Quello che è accaduto anni fa in Germania, con l’acquisizione di Kuka da parte della cinese Midea, non avverrà in Italia. Almeno non nel caso della piemontese Robox, azienda di Castelletto S. Ticino (NO) che progetta e produce controllori di automazione, sistemi di controllo del movimento, AGV e ambienti di sviluppo per la robotica e per il controllo numerico delle macchine utensili, oggetto delle attenzioni della Efort Intelligent Equipment, importante player nel campo della robotica.
Il Presidente del Consiglio Mario Draghi – stando a quanto riportato dall’agenzia Reuters e da noi verificato – ha infatti posto il veto – applicando la normativa sul Golden power – al trasferimento di alcune tecnologie dell’azienda italiana all’azienda cinese.
Ricordiamo che la legislazione anti-takeover permette al Governo italiano di respingere offerte indesiderate in settori ritenuti di importanza strategica tra cui come quello bancario, energetico, delle telecomunicazioni e sanitario. Da due anni a questa parte anche la robotica e altri settori precedentemente non coperti dalla normativa sono state aggiunta all’elenco dei settori di importanza critica.
L’opposizione del Governo non è però stata sollevata sulle quote societarie. Efort Intelligent Equipment, infatti, era già proprietaria del 40% dell’azienda italiana, che aveva acquisito nel dicembre del 2016.
All’inizio del 2022 l’azienda cinese aveva annunciato un accordo, che prevedeva due cose
- Un aumento della partecipazione Efort in Robox di un ulteriore 9%, passando così dal 40 al 49% – senza che questo comportasse un cambio di governance dell’azienda piemontese, che sarebbe rimasta in mano alla proprietà italiana
- La cessione non esclusiva di codici sorgente relativi al controllo dei robot industriali.
Oggetto del golden power è stato questo secondo punto. Il Governo ha infatti impedito a Robox di acconsentire al trasferimento della tecnologia in Cina, pur non sollevando alcuna obiezione in relazione all’aumento della partecipazione azionaria.
Perché lo stop parziale
Il golden power stabilisce, infatti, che la presidenza del Consiglio può fermare sia un’intera operazione fatta da un operatore straniero su un’impresa italiana che una parte dell’investimento o degli accordi (come avvenuto in questo caso) qualora essi diano luogo a una situazione eccezionale, non disciplinata dalla normativa – nazionale ed europea – di settore, di minaccia di grave pregiudizio per gli interessi pubblici relativi alla sicurezza e al funzionamento delle reti e degli impianti e alla continuità degli approvvigionamenti, compresi le reti e gli impianti necessari ad assicurare l’approvvigionamento minimo e l’operatività dei servizi pubblici essenziali.
La disciplina, inoltre, ha introdotto l’obbligo di notifica delle delibere, atti o operazioni aventi ad oggetto il mutamento dell’oggetto sociale, lo scioglimento della società, la modifica di clausole statutarie riguardanti l’introduzione di limiti al diritto di voto o al possesso azionario.
Obblighi che, secondo quanto riportato da alcuni funzionari a Reuters, hanno anche aumentato la burocrazia per le aziende che, per evitare il rischio di infrazioni e multe, stanno informando il governo di qualsiasi fusione e accordo anche quando non sarebbe necessario. Lo scorso anno, il numero di notifiche è salito a quasi 500, rispetto alle 342 del 2020 e alle sole 83 del 2019.
Con il caso Robox, il Governo italiano utilizzato il potere di veto conferito dal golden power sette volte dalla data della sua introduzione, nel 2012. E, come dicevamo, per la prima volta in ambito robotico. Sei di questi episodi riguardavano trasferimenti verso aziende cinesi e in cinque occasioni è stato proprio Draghi ad esercitare il potere di veto.
Solo lo scorso marzo, Draghi ha annullato la vendita del 2018 di un’azienda di droni militari a investitori cinesi. Una linea che ha dato il via a contestazioni legali, sia da parte degli acquirenti stranieri interessati che da parte delle aziende italiane oggetto di interesse.