Banca d’Italia: 6.500 imprese rischiano di fallire entro il 2022 a causa della crisi provocata dal Covid

Secondo uno studio dei ricercatori della Banca d’Italia, sono 6.500 i fallimenti che si potrebbero registrare entro il 2022 come conseguenza della pandemia, quasi il 60% in più di quelli registrati nel 2019. Lo studio sostiene che con il ritiro delle misure a sostegno delle imprese emergeranno (già nel 2021) i fallimenti “congelati” nel 2020. Numeri che potrebbero essere ancora maggiori, se la caduta del Pil sarà superiore alle stime, o inferiori, se le misure di sostegno adottate e l’intensità della ripresa economica saranno capaci di aiutare le imprese a fronteggiare la difficile fase congiunturale. 

Pubblicato il 27 Gen 2021

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La crisi provocata dalla pandemia potrebbe portare a 6.500 fallimenti entro il 2022, quasi il 60% in più di quelli registrati nel 2019. A sostenerlo è uno studio sui “Fallimenti d’impresa in epoca Covid” realizzato dai ricercatori della Banca d’Italia, secondo il quale con il ritiro delle misure a sostegno delle imprese emergeranno (già nel 2021) i fallimenti “congelati” nel 2020.

Lo studio fornisce una stima della relazione tra fallimenti e ciclo economico, descrive l’andamento dei fallimenti nel 2020 e formula una previsione circa la loro possibile evoluzione nell’immediato futuro, anche con l’obiettivo di evidenziare i rischi di congestione nei tribunali per queste procedure.

Nel 2020 non si sono registrati più fallimenti grazie alle misure a sostegno delle imprese

Secondo i dati del registro delle imprese raccolti da Infocamere, diversamente dalle attese all’inizio della pandemia, il numero dei fallimenti dichiarati nel 2020 è stato significativamente inferiore a quello del 2019: circa 3.700 fallimenti (un terzo in meno rispetto all’anno precedente).

Un risultato che secondo lo studio è, innanzitutto, riconducibile all’introduzione della moratoria per le domande di fallimento – dal 9 marzo al 30 giugno 2020 – relativamente sia alla dichiarazione di fallimento sia all’accertamento giudiziale dello stato di insolvenza.

Inoltre, le forti limitazioni alle attività dei tribunali durante il periodo di lockdown della scorsa primavera e quelle finalizzate a limitare i rischi di contagio nel periodo successivo di riapertura dei tribunali potrebbero aver rallentato l’attività di definizione dei procedimenti.

A supporto di queste ipotesi ci sono i dati relativi agli andamenti mensili delle dichiarazioni di fallimento, che mostrano una riduzione particolarmente marcata nel periodo del lockdown, mentre nel periodo successivo si è osservata una ripresa. Nonostante questo, il numero di fallimenti dichiarati è rimasto su livelli inferiori a quelli del 2019.

Infine, le misure in favore delle imprese hanno contribuito ad attutire l’impatto della crisi e a ridurre il numero di imprese in difficoltà. Secondo lo studio, a beneficiarne sarebbero state anche imprese che, in condizioni normali, sarebbero invece uscite dal mercato.

Nei prossimi 2 anni vedremo gli effetti della crisi

Tuttavia, l’incertezza sulle prospettive economiche, l’aumento dell’indebitamento delle imprese e l’indebolimento
patrimoniale, nel frattempo intervenuti, sollevano l’interrogativo di come si evolveranno i fallimenti nei prossimi mesi, quando saranno “ritirate” le misure di sostegno ed emergeranno i fallimenti “congelati”.

Nello studio, la Banca d’Italia ipotizza quale sarà l’evoluzione dei fallimenti nel prossimo biennio, partendo dai fallimenti “fisiologi”, ovvero quelli che si sarebbero verificati anche in assenza della crisi economica (che nell’ipotesi fatta dallo studio sarebbero uguali al numero dei fallimenti registrati nel 2019, ovvero 11 mila).

Confrontando questo dato con il numero di fallimenti effettivamente registrato nel 2020, emergono 3,700 fallimenti mancanti. Oltre a questi, vanno presi in considerazione i fallimenti economici, ossia quelli dovuti alla crisi economica provocata dalla pandemia.

Per calcolare questo dato, lo studio prende in considerazione i fallimenti registrati durante le crisi economiche affrontate in passato (2008-2009 e 2012-2014) indicano che al calo del Pil è associato un aumento significativo dei fallimenti sia nell’anno in cui si registra la caduta, sia nei due anni successivi (le elasticità stimate sono pari rispettivamente a 1,25, 0,65 e 0,92).

Sulla base di queste stime, una flessione del PIL del 9%, come quella prevista da Banca d’Italia per il 20203, porterebbe a un aumento dei fallimenti di circa 2.800 entro il 2022 (rispetto ai circa 11.000 registrati nel 2019).

Sommando le varie componenti, per effetto della contrazione economica del 2020, il numero di fallimenti atteso dovrebbe aumentare di circa 6.500 unità nei prossimi 2 anni. Di questi, una quota significativa si dovrebbe materializzare già nel 2021. In base alle elasticità stimate, la crescita economica prevista per il 2021 e 2022 compenserà questo aumento per quasi un quinto.

Previsioni che, avverte la Banca d’Italia, vanno interpretate con cautela, in quanto la caduta eccezionale del Pil potrebbe generare più fallimenti di quelli stimati dallo studio. Allo stesso modo, il numero potrebbero essere sovrastimato se le misure di sostegno adottate e l’intensità della ripresa economica saranno capaci di aiutare le imprese a fronteggiare
la difficile fase congiunturale.

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Michelle Crisantemi

Giornalista bilingue laureata presso la Kingston University di Londra. Da sempre appassionata di politica internazionale, ho vissuto, lavorato e studiato in Spagna, Regno Unito e Belgio, dove ho avuto diverse esperienze nella gestione di redazioni multimediali e nella correzione di contenuti per il Web. Nel 2018 ho lavorato come addetta stampa presso il Parlamento europeo, occupandomi di diritti umani e affari esteri. Rientrata in Italia nel 2019, ora scrivo prevalentemente di tecnologia e innovazione.

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