Spazio come servizio

Che cos’è lo Space as a Service e perché cambierà il Facility Management

Dalla gestione dello spazio fisico e del suo utilizzo in forma di servitizzazione arrivano risposte nuove ai temi della sostenibilità ambientale. Grazie a una collaborazione, basata sull’Open Innovation, tra Tecno, io.T Solutions e Microsoft arriva una soluzione che permette di portare i principi della service transformation anche nel mondo building e permette di fornire nuovi tool per i facility manager

Pubblicato il 06 Mag 2019

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La digital transformation sta cambiando da tempo il nostro rapporto con la casa, con l’ufficio, con le infrastrutture che permettono l’accesso a tanti servizi, da quelli della mobilità a quelli della Pubblica Amministrazione. Gli ambienti, privati o pubblici che siano, si sono progressivamente arricchiti di intelligenza, e ci stiamo abituando a “dialogare” con queste realtà, grazie a una crescente disponibilità di dati e di strumenti per comprenderli e valorizzarli. Possiamo ben dire che Internet of Things e Big Data hanno fatto la differenza e hanno creato le premesse per arrivare alle soglie di una nuova fase che unisce innovazione digitale e service transformation.

E’ la servitizzazione in particolare che sta cambiando radicalmente il modo con cui “utilizziamo” e scegliamo prodotti. Il passaggio dal prodotto al servizio sta cambiando il nostro rapporto con i prodotti e sta togliendo importanza al concetto di possesso per portare tutta l’attenzione sull’utilizzo.

In questo percorso la chiave di volta è tutta nei dati e nella conoscenza che permette di modificare radicalmente quel rapporto a tre che unisce produttore, prodotto e utente. Questa evoluzione sta modificando la nostre stessa cultura, il nostro approccio alle cose e si sta positivamente saldando con i temi ambientali e della sostenibilità con la consapevolezza che questa nuova cultura può creare enormi benefici in termini di gestione delle risorse.

Parte da queste premesse, che uniscono innovazione digitale, cultura e sostenibilità l’evento e l’invito di io.T Solutions, Tecno e Microsoft per proiettare il tema della servitizzaizone a quanto di più “fisico ci possa essere”, ovvero agli ambienti e alle infrastrutture dove lavoriamo e viviamo, dove effettuiamo acquisti, dove ci muoviamo o dove eroghiamo o riceviamo servizi.

Un invito a entrare nello Space as a Service

In altre parole e per usare una nuova declinazione del neologismo “As a Service” l’invito è quello di entrare nel mondo dello “Space as a Service” dove lo “spazio” gli ambienti, i luoghi fisici che si candidano a diventare servizi non sono più  “solo” uno spazio che può essere ridisegnato per diventare flessibile e per servire diversi soggetti con diverse esigenze. Lo Space as a Service è, come vedremo, uno spazio che ha la capacità di aumentare la proprio intelligenza, che può assorbire conoscenza, la può elaborare e assorbire e la può restituire a sua volta sotto forma di servizi che si concretizzano all’interno di uno spazio negli strumento che lo modellano o che lo rendono funzionale agli obiettivi di chi lo vive.

 Ma partiamo dalle basi del concetto di Space as a Service con Tommaso Mosconi, general manager di io.T Solutions che richiama alcuni degli elementi fondamentali di questa prospettiva a partire dalla disponibilità che è arrivata grazie all’Internet of Things di inserire sensori negli arredi in modo da permettere, tra le altre cose, il riconoscimento delle persone e dei loro comportamenti e adattare l’ambiente di fatto alle preferenze dell’utilizzatore finale. Mosconi osserva che da questo principio è partito un enorme e importantissimo lavoro sui dati:  “ci siamo resi conto che un sensore fine a se stesso non dava un vero valore aggiunto, perché è si in grado di analizzare l’ambiente, ma preso singolarmente e a sé stante non è nella condizione di interagire con i sistemi”. Il vero valore di questa prospettiva è da individuare nella “nuova capacità di interazione che IoT e Data Analytics possono abilitare”. Per questo io.T Solutions e Tecno hanno lavorato su una soluzione che si è data come obiettivo la costruzione e attivazione di diverse forme di “dialogo”:

  • dialoghi tra gli oggetti
  • dialoghi tra gli oggetti e i sistemi che coordinano e che gestiscono gli spazi
  • dialoghi tra oggetti, sistemi e persone

L’obiettivo è quello di arrivare a gestire “lo spazio come servizio” digitalizzando gli spazi e trasformando il rapporto tra persone e ambienti in una logica di servizio ad altissima personalizzazione.

Una prospettiva questa che, come vedremo, contribuisce ad aumentare l’intelligenza degli ambienti e contribuisce a cambiare il ruolo e la capacità di azione del facility manager, che con questi strumenti aumenta la possibilità di lavorare in una prospettiva sempre più vicina al business.

Una nuova valorizzazione dello spazio fisico

Non stiamo affrontando solo un tema di innovazione digitale, ma c’è un vero e proprio salto culturale in una sorta di evoluzione che vede intrecciarsi lo sviluppo dal concetto tradizionale di ufficio a quello di co-working, accompagnato dalla spinta (anche in questo caso culturale) legata alla diffusione di nuovi modelli di smart working e con la necessità sempre più radicata di portare intelligenza in qualsiasi tipo di building proprio allo scopo di aumentare efficienza, comfort, sicurezza.

In questa ricerca di una nuova valorizzazione dello spazio fisico non poteva non apparire all’orizzonte il servizio, ma nella forma di una connessione degli utenti con gli spazi e degli spazi tra loro per trasformarli in una diversa “fonte di business” non più legata al “metro quadrato”, ma all’abilità di quello spazio di mettersi al servizio delle persone, per favorire incontri, sviluppo di conoscenze, miglioramento delle performance. Uno spazio che non è solo concepito per “ospitare” ma per essere propositivo e attivo.

Un tavolo che si adatta e un tavolo che “pensa”

Giuliano Mosconi, Presidente e CEO di Tecno ricorda a sua volta prima di tutto che Tecno è un produttore di oggetti fisici e che è da questi oggetti che si sta arrivando ai servizi. “Come Tecno ci siamo trovati a ragionare non tanto sulla forma delle cose, come è accaduto ad esempio nel momento in cui si è trattato di ripensare ai tavoli di lavoro per i monitor di grandi dimensioni, quanto di riflettere e studiare e impegnarsi sul cambiamento profondo che investe il mondo del lavoro e che arriva grazie all’Intelligenza delle cose. Non basta più un approccio reattivo a un cambiamento tecnologico che chiede di essere gestito anche da punto di vista del design e del supporto fisico. Adesso serve anche un lavoro su un design che sappia integrarsi nell’intelligenza degli oggetti per connettere le persone, per interpretare il loro rapporto con il lavoro grazie all’analisi del loro comportamento e per contribuire a portare benessere al rapporto stesso con il lavoro”. Una visione questa che ha come presupposto la capacità tecnologica di connettere questi oggetti con l’ambiente e con tutti gli oggetti che lo compongono e di disporre delle infrastrutture (come ad esempio il Cloud) per abilitare queste soluzioni in qualsiasi contesto, sia a livello geografico sia in termini di settore.

In concreto entriamo in una fase in cui l’intelligenza arriva se si collegano gli oggetti con l’ambiente circostante. E in questo percorso Tecno ha lavorato per dare “una risposta nuova prima di tutto all’esigenza di creare un nuovo modo di lavorare e ha sentito la necessità di andare al di là del business finalizzato alla possibilità di produrre soluzioni per l’ufficio che si possono modificare e riadattare agli ambienti. Il passo in avanti è quello di creare una vera e propria piattaforma in grado di leggere il modo di utilizzare gli spazi, di elaborarlo e di consentire una gestione completamente innovativa degli spazi stessi.

L’ambiente e la persona: verso un nuovo umanesimo

Mosconi porta anche l’attenzione sulla nascita di un “nuovo umanesimo”, nella forma di un nuovo rapporto con il lavoro, con le cose, con gli ambienti, in una riscoperta della “persona che vuole fare le cose bene e con piacere” in un ambiente che “si può adattare” per favorire questo obiettivo di qualità e di benessere. E questo “binomio” rappresenta un importante passo avanti rispetto alla semplice evoluzione tecnologica del digitale. Da queste premesse nasce prima di tutto il senso della piattaforma software multiprotocollo totale DINA-Connecting Spaces, che permette la realizzazione e la implementazione di soluzioni di Space as a Service.

Gestione del co-working come punto di partenza

DINA nasce come applicazione per il mondo Smart Building e come soluzione per il co-working in grado di mettere in relazione tutti gli spazi in un’unica rete e per avere il controllo di tutti gli ambienti. DINA permette il monitoraggio, il controllo e la gestione a distanza di apparati IoT ed è progettato per lavorare con soluzioni che operano primariamente con sensori incorporati nell’ambito degli arredi intelligenti. Grazie a questa piattaforma l’ambiente è nella condizione di riconoscere l’ospite che viene identificato grazie ai dispositivi NFC o Bluetooth con il suo profilo utente e con le sue preferenze. A fronte di questo riconoscimento la soluzione, che è anche una piattaforma di prenotazione e di profilazione, è in grado di collegare l’ospite con gli strumenti dell’ambiente stesso, di indirizzare i servizi in funzione delle sue preferenze e di configurare gli strumenti di lavoro presenti in funzione delle sue esigenze di utilizzo.

DINA nasce nel segno del rispetto degli standard e della facilità d’uso, dialoga con i principali protocolli di comunicazione per apparati IoT destinati a governare i tanti componenti dell’ambiente a partire dall’illuminazione e dalla climatizzazione, sia in termini di azioni sulle fonti stesse delle luci, sia su accessori, come possono essere ad esempio le tende. La climatizzazione a sua volta prevede la gestione di tutte le variabili con il controllo delle diverse fonti di calore, per poi considerare anche la gestione dei sistemi audio e video a loro volta anche in relazione a fonti sonore o di luminosità.

Il valore di DINA sta prima di tutto nei dati e nell’interfaccia che permette di gestire tutti i componenti in una visione di insieme di tutti i parametri, del tipo e del livello di utilizzo, delle criticità e delle possibili opportunità. Ed è nella possibilità di disporre di una visione d’insieme, nell’offerta di una lettura in realtime della “vita degli ambienti e degli apparati che li compongono” e nella capacità di azione sugli ambienti stessi con precisione velocità, che si costruisce la possibilità di gestire in modo innovativo gli spazi.

Uno strumento di lavoro per il Facility Manager

Portare intelligenza e capacità di azione nel mondo building significa anche aprire nuove opportunità per figure come i Facility Manager. DINA, basato sul Cloud Computing di Microsoft, racchiude in un’unica interfaccia tutti i dati raccolti in tempo reale dagli arredi intelligenti e dal sistema di automazione dell’edificio, e consente l’analisi del loro utilizzo, la pianificazione della manutenzione, l’ottimizzazione delle risorse, il controllo degli accessi e la modifica dei layout in base ai requisiti di occupazione. DINA può essere utilizzato in uffici di grandi dimensioni, in ambenti di co-working, o nel mondo dell’Horeca e dell’ospitalità.

Di fatto DINA è una piattaforma che permette di gestire lo spazio come servizio. Può benissimo essere interpretato come un Facility manager software che mette in comunicazione tutti i fattori del building e che permette al Facility management di avere un controllo puntuale di tutto il building come un vero e proprio nuovo strumento di produzione del facility management.

Un nuovo modo di abitare e di concepire la città

Alida Forte Catella, Ceo di Coima osserva che abitare non significa solo stare in un luogo, ma viverlo in tutte le sue componenti, e gestire gli asset building significa occuparsi degli altri anche in senso etico, responsabile e sostenibile e quindi valutare e gestire anche le prospettive legate ai costi sociali del luogo fisico e del rispetto del vicino, dei compagni di lavoro, di tutti coloro che sono coinvolti in quell’ambiente. La responsabilità è grande. La popolazione nel mondo supera i 7 miliardi. Il 2% della superficie terrestre è occupata dalle grandi città che nello stesso tempo ospitano quasi il 50% della popolazione. Se poi si guarda alle risorse si vede nel 75% viene assorbito ancora una volta dalle città che sono nello stesso tempo la principale fonte di inquinamento, che arriva appunto nell’80% dalle grandi metropoli.

I grandi cambiamenti devono partire dalle città

E’ evidente che servono cambiamenti importanti – sottolinea Forte Catella – e sono cambiamenti che devono partire proprio dalle città. Mettendo la testa nella composizione dei “valori” che fanno il rapporto tra città e ambiente si vede che il maggiore fruitore di materie prime è il real estate che è anche il maggior produttore di rifiuti solidi e quindi, indirettamente, è anche uno dei principali responsabili dell’inquinamento. Forte Catella richiama alla necessità di lavorare per modificare i sistemi di costruzione e di rigenerazione urbana. Occorre un grande lavoro di ricostruzione a livello urbanistico cercando sempre più di lavorare in “altezza” per preservare spazio alle risorse e per liberare il territorio. Le ragioni della sostenibilità ambientale e i cambiamenti nei comportamenti, ad esempio con lo smart working, chiedono un ripensamento delle città, chiedono di prendere atto in forma strutturale l’aumento della popolazione. Il tempo non gioca a favore e occorre un pensiero nuovo che sappia incidere su tutti i fattori che concorrono alla gestione degli ambienti e degli spazi. Certamente in tutto questo c’è anche un tema legato alle nuove forme di socializzazione degli ambienti, di un utilizzo più efficace di qualsiasi spazio che grazie al digitale più cambiare tanto la sua fisionomia quanto la sua funzionalità. Ma c’è anche un grande tema di comportamenti e di intelligenza per agire sulle piccole cose che possono permette di intervenire per modificare il quotidiano.

L’esperienza di Microsoft

Microsoft in questo scenario non è solo un delle basi del progetto DINA grazie al Cloud, in questo caso Microsoft è anche un bell’esempio, molto concreto, di come gli strumenti del digitale e l’organizzazione del lavoro possono permettere di ottenere una diversa e più efficace gestione degli spazi e un miglior rapporto con l’ambiente e con il lavoro. Fabio Santini, One Commercial Partner And Small Medium And Corporate Lead Microsoft punta l’attenzione sulla propria esperienza per evidenziare come il digitale sta permettendo di cambiare il rapporto con il lavoro e sottolinea che siamo in un contesto (la presentazione avviene nella sede Microsoft n.d.r.) “in cui nessuno ha un ufficio e questa è una bella occasione per riflettere su cosa sta succedendo veramente nel rapporto tra ambiente e lavoro”. Se guardiamo a venti anni fa l’informatica era “chiusa” in ufficio. Poi, grazie anche grazie a Microsoft il computer è arrivato nelle case e l’informatica ha iniziato a cambiare profondamente il rapporto con il lavoro. La casa è diventata un ambiente che iniziava ad essere adatto a gestire a sua volta monenti e fsi del lavoro. Poi anche il viaggio, gli spostamenti, luoghi meno convenzionali. Oggi il digitale è in tutto quello che facciamo. Sono cadute tante barriere anche culturali. Non c’è più l’IT che serve per lavorare e un digitale che serve per il divertimento o per altri scopi. C’è un digitale che abilita nuovi comportamenti, nuove potenzialità e che permette di cambiare le abitudini, i comportamenti. Il digitale e il software in particolare è parte della vita quotidiana e siamo solo all’inizio di questo percorso. Nei prossimi anni gli oggetti intelligenti ci circonderanno sempre di più ma soprattutto avremo a che fare con un digitale proattivo e non più solo reattivo. Ed è con queste premesse che entriamo nello Space as a Service, con la possibilità di organizzare gli spazi come un servizio.

La traiettoria dell’As a Service è già entrata nelle nostre abitudini

Oggi siamo all’incrocio di diversi fenomeni, la traiettoria dell’As a Service la conosciamo oramai bene, è entrata nelle nostre abitudini. Oggi non c’è più l’intenzione di comprare un’auto, quanto di noleggiarla, se dobbiamo muoverci pensiamo a logiche di servizio, al car sharing ad esempio. E anche per questo, oggi, il concetto di servizio vale più del concetto di acquisto, l’uso vale più della proprietà. Per questo spostamento, dal prodotto al servizio c’è bisogno del digitale: Quando si acquista il servizio il valore passa dal prodotto ai dati, e questo vale anche per gli ambienti, per il building, per i componenti del building.

Con i servizi gli ambienti diventano reattivi. A seconda del tipo di riunione la sala reagisce (abbassa le luci, oscura i vetri, regola la temperatura, prepara gli strumenti di lavoro ecc.): questo permette di gestire la sala per orari, per funzioni, per obiettivi. La tendenza è in atto a livello globale e investe tanti settori.  Anche aziende storicamente orientate alla produzione e alla vendita stanno cambiando verso i servizi.

Ci sono compagnie come Rolls Royce che su prodotti complessi, che sono un simbolo del manifatturiero, come motori e turbine di grandissime dimensioni oggi sta passando alla proposta e alla “vendita” di servizi, nella modalità di ore di volo.  Si paga per le ore di volo del motore, la proprietà e tutti gli oneri legati a funzionamento, aggiornamento, manutenzione resta in capo al produttore. Un bel cambiamento che arriva anche negli ambienti e che nello Space as a Service trova una delle sintesi più efficaci, perché c’è il cambiamento dello spazio, il cambiamento culturale del lavoro e il cambiamento legato al rapporto con il digitale.

Un nuovo approccio alla sicurezza e al Risk Management

Tutte le innovazioni portano opportunità e minacce, ovviamente questo vale anche per il digitale. Più aumentano i componenti che dipendono dal digitale più la sicurezza e la cybersecurity in particolare appare importante, per  capire le minacce e per proteggersi dagli attacchi. Quando si parla di cambiamento culturale occorre considerare anche il cambiamento culturale legato ai comportamenti. Ci sono buone pratiche che devono entrare nelle nostre abitudini se vogliamo gestire correttamente certi nuovi rischi e poi ci sono progetti e strategie che permettono di ridurre i rischi in modo strutturale sfruttando le potenzialità di conoscenza che arrivano dall’Intelligenza Artificiale.

Ma non ci si deve fermare qui, ovviamente. Come sempre da grandi poteri derivano grandi responsabilità. Oggi il digitale certamente ha un grande potere, e ha grandissime responsabilità. Basti pensare al tema dei dati all’impatto che ha sul nostro comportamento e sui nostri comportamenti. Ma non è tanto una questione di privacy dei nostri dati. Il tema è legato da una parte agli utenti che accettano o non accettano un determinato scambio, (tipicamente servizi in cambio di dati), ed è un tema di sviluppo, ovvero di coloro che disegnano e progettano i nuovi servizi, che creano i bisogni o che li soddisfano in modi diversi. In questo scenario la sicurezza diventa un valore nel momento in cui è veramente e concretamente by design.

Dalla certificazione degli edifici alla certificazione della qualità della vita negli edifici

Per la sicurezza Microsoft investe qualcosa come 5 miliardi all’anno proprio in cybersecurity per rendere le proprie tecnologie sicure. Ma non è solo questo, c’è una cultura che cerca di comprendere i comportamenti, di leggere i fattori di rischio, perché anche li si fa tanta innovazione. Un esempio?  Nella sede Microsoft ci sono due palazzine che hanno lo scopo di difendersi e attaccarsi, due gruppi di specialisti Microsoft identificati da due colori: il Gruppo Blu e il Gruppo Rosso che sono pagati per creare nuove minacce e per difendersi da quelle minacce. il Blu tenta di difendersi perché gli attacchi del gruppo Rosso diventano sempre più intelligenti. Siamo nell’ambito della conoscenza, della sfida sulla conoscenza. È importante non solo capire e inventare nuovi modi per difendersi, ma è necessario capire come e dove nasce un attacco. La sicurezza è molto di più di una protezione dalle minacce conosciute perché se la portiamo nella realtà dello Space as a Service e della cultura che lo sostiene. Dobbiamo renderci conto che ogni luogo dove si apre il portatile è un ufficio e si deve gestire, con i dati, gli elementi che fanno la sicurezza di quel lavoro.

Su queste premesse l’altro grande passaggio è quello della qualità. Della qualità della vita primariamente, che può aumentare, della qualità degli uffici e del lavoro o dei servizi che in quell’ambiente si possono svolgere.

Provocatoriamente ma non poi tanto si potrebbe dire che se negli ultimi 10 anni si sono certificati gli edifici, adesso è venuto il momento di certificare la qualità della vita negli uffici per le persone. Serve, riprendendo la considerazione di Giuliano Mosconi sul nuovo umanesimo, una visione più “umano centrica” dove l’uomo è al centro del pensiero e che sia che si tratti di uffici fisici o virtuali si deve permettere sempre alle persone di lavorare meglio.

L’ambiente fisico nell’era delle connessione e della condivisione

Per Massimo Roj, Founder & Ceo di Progetto CMR, una delle aziende che unisce architettura e ingegneria i cambiamenti sono indotti dalla tecnologia che porta a cambiamenti organizzativi e si salda con i cambiamenti a livello sociale. Siamo nell’era della connessione e della condivisione, siamo allenati a alla condivisione con le app, con i mezzi di trasporto, con gli spazi. L’ufficio ha continuato a cambiare negli anni, il primo ufficio moderno è nato nel Medioevo quando i monaci raccoglievano la memoria che veniva trasmessa a parole e hanno iniziato a scrivere i testi. I monasteri come primo ufficio moderno, dove i monaci si spostavano in funzione dell’attività che dovevano svolgere: zone per la scrittura, zone per la preghiera, zone per la funzione, per la mensa. Tutti si spostavano a seconda di quello che dovevano fare in luoghi preposti.

La specializzazione ha caratterizzato il rapporto tra ambiente e lavoro per lungo tempo. Non c’è la necessità di avere la specializzazione dell’ambiente o della proprietà, la condivisione è adesso il tratto forte. È cambiato anche il modo di usare e vivere la città e cambia anche il modo di vivere gli spazi. Dobbiamo riflettere sul fatto che sono impiegati 20 mila anni per arrivare a 1 miliardo e mezzo di persone e solamente 60 anni per passare a 7 miliardi. La Terra è rimasta la stessa ma come appare evidente, crescendo consumiamo sempre di più. Lo spazio è diventato un fattore chiave che va gestito con logiche diverse, soprattutto nel momento in cui si parla di spazio urbano.  Le città consumano troppo, serve una rigenerazione urbana che permetta di restituire valore al terreno a terra

Space as a Service come risultato di un percorso di Open Innovation 

Roberto Filipelli, Azure Cloud Infrastructure Partner Development Director Microsoft, guarda al metodo e al percorso che sta portando allo Space as a Service e al ruolo dell’Open Innovation. Con l’esempio di aziende italiane e multinazionali che lavorano assieme in un team costituito da Microsoft, Tecno, io.T Solutions e che va ben oltre la tecnologia perché l’Open Innovation viene prima di tutto dalle persone: dalla capacità di creare un ecosistema di competenze che adesso, grazie al Cloud, ha la possibilità di creare innovazione a costi molto più accessibili e con tempi decisamente più veloci. Con questo modello di Open Innovation si è lavorato sull’idea iniziale, vale a dire integrare più progetti di innovazione in un ufficio tradizionale che con questo processo è diventato un ufficio speciale. In questo percorso ci si è resi conto che gli oggetti speciali potevano permettere a chiunque di frequentare un ufficio speciale. Abbiamo riflettuto sul valore di poter condividere la bellezza degli oggetti. Non solo, ma se un tavolo Tecno è fatto per durare per la vita, e se lo si mette a disposizione, digitalmente in più luoghi diversi, si può portare questo oggetto così fisico nell’economia del servizio.

Non solo. C’è un’altra riflessione importante che ha accompagnato questo progetto e riguarda la “durata” dei prodotti e l’impatto a livello di sostenibilità. Nel momento in cui si entra nell’economia del servizio si gettano le condizioni per modificare alle radici il senso stesso della produzione degli oggetti. Il modello tradizionale basata sul possesso e sul rinnovo ha portato a realizzare prodotti con un determinato ciclo di vita, prodotti per i quali era ragionevole ed era pianificata una determinata durata e una loro sostituzione. Questo modello si è poi naturalmente integrato con le logiche della circular economy per rimettere in circolazione i componenti dei prodotti nel segno della sostenibilità. Ma con il servizio gli obiettivi sono ben diversi. Il business non è più nella sostituzione di un prodotto bensì nella sua capacità di erogare un servizio di qualità senza interruzione per il maggior tempo possibile. Ecco che la generazione del valore del prodotto si sposta, non è più sul fatto che possa essere sostituito e dunque sulla sua vendita, ma sulla sua funzionalità. Il prodotto deve durare di più.  Leggi in proposito il servizio Ecco come l’Intelligent Manufacturing ci porta nella data economy con IoT, connected product e servitizzazione

La servitization al “servizio” della sostenibilità

Se il business model è il servizio c’è una forte motivazione di far durare di più il prodotto. Ed ecco che appaiono all’orizzonte una serie di altri vantaggi che contribuiscono a rispondere in modo nuovo ai temi della sostenibilità.  Se un auto dura il doppio si riduce drasticamente l’impatto del riciclo. O ancora, per altre tipologie di prodotto: quanta plastica si utilizza per il detersivo perché dobbiamo fare magazzino? Se si va nella direzione del “Washing as a service” ecco che anche quella quantità di plastica può essere “risparmiata” sia come costo economico, sia come costo per l’ambiente. Filipelli tira anche le somme di una serie di attività e di progetti e osserva che siamo con DINA nell’ambito di una piattaforma per rendere ogni spazio digitale e se ogni spazio diventa digitale si possono fare un sacco di cose. Ma il  meccanismo funziona solo se resta inalterato il ruolo e i vantaggi per le persone. Qualsiasi azienda può fare innovazione e qualsiasi azienda deve essere consapevole che questo genere di innovazioni possono avere un impatto diretto e indiretto sull’ecosostenibilità.

Articolo aggiornato da Mauro Bellini il 15 Giugno 2019

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Mauro Bellini

Ha seguito la ideazione e il lancio di ESG360 e Agrifood.Tech di cui è attualmente Direttore Responsabile. Si occupa di innovazione digitale, di sostenibilità, ESG e agrifood e dei temi legati alla trasformazione industriale, energetica e sociale.

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