Big data, il mercato italiano cresce a 2,4 miliardi (+20%), ora occorre lavorare su fiducia e condivisione

Secondo i dati dell’Osservatorio Big data and Business analytics del Politecnico di Milano la crescita del mercato è trainata soprattutto dalla componente software, mentre la spesa in risorse infrastrutturali cresce meno. Nelle grandi aziende resta la difficoltà nel reperire figure professionali specializzate su gestione e analisi dei dati. Nel complesso le PMI sono indietro, ma la forbice tra piccole e medie si riduce

Pubblicato il 08 Nov 2022

Big data


Nonostante le difficoltà dello scenario globale dovute alle tensioni geopolitiche e agli alti tassi di inflazione, quest’anno il mercato Data management e Analytics raggiungerà i 2,4 miliardi di euro, mettendo a segno un +20% rispetto al 2021. Una crescita trainata soprattutto dalla componente software (54% del mercato, +25% in un anno), mentre la spesa in risorse infrastrutturali cresce in maniera meno sostenuta, al di sotto della media del mercato.

Sono i numeri e le tendenze del settore che emergono dal Report annuale dell’Osservatorio Big Data and Business Analytics del Politecnico di Milano. Ora, secondo gli specialisti, per far crescere ancora di più il comparto e le sue applicazioni tecnologiche occorre puntare innanzitutto su due fattori: condivisione e fiducia.

Una maggiore e più funzionale condivisione dei dati che ormai vengono raccolti in ogni ambito di attività, economica e non, e una maggiore fiducia nel fare questa condivisione da parte di tutti gli attori coinvolti, cittadini, imprese, istituzioni.

Nelle grandi aziende resta innanzitutto la difficoltà nell’inserimento di ruoli professionali specializzati su gestione e analisi dei dati: il 49% ha introdotto almeno un Data scientist, il 76% un Data analyst e il 59% un Data engineer. Inoltre, il 66% delle grandi realtà ha sperimentato tempi di recruiting più lunghi e circa il 40% tassi di turnover più elevati.

Sul fronte delle PMI, il 55% del totale analizzato ha portato avanti investimenti in ambito Data management e Analytics o prevede di farlo entro fine anno. Percentuale in crescita rispetto al 2021, ma che non mostra importanti accelerazioni rispetto a quanto registrato negli ultimi tre anni. Inoltre, quattro aziende su dieci non hanno alcuna figura dedicata, neanche parzialmente, all’analisi dei dati.

“Cresce la maturità delle organizzazioni verso una cultura data-science-driven e insieme il mercato, che ha lasciato alle spalle il periodo nero”, sottolinea Carlo Vercellis, responsabile scientifico dell’Osservatorio Big Data and Business Analytics, “ma la sfida di chi ha avviato sperimentazioni o progetti di Advanced analytics ora è quella dell’industrializzazione dei processi per garantire efficienza e governance dei dati in tutti i livelli”.

Vercellis fa notare: “il forte interesse cui assistiamo alle soluzioni di analytics non è però sempre pieno sinonimo di un cambio di rotta: sono ancora una minoranza le organizzazioni che mirano a sviluppare una Data strategy di livello corporate. Tuttavia, è sempre maggiore la volontà di sviluppare una cultura del dato in tutta l’organizzazione, per rendere consapevoli gli utenti e integrare nuove competenze”.

Le aree di sviluppo della Data strategy aziendale

Negli ambiti della Business intelligence e Descriptive analytics le grandi organizzazioni sono a buon punto. L’83% prevede la presenza di competenze (centralizzate o distribuite) e il 69% sfrutta strumenti di Data visualization avanzati. Nonostante ciò, solo quattro aziende su dieci testimoniano un alto livello di pervasività nell’utilizzo dei dati nei processi decisionali.

Sul fronte della Data science, prosegue la crescita delle organizzazioni che hanno avviato almeno una sperimentazione in ambito Advanced analytics (65%, nel 2021 era il 54%). Tra queste, una su due dichiara un numero di progetti superiore al 2021. Le funzioni in cui la Data science trova maggiore applicazione sono Marketing, Vendite, e Produzione. Contesti in cui risulta più semplice valorizzare in termini economici i risultati portati dalle singole progettualità.

I Big data nelle PMI

Come già emerso negli scorsi anni, restano importanti differenze tra il livello di maturità delle medie (50-249 addetti) e piccole (10-49 addetti) imprese. Le imprese di medie dimensioni hanno un livello medio di adozione delle tecnologie più alto delle piccole. Inoltre, solo un terzo non ha personale dedicato – almeno parzialmente – all’analisi dei dati.

“La forbice tra piccole e medie registra comunque leggeri segnali di riduzione rispetto agli scorsi anni. Le piccole e medie imprese che hanno figure interne si affidano spesso anche a consulenti esterni, prevalentemente in maniera spot su specifici progetti”, sottolinea Alessandro Piva, responsabile del Report dell’Osservatorio milanese.

Bisogna adattarsi alla carenza di competenze

“Come sappiamo, esiste una carenza di competenze nelle varie attività e specializzazioni che hanno a che fare con Big data e Analytics”, sottolinea Andrea Galvagni, Head of Palantir Technologies Italy, “una carenza che difficilmente sarà colmata da qui ai prossimi anni perché per certi ruoli occorrono competenze molto spiccate e anche determinati talenti, e il talento verso questo tipo di attività si può sostenere e incrementare ma non si può creare da zero se non c’è”.

Prendendo dunque atto della situazione e delle prospettive, la questione da affrontare è quindi “come strutturiamo i nostri business ‘attorno’ a questa carenza di competenze”, rileva Galvani, “per esempio favorendo il lavoro del data scientist all’interno dei processi aziendali e concentrando le risorse su progetti-chiave. Per poi estendere risultati ed evidenze su più vasta scala, ad altri progetti e a un pubblico di utenti più vasto”.

L’Italia ha un ruolo importante in Europa

L’Italia ha un ruolo importante e sta guidando l’evoluzione del panorama Big data in Europa. Ecco alcuni esempi concreti: a livello europeo si sta lavorando al progetto IoTwins, dedicato ai sistemi digital twin, che è coordinato dalla Bonfiglioli di Bologna. Il progetto BD4NRG, focalizzato sulla gestione delle reti di energia elettrica, è gestito come capofila da un’altra realtà italiana come Ingegneria Informatica.

Altri progetti rilevanti, in cui le imprese e gli specialisti Made in Italy sono coinvolti, sono il programma Platoon, dedicato anch’esso alla gestione delle reti energetiche, e anche Everest, che punta a sviluppare tecnologie per la data monetization.

“In generale, uno degli obiettivi prioritari che si stanno perseguendo a livello di Unione Europea è quello di rafforzare la fiducia nella condivisione dei dati”, rimarca Federico Milani, Deputy head of Data policy and innovation unit presso la Commissione Europea.

Linee guida e tendenze dall’Unione Europea

Il Data Governance Act europeo entrerà in funzione nel settembre 2023 e punta a creare una cornice di maggiore fiducia, tra cittadini, imprese e istituzioni, nel condividere i dati e metterli a disposizione di altri interlocutori. Per esempio nella gestione e scambio di informazioni tra privati con gli organi della pubblica amministrazione, ma più in generale nei flussi complessivi di questi sistemi.
Il Data Governance Act prevede anche dei registri organizzativi per il cosiddetto ‘altruismo dei dati’, per raccoglierli e metterli a disposizione dell’interesse pubblico.

Un altro Data Act è attualmente in fase di discussione tra gli organismi dell’Ue, con l’obiettivo di migliorare e armonizzare l’accesso dei dati collegati al mondo IoT: anche in questo caso, si tratta di agevolare i flussi di gestione e condivisione, dare maggiore potere di controllo e di utilizzo ai cittadini e alle imprese, che utilizzano i vari strumenti digitali e device, e quindi che per primi generano e ‘producono’ i dati dell’IoT.

Il rapporto con i dati dei lavoratori non specialisti

Quest’anno l’Osservatorio ha condotto, in collaborazione con BVA Doxa, una rilevazione rivolta ai lavoratori non specialisti dell’analisi dei dati delle aziende con più di 10 addetti. Tra questi, il 60% dei manager dichiara di visualizzare almeno una volta a settimana report di sintesi sulle aree di propria competenza.

La diffusione della Data literacy oltre le figure specializzate non è dunque marginale ma è un’evoluzione fondamentale per connettere algoritmi e persone. Considerando tutti i lavoratori, si scopre come, in media, i lavoratori italiani abbiano competenze appena sufficienti per essere considerati alfabetizzati ai dati in relazione alla propria mansione lavorativa. Tuttavia, emergono limiti sulla conoscenza del patrimonio informativo aziendale e sull’interpretazione delle analisi predittive.

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Stefano Casini

Giornalista specializzato nei settori dell'Economia, delle imprese, delle tecnologie e dell'innovazione. Dopo il master all'IFG, l'Istituto per la Formazione al Giornalismo di Milano, in oltre 20 anni di attività, nell'ambito del giornalismo e della Comunicazione, ha lavorato per Panorama Economy, Il Mondo, Italia Oggi, TgCom24, Gruppo Mediolanum, Università Iulm. Attualmente collabora con Innovation Post, Corriere Innovazione, Libero, Giornale di Brescia, La Provincia di Como, casa editrice Tecniche Nuove. Contatti: stefano.stefanocasini@gmail.com

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