Svimez: Mezzogiorno in ripresa grazie al manifatturiero

L’industria manifatturiera meridionale – Campania in testa – è cresciuta di oltre il 7% nell’ultimo biennio e il Mezzogiorno è in grado di agganciare la ripresa. Restano però le difficoltà delle imprese del Sud ad accedere alle agevolazioni per l’innovazione, che – secondo la Svimez – andrebbero riviste.

Pubblicato il 10 Nov 2017

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È un quadro caratterizzato da forti chiaroscuri quello disegnato da Svimez, l’associazione per lo sviluppo dell’industria del Mezzogiorno, nel suo rapporto presentato questa settimana. Da una parte, infatti, i numeri attestano che il Sud è uscito dalla lunga recessione e ha consolidato la ripresa, registrando una performance per il secondo anno superiore, se pur di poco, rispetto al resto del Paese. Dall’altra parte il tasso di occupazione resta il più basso d’Europa (35% inferiore alla media UE), nonostante nei primi 8 mesi del 2017 siano stati incentivati oltre 90 mila rapporti di lavoro nell’ambito della misura “Occupazione Sud”.

“La povertà e le politiche di austerità deprimono i consumi”, si legge nel rapporto. Inoltre, secondo la Svimez, il Sud non è più un’area giovane né tanto meno il serbatoio della demografia del resto del paese. Le famiglie fanno sempre meno figli e i giovani se ne vanno; la popolazione invecchia e si riduce. Per di più, su una popolazione attiva relativamente meno giovane grava un onere per la sicurezza sociale enorme e crescente, che sottrae inevitabilmente risorse per investimenti produttivi in grado di migliorare la produttività e la competitività del sistema
economico.

I numeri complessivamente negativi sull’occupazione, però, trovano una significativa eccezione nel comparto manifatturiero.

I numeri dell’industria meridionale

L’industria manifatturiera meridionale è cresciuta di oltre il 7% nell’ultimo biennio, più del doppio del resto del Paese (3%). La prosecuzione nel 2016 del trend espansivo avviato nel 2015, anche se a un ritmo inferiore, si deve sia alla domanda interna che a quella estera.

Nel 2016 la crescita del manifatturiero è stata del +3%, grazie anche all’andamento molto positivo del comparto della fornitura di energia, acqua, e rifiuti. Ma anche al netto del comparto delle utilities, l’evoluzione di prodotto nell’industria manifatturiera è risultata comunque di entità maggiore nel Sud (+2,2%) rispetto al resto del Paese (+1,1%).

Sempre nel 2016 la produttività del lavoro nell’industria manifatturiera meridionale, misurata dal valore aggiunto per unità di lavoro, è aumentata dello 0,8%, mezzo punto percentuale in più del dato relativo al Centro-Nord (+0,3%).

A sua volta l’occupazione ha fatto segnare un aumento pari a 1,4 punti percentuali nel Sud e dello 0,7% nelle regioni centro-settentrionali. Ma il quadro complessivo della quantità di lavoro nell’industria resta negativa, considerando che, dal 2008 al 2015, l’industria meridionale ha perso circa 194.000 occupati.

Nel 2016, gli investimenti fissi lordi industriali sono aumentati, in termini reali, del 5,2% nel Mezzogiorno e del 3,7% nel Centro-Nord.

“In considerazione del ruolo che l’industria manifatturiera svolge nei processi di innovazione, e per la sua capacità di generare indotto nelle economie locali, la connotazione “industriale” del consolidamento della ripresa osservabile nei dati macroeconomici del biennio 2015-2016 rappresenta un positivo tratto di discontinuità  rispetto agli anni della “lunga crisi” (2008-2014)”, si legge nel rapporto.

La ripartenza del settore industriale del Mezzogiorno nel biennio 2015-2016 “fa supporre che sia rimasto attivo e competitivo un nucleo di imprese industriali e manifatturiere che, se adeguatamente sostenuto, potrebbe superare le conseguenze prodotte dalla lunga fase di recessione e di disinvestimento”. Occorre
dunque – prosegue il report – “accompagnare adeguatamente questa positiva inversione di tendenza con politiche che puntino a consolidare e rafforzare i segnali di ripresa registrati dall’industria, affinché il contributo del settore al complessivo sviluppo economico del Mezzogiorno possa essere solido e duraturo”.

Campania campione

Il dato del 2016 è tuttavia fortemente disomogeneo tra le regioni meridionali. La Campania è la regione italiana, e non solo meridionale, che ha registrato nel 2016 il più alto indice di sviluppo, con una crescita del 2,4% del prodotto. In Campania un ruolo trainante l’ha svolto l’industria, grazie anche alla diffusione di Contratti di Sviluppo, ma ha potuto altresì beneficiare del rafforzamento del terziario nell’ultimo anno, frutto prevalentemente del positivo andamento del turismo.

In termini di Pil la Campania “dal 2014 al 2016 è riuscita a recuperare ben oltre 4 punti percentuali (passando dal -1,7% del 2014 al +2,4% del 2016)”, ha sottolineato l’assessore alle attività produttive della Regione Campania Amedeo Lepore. “Questi risultati sono particolarmente rilevanti perché nascono da un aumento nel 2016 dell’occupazione industriale pari al 5,4% e del valore aggiunto industriale pari al 5,5%, dimostrando che a spingere la ripresa sono le attività manifatturiere, che finalmente danno alla crescita un carattere strutturale“.

“Le leggi sulla semplificazione e sulla sburocratizzazione, sull’Industria 4.0 e sull’Economia Circolare hanno creato un contesto favorevole alla libertà d’impresa, alla diffusione e all’innovazione delle attività produttive”, ha proseguito Lepore. “Il credito d’imposta nel corso del 2017 ha permesso di realizzare su un totale di oltre 3 mld di investimenti in Italia, circa 1,3 mld di investimenti industriali nella nostra Regione. I contratti e gli accordi di sviluppo a partire dal 2015, stanno promuovendo 1,5 Mld di investimenti produttivi e, dopo il relativo accordo di programma quadro con il Governo, sosterranno l’attuazione di progetti di medie e grandi dimensioni per un un ulteriore miliardo di euro”

Le altre regioni

La Basilicata continua ad andare bene, è la seconda regione del Mezzogiorno e una delle prime d’Italia, anche se rallenta la crescita (da +5,4% del 2015 a +2,1% del 2016). Va notato che l’industria lucana è in ripresa già dal 2014 e continua a tirare, sia pure con intensità diverse nel triennio.

La Puglia ha molto frenato rispetto al positivo andamento del 2015, perché è andata male l’agricoltura, che ha un peso notevole nell’economia regionale, e i servizi sono rimasti pressoché stazionari. Anche le costruzioni in Puglia sono cresciute poco, mentre l’industria, nonostante tutto, è in forte ripresa rispetto alla caduta dell’anno precedente.

La Calabria ha vissuto un’annata agricola particolarmente negativa (-8,9%) mentre ha registrato un andamento molto favorevole in alcune branche dell’industria (+8,2%), con i servizi (+0,7%) che confermano l’andamento positivo registrato nel biennio precedente.

La Sicilia sconta nel 2016 gli effetti negativi dell’agricoltura, mentre l’industria e le costruzioni stentano a consolidarsi e il settore dei servizi ha un andamento poco più che stazionario.

L’Abruzzo registra nel 2016 un forte calo dell’agricoltura e nella regione subisce una pesante battuta d’arresto l’industria, attestandosi su -2,2%, il che denota una severa contrazione della produzione industriale regionale.

Il Molise regge sostanzialmente il ritmo di crescita dell’anno precedente, trainato soprattutto dalle costruzioni e, anche se in misura molto minore, dai servizi.

La Sardegna, pur se con ritardo rispetto al resto delle regioni meridionali, esce nel 2016 dalla fase recessiva e riprende a respirare, ottenendo per la prima volta un aumento del PIL dopo l’andamento negativo del prodotto sia nel 2014 che nel 2015. Ciò grazie soprattutto all’industria.

Benefici anche per il Nord

La domanda interna del Sud, data dalla somma di consumi e investimenti, attiva circa il 14% del PIL del Centro-Nord (nel 2015, un ammontare di circa 177 miliardi di euro). I flussi redistributivi verso le regioni meridionali sono in calo di più del 10%, da oltre 55,5 a circa 50 miliardi. Peraltro le risorse che, sotto diverse forme, affluiscono al Sud, non restano circoscritte al solo Mezzogiorno, ma hanno effetti economici che si propagano all’Italia intera.

Secondo la Svimez, che ha fatto una valutazione quantitativa di tali effetti, su 50 miliardi di residui fiscali di cui beneficia il Mezzogiorno, 20 ritornano direttamente al Centro-Nord, altri contribuiscono a rafforzare un mercato che resta, per l’economia dell’intero Paese, ancora rilevante.

Difficile accesso agli incentivi per l’innovazione

Restano le difficoltà delle imprese del Sud ad accedere agli strumenti di politica industriale nazionale. La Svimez ha valutato che la quota di accesso del Mezzogiorno ai tre principali interventi di Industria 4.0 (super e iper ammortamento, credito d’imposta per investimenti in R&S, Nuova Sabatini) non raggiunge il 10% del totale delle agevolazioni. In valore assoluto, vuol dire poco più di 1 miliardo contro gli oltre 12 al Centro-Nord.

In definitiva – si legge nel rapporto – il minore impatto nel più lungo periodo del “Piano Industria 4.0” sul PIL e sulla produttività del Mezzogiorno sta a indicare che la principale leva nazionale della politica industriale è da sola insufficiente per sostenere l’ammodernamento del sistema produttivo del Sud, ancora troppo limitato. Le misure del piano “Industria 4.0” andrebbero, dunque, “declinate a livello territoriale a favore del Mezzogiorno prevedendo, ad esempio: un rafforzamento delle intensità agevolative relative al super e iperammortamento, una riserva di risorse nell’implementazione del credito di imposta per la R&S; un finanziamento a tasso zero nel caso della Nuova Sabatini”.

Per quanto attiene alla politica industriale regionale, la Svimez critica la riduzione della dotazione complessiva del PON “Ricerca e Innovazione” 2014-2020 e del suo Programma Complementare, che ha dimezzato lo stanziamento rispetto a quanto attribuito al MIUR dal precedente PON.

Per le ZES, intervento per il quale la Svimez si è battuta da tempo, è auspicabile che, nel procedere a una sua rapida implementazione, si punti alla concentrazione delle risorse su un numero limitato di aree, individuando i porti del Sud cui esse sono strategicamente collegate. Affinché l’introduzione delle ZES possa realmente contribuire ad attrarre investimenti nazionali ed esteri nel Sud, è necessario realizzare infrastrutture volte alla rigenerazione e alla riqualificazione delle corrispondenti aree portuali e retro portuali e alla logistica integrata.

Le previsioni

La stretta integrazione e interdipendenza tra Sud e Nord rafforza la necessità di politiche meridionaliste per far crescere l’intero Paese. Le previsioni per il 2017 e il 2018 – spiega lo studio – “confermano che il Mezzogiorno è in grado di agganciare la ripresa, facendo segnare tassi di crescita di poco inferiori a quelli del Centro-Nord”.

Tuttavia “la ripresa congiunturale è insufficiente ad affrontare le emergenze sociali. Il Sud è un’area non più giovane né tantomeno il serbatoio di nascite del Paese. Il Governo nell’ultimo anno ha riavviato le politiche per il Sud; fondamentali due interventi: le ZES e la clausola del 34% sugli investimenti ordinari”.

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Franco Canna
Franco Canna

Fondatore e direttore responsabile di Innovation Post. Grande appassionato di tecnologia, laureato in Economia, collabora dal 2001 con diverse testate B2B nel settore industriale scrivendo di automazione, elettronica, strumentazione, meccanica, ma anche economia e food & beverage, oltre che con organizzatori di eventi, fiere e aziende.

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