Taisch: Industria 4.0 motore di occupazione e democrazia sociale

Pubblicato il 21 Dic 2017

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“Industria 4.0 è una grande opportunità per le imprese, ma è anche un abilitatore di democrazia sociale e di redistribuzione del reddito“. Marco Taisch, professore del dipartimento di ingegneria gestionale del Politecnico di Milano, considerato una delle “menti” che ha consentito la nascita, lo scorso anno, del piano nazionale Industria 4.0, ha le idee chiare sul grande tema del rapporto tra tecnologia e occupazione. Lo abbiamo intervistato, in questa chiusura di anno, per fare il punto su questo ma anche sui tanti altri temi caldi emersi nel corso del 2017.

Professore, l’avvento delle nuove tecnologie di automazione – robot in testa – sta generando grande preoccupazione tra i lavoratori, che temono di perdere il loro posto di lavoro…

Il punto di vista dovrebbe essere invertito: un operaio che utilizza un device intelligente e che, grazie a esso, aumenta la produttività e mantiene il posto di lavoro, dovrebbe ringraziare la tecnologia, non esserne preoccupato. E aggiungo che Industria 4.0 potrebbe avere anche un effetto sul cosiddetto gender issue: grazie alle nuove tecnologie c’è uno spostamento del focus del lavoro di fabbrica dalla forza fisica alla forza intellettiva. Io credo che questo sia un fattore che potrà permetterci in futuro anche di vedere un manifatturiero declinato al femminile.

Perché le tecnologie digitali aiuterebbero l’occupazione?

Oggi viviamo in un mondo che è diventato globale e ipercompetitivo – e queste sono cose che le imprese non possono cambiare. Quello che però possono fare è scegliere una strada – come quella di Industria 4.0 – che offre loro l’opportunità di aumentare la competitività sui mercati internazionali. L’impiego delle tecnologie digitali aumenta la produttività, consentendo alle imprese di produrre a costi più bassi e di essere maggiormente competitive, aumentando così le vendite e, di conseguenza, il fabbisogno di lavoratori.

Una formula che funziona nel lungo periodo, ma non tiene conto di chi perderà il lavoro

Non c’è dubbio che l’introduzione di alcune tecnologie comporti un effetto sostituzione, ma sono convinto che il saldo sarà positivo: la diminuzione di persone che ne consegue è significativamente inferiore all’effetto dell’aumento di volumi generato dal guadagno in termini di competitività. Del resto se fosse vera l’equazione “più automazione = disoccupazione” per quale ragione in Germania, dove c’è la più alta densità di robot per lavoratore, la disoccupazione è inferiore al 4%? Certo, non tutti avranno le stesse possibilità. Alcuni lavoratori non riusciranno ad adeguarsi e soffriranno questa nuova dimensione, per questo serve un welfare che li aiuti.

Le misure contenute nella legge di bilancio, dal prolungamento della Cassa Integrazione per le grandi imprese in crisi alla modifica della disciplina dell’assegno di ricollocazione, possono essere considerate un inizio di Welfare 4.0?

Sono misure che vanno nella giusta direzione. Sicuramente non sono sufficienti, ma dobbiamo fare i conti con le risorse disponibili. Consideriamo anche un altro elemento: la previsione di crescita del PIL nel 2017 è passata dallo 0,8% all’1,5%. E’ chiaro che, se il Paese cresce di più, ci saranno anche più risorse per coprire queste esigenze.

Il lavoro e la formazione sono le due dimensioni che contraddistinguono la trasformazione del piano nazionale Industria 4.0 in Impresa 4.0. Come valuta questa evoluzione?

Impresa 4.0 non è solo uno slogan, ma un importantissimo passo in avanti, che riflette la necessità di estendere i vantaggi offerti dalle tecnologie digitali anche al di fuori della fabbrica. In questo senso l’auspicio è che il credito d’imposta per la formazione funzioni come ha fatto quest’anno l’iperammortamento, sia cioè una leva per aprire le menti su una cosa che è importantissima: le risorse umane. Le imprese devono iniziare a considerare le persone dei veri e propri valori sui quali investire.

A proposito di iperammortamento, il primo anno di incentivi è andato come si aspettava?

Sono molto contento dei risultati ottenuti dal piano nazionale Industria 4.0, sia perché le aziende stanno effettivamente sfruttando i benefici fiscali per ammodernare i propri sistemi produttivi, sia, soprattutto, perché credo che abbia funzionato l’idea di base del piano: gli incentivi dovevano essere una leva che consentisse di diffondere la awareness su un tema che è cruciale per la competitività delle imprese. E’ vero che l’adozione delle tecnologie 4.0 sta avvenendo a macchia di leopardo e secondo la sensibilità dell’imprenditore, ma per fortuna sono molti quelli che hanno capito la portata strategica di questi investimenti e che non si sono fermati alla sola analisi della convenienza fiscale.

Oltre l’incentivo che cosa c’è?

Connettere gli impianti per gestire meglio la fabbrica è la dimensione minima di Industria 4.0. Una base di partenza per poi progettare meglio i prodotti, farli diventare smart, connettere anche le imprese con le imprese, oltre che le macchine con le macchine. E questo è un processo avviato.

Il modello industria/impresa 4.0 potrà favorire la nostra piccola impresa?

Intanto diciamo che “piccolo è bello” non è un concetto vincente: il nanismo delle imprese non è una risorsa, ma un problema. La grande impresa è sì meno agile, ma è strutturata, sa stare sui mercati internazionali, sa investire in ricerca e formazione. In Italia abbiamo degli ottimi digital champion, ma sono pochi e in alcuni settori mancano. Con un tessuto industriale piccolo e legato alla personalità dell’imprenditore il rischio è che le persone non riescano a cogliere le opportunità di sviluppo imprenditoriale.

Per aiutare le imprese a crescere le PMI ci sarebbe il capitolo Competence Center. Ma qui purtroppo c’è un po’ di ritardo

Il ritardo dei Competence Center non deve essere un alibi per chi ha già maturato la necessaria consapevolezza. Ci sono le Università che hanno già attivato strutture in grado di aiutare le imprese. Nel nostro caso, per esempio, il Politecnico di Milano ha un laboratorio Industria 4.0 che è, in piccolo, un Competence Center in grado di offrire formazione, trasferimento tecnologico e training. Poi ci sono le associazioni di categoria, le camere di commercio. Alle imprese che intendono investire, insomma, i punti di riferimento non mancano. La missione dei Digital Innovation Hub – che tra l’altro si sono quasi tutti già costituiti – e dei Punti d’impresa digitale non è creare strutture per il trasferimento tecnologico, ma gestire in maniera imprenditoriale e proattiva la creazione dell’awareness nelle imprese “quiescenti”.

A proposito di consapevolezza, lei è il coordinatore del gruppo di lavoro congiunto tra Italia, Francia e Germania sull’engagement delle PMI. Che cosa state facendo?

Nel Working Group 2 stiamo confrontando approcci e strumenti che i tre Paesi usano per diffondere le tecnologie e creare awareness. Ci siamo riuniti in Germania un mese e mezzo fa e a inizio 2018 – il 31 gennaio e l’1 febbraio – saremo in Italia a Pordenone dove visiteremo il LEF (Lean Experience Factory, ndr) di Pordenone. Discuteremo anche di come condividere il tema dell’assessment della maturità digitale dell’impresa. In Italia, per esempio, il Politecnico di Milano ha realizzato insieme ad Assoconsult un portale che offre alle PMI un tool per una prima valutazione, una sorta di radiografia della maturità digitale dell’impresa.

Grazie al suo impegno, a settembre a Cernobbio si terrà la prima edizione del nuovo World Manufacturing Forum. Di che cosa si discuterà?

L’obiettivo di questi incontri è avviare una piattaforma di riflessione su come il manifatturiero sia motore di impatto sociale, di benessere diffuso e quindi, se vogliamo, anche di pace sociale nel medio-lungo periodo. Discuteremo di come le politiche possono aiutare le imprese in uno scenario nel quale la tecnologia è un mezzo che si innesta su una dimensione più ampia della quale fanno parte anche competenze, lavoro, commercio internazionale, riequilibrio tra i paesi.

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Franco Canna
Franco Canna

Fondatore e direttore responsabile di Innovation Post. Grande appassionato di tecnologia, laureato in Economia, collabora dal 2001 con diverse testate B2B nel settore industriale scrivendo di automazione, elettronica, strumentazione, meccanica, ma anche economia e food & beverage, oltre che con organizzatori di eventi, fiere e aziende.

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