nella nostra singola esperienza. Siamo nel mondo del digitale e quindi ogni esperienza diventa collegiale. Dobbiamo collaborare, se no sono altri soldi spesi male”.
“Mi ha colpito molto l’atteggiamento delle imprese che si sono approcciate al progetto – sottolinea Fino – e ho visto aziende realmente motivate a mettere qualcosa di loro per lo sviluppo del sistema. Le imprese hanno capito che o si fa sistema o si viene fagocitati da altre economie, anche amiche, europee che ci passano davanti e che non sarà più possibile riprendere. Oggi le aziende hanno capito che non hanno alternative e la possibilità di mantenere il proprio know how all’interno senza farlo conoscere non è più così accattivante per il mercato”.
“Oggi la competizione è internazionale – aggiunge Taisch – non più tra aziende della stessa provincia. Io sono convinto che i Competence Center andranno a modificare questa diffidenza che abbiamo avuto su temi come la Open Innovation. Lo abbiamo già visto al momento della costruzione delle proposte perché in Made abbiamo aziende che sono competitor in una certa tecnologia. Ma nel centro lavorano insieme per fare si che la tecnologia sia capita e apprezzata dalle Pmi, perché questo può allargare il mercato”.
Il competence CIM 4.0 e la manifattura digitale
Il Competence Center di Torino, il CIM 4.0 (CIM sta per Competence Industry Manufacturing) punta il proprio focus su aerospazio, automotive e additive manufacturing. Il centro, costituito dal Politecnico di Torino, dall’Università di Torino e da 24 aziende private, avrà sede a Lingotto e a Mirafiori. Il finanziamento avuto al Ministero è di 10,5 milioni di euro, a cui si aggiungeranno i finanziamenti delle imprese partecipanti.
“I centri si devono basare sulle competenze presenti sul territorio che li ha fatti nascere, spiega il presidente Fino – e per noi questo significa i nostri background storici, come l’automotive, a anche la produzione di strumenti per produzione industriale e l’aerospazio. Con noi ci sono aziende che intendono integrare le loro tecnologie in quella che è la base del nostro Competence Center, ovvero le linee pilota che andremo a costruire e che permetteranno di apprendere come si possono utilizzare in fabbrica le tecnologie 4.0″.
Made, tecnologia digitale a 360 gradi
Il centro che ha sede a Milano è il Made, che ha il suo focus nelle tecnologie digitali per la fabbrica 4.0. Made è costituito da 4 università – Politecnico Milano, Bergamo, Brescia e Pavia – e 39 imprese tra provider tecnologici, consulenti, integratori di sistema esperti della formazione, oltre all’Inail.
I fondi di cui disporrà sono 33 milioni in tre anni di cui oltre 10 dal Ministero. La sede sarà un’avveniristica struttura al Politecnico di Milano, al Campus Bovisa-Durando.
“Made è partito dall’analisi dei bisogni delle piccole e medie imprese italiane“, sottolinea il presidente Marco Taisch. “Negli ultimi anni, con l’Osservatorio Industria 4.0 siamo andati a veder di quali tecnologie c’era bisogno e quali erano le criticità. E su questi dati abbiamo progettato Made. Ci siamo focalizzati sulla parte digitale dell’intero processo che va dalla progettazione del prodotto alla ingegnerizzazione, alla fabbricazione, alla logistica interna fino alla consegna del prodotto”.
“Abbiamo organizzato Made in 14 isole, ognuna delle quali è un piccolo demo di una particolare tecnologia. Ogni isola ha una duplice finalità: può essere utilizzata per l’orientamento di quelle imprese che cercano di capire il 4.0 e lo potranno toccare con mano, ma la stessa isola sarà utilizzata anche per la formazione pratica, le persone potranno formarsi su questi pezzi di fabbrica che abbiamo costruito”.
Le 14 isole rappresenteranno le seguenti dimensioni tecnologiche:
- Virtual Design e Sviluppo Prodotto
- Energy monitoring and energy saving
- Monitoraggio e controllo remoto real‐time dell’impianto
- Tracciatura di prodotto e gestione della qualità in linee discrete
- Intelligent Worker Assistance Systems
- Digital Twin: prodotto e processo come centro di informazione
- Manutenzione 4.0
- Smart Additive Manufacturing
- Lean 4.0
- Robotica collaborativa
- Cyber‐Security industriale.
- Big Data Analytics.
- Salute e Sicurezza
- Logistica interna e tracciabilità
SMACT, software e social per dare più valore ai dati
Il Competence Center del Triveneto è Smact, acronimo di Social, Mobile, Analitcs, Cloud e IoT, e ha il focus su agroalimentare, abbigliamento, arredamento e automazione. Vede la presenza di 8 università: Padova, Cá Foscari e IUAV di Venezia, Verona, Trento, Libera Università di Bolzano, Udine, SISSA di Trieste, Università di Trieste Fondazione Kessler e INFN di Padova.
A questi si aggiungono 12 provider tecnologici, 17 partner 3 provider di servizi. Ha a disposizione 19,6 milioni di cui 7 arrivati dal Ministero. Ha sede al campus economico dell’Università Ca’ Foscari, a Venezia.
“Il nostro acronimo richiama il concetto di Smart ma riguarda principalmente il lato software – spiega Carlo Bagnoli – che permettono i processi di automazione e di big data analisys, che riguardano trasversalmente ogni settore. Sul nostro territorio si produce di tutto e quindi noi vogliamo approfondire i dati per migliorare la capacità di fare business delle imprese esistenti a anche fare, in alcuni casi, la re-startup di alcune aziende”.
In Smact “faremo tre live demo che saranno focalizzate sui temi del Made in Italy. A Padova avremo transfood, che partirà dalla coltivazione di campi, passando per la tracciablità della filiera fino ad arrivare ai supermercati digitali. In Trentino Alto Adige avremo una live demo concentrata sulla meccatronica, ma sempre con il focus sull’analisi dei dati, e una in Friuli tra Trieste e Udine che lavorerà sul tema del digital twin a livello di service, a disposizione delle Pmi”.
Qual è l’obiettivo vero di SMACT? “Vorremmo aiutare le Pmi nella trasformazione digitale – spiega Bagnoli – ma non applicando tecnologie esistenti per fare meglio quello che già fanno. Piuttosto aiutarle a fare cose diverse, o a fare e stesse cose in modo diverso. Con un taglio più di strategia aziendale. Vorremmo puntare sulla direzione software approfittando di questo patrimonio che sono i dati per aiutare a uscire dai modelli competitivi. E poi industria 4.0 abbatte le economie di scala e permette di competere anche con dimensioni ridotte. Questo però deve far cambiare le leve competitive. Ci sono strumenti di profilazione dei clienti per settori come il turismo, dove poter applicare algoritmi”.
Start 4.0: più sicurezza per le infrastrutture strategiche
Il Competence Center di Genova è Start 4.0 e ha il focus sulla sicurezza delle infrastrutture per i trasporti, l’energia, le reti idriche e il sistema produttivo. Coinvolge 4 entità pubbliche, CNR, Università di Genova, Regine Liguria, Fondazione IIT, autorità di sistema portuale del mar Ligure occidentale e autorità di sistema portuale del mar Ligure orientale e 33 imprese. Il focus è su sicurezza e ottimizzazione di infrastrutture strategiche 4.0. I domini applicativi sono 5 porto, energia, trasporti settore idrico e produzione. La sede è a Campi, in Valpolcevera.
“Ci occupiamo di sicurezza e ottimizzazione di infrastrutture digitali – spiega la presidente, Paola Girdinio – e al nostro interno oltre agli enti pubblici e alle imprese abbiamo 4 porti che sono Genova, Savona, La Spezia e Livorno. Volevamo identificarci con il tema infrastrutturale, che è una forte competenza della nostra università, degli enti di ricerca e delle aziende del territorio. A Genova abbiamo il più grande porto del Mediterraneo e partiremo proprio da quello, con la realizzazione di un digital twin del porto di Genova. Questo gemello digitale deve aiutare a gestire le problematiche sia di sicurezza fisica che della persona, oltre alla cyersecurity visto che usiamo tecnologie digitali, dal’IoT al cloud, alla sensoristica alla trasmissione in 5G”.
Tra e peculiarità di Start 4.0 c’è anche quella legata alla sicurezza del lavoratore costretta operare in ambienti critici e pericolosi. “La nostra idea è di riuscire a riprodurre in un mondo virtuale quelli che sono scenari complicati per il lavoratore – spiega Girdinio – ambienti pericolosi. Possiamo quindi addestrare le persone a operare in uno spazio virtuale e sicuro per fargli acquisire quegli automatismi che, una volta sul campo gli permettono di non fare errori fatali. Noi vorremmo che Inail diventasse un nostro interlocutore per sapere che cosa serve per dare più sicurezza nei posti di lavoro”.